Galliani esiste perché esiste Berlusconi, e viceversa
Giu 12, 2023

Non ha mai voluto saperne di fare diversamente. Adriano Galliani a Silvio Berlusconi ha sempre dato del lei. “Una cosa strana, gli ho chiesto più volte il perché non gli dia del tu. Mi risponde che non ci riesce. Il loro è un rapporto molto bello, un’accoppiata vincente sul campo e affiatatissima nel privato. Adriano è riconosciuto come il dirigente italiano numero uno, ma Galliani esiste perché esiste Berlusconi, e viceversa”: queste poche parole romantiche e affettuose sono di Paolo Berlusconi, il fratello minore di Silvio, e racchiudono molto del rapporto fra Adriano e Silvio.

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Un lei più che altro formale, di etichetta e ossequio gerarchico, perché in realtà il tu sarebbe persino riduttivo per descrivere la loro storia nata sul lavoro e diventata una simbiosi pressoché totale nella vita. Se così non fosse, Galliani non avrebbe mai iniziato a frequentare Arcore ogni inizio settimana, fra gli invitati al pranzo di famiglia dove vengono discussi e decisi gli affari di un intero impero. Di cui il Milan faceva parte, certamente, ma la presenza di Adriano è proseguita anche quando il Milan non c’è più stato.

Un giovane Adriano Galliani con Dino Zoff

E allora sarebbe più appropriato il noi, quando si parla di loro. Un tandem dalla sincronia perfetta per affinità epidermica e perché Galliani ha sempre recitato magistralmente la parte del numero due. Frontman – sotto il sole e sotto la grandine – quando non c’era il presidente, un passo indietro quando compariva lui. Come sa bene chi seguiva per lavoro il Milan all’epoca e cercava di strappare qualche frase all’amministratore delegato allo stadio o a Milanello: “Oggi c’è il presidente, e quando c’è il presidente parla solo il presidente”, sorrideva Galliani. Comunque molto più di un numero due, di una semplice spalla. Un numero uno in pectore, in realtà, che in pubblico faceva perfettamente le veci del datore di lavoro e in privato gli portava avanti gli affari calcistici con una passione sconfinata. Come se il Milan fosse stata una creatura sua. Si sono ritrovati a Monza e sono saliti insieme sulla DeLorean di Michael J. Fox, tornando indietro di trent’anni. Silvio e Adriano hanno diviso pane e Milanello dal 1986 al 2017, trentuno anni in cui hanno vinto qualcosa come ventinove titoli e portato il Milan sul tetto del mondo. Poi, dal 2018, un’altra impresa con il Monza dalla C alla A. Volevano sfidare il “loro” Milan a San Siro, sono riusciti a fare anche questo. Una vita lavorativa e personale intrecciata come un cesto di vimini: tanti elementi abbracciati l’uno con l’altro, in una simmetria totale che non è stata soltanto calcio. Galliani è stato nominato anche presidente delle società immobiliari del gruppo Fininvest, presidente di Mediaset Premium, membro del Cda di Fininvest e, sfogliando il calendario a ritroso, a.d. di Mediaset. C’è anche la parte politica, candidato da Berlusconi e poi diventato senatore, ovviamente, di Forza Italia.

Con Berlusconi in tribuna a “San Siro”

Le cartoline più iconiche, però, arrivano dal mondo del calcio. Con Silvio e Adriano vicini di poltroncina in tribuna a festeggiare un gol, una vittoria o un trofeo. Uno compassato, l’altro ubriaco di gioia, col viso trasfigurato. Adriano ha costruito a Silvio rose che hanno vinto scudetti, Coppe dei Campioni e Intercontinentali. Gli ha portato a Milanello Palloni d’oro – ben otto – e squadre che hanno scritto alcune delle pagine più belle del calcio italiano e mondiale. E pensare che era iniziato tutto per motivi di lavoro che nulla hanno a che fare col pallone. Come ama raccontare Galliani, il 1° novembre del 1979 Berlusconi lo invitò a cena ad Arcore, chiedendogli se con la sua Elettronica industriale – una piccola azienda che portava in Italia il segnale delle televisioni straniere (Telemontecarlo e Tv Svizzera) – sarebbe stato in grado di costruire tre reti nazionali.

Galliani (a sinistra) insieme al presidente Silvio Berlusconi e all’allenatore Nils Liedholm nel 1986

Galliani rispose di sì, e scoccò la scintilla. Quarantaquattro anni dopo Adriano racconta che se la loro avventura fosse un film, sarebbe “Fuga per la vittoria”. Non c’è bisogno di spiegare perché. Una simbiosi che si nutre di un’aneddotica sconfinata, come la volta in cui Galliani comprò Desailly per dieci miliardi di lire senza avvisare il presidente. Che ovviamente si arrabbiò. Sì perché come in ogni coppia che si rispetti, non sono stati soltanto sorrisi e arcobaleni. Qualche volta sono sbarcati a Milanello giocatori su cui Berlusconi non era convinto, e Galliani non ha trascorso un periodo esattamente sereno quando in panchina sedeva Seedorf, uno che alzava il telefono e parlava direttamente col pres.

Binomio vincente anche nel Monza

Il momento decisamente più complicato però fu quando Silvio nominò la figlia Barbara a.d. proprio come Adriano, dividendo le deleghe. Una diarchia che Galliani sapeva già non avrebbe funzionato, tanto da rassegnare le dimissioni. Poi rientrate su richiesta – che suonava quasi come una preghiera – da parte di Silvio: non te ne andare. E così fu. Nel 2017, con la cessione del vecchio Diavolo a Li Yonghong, Silvio e Adriano hanno pianto insieme, nel lasciar andare la loro creatura. Si sono ritrovati in Brianza un anno dopo. Perché, come dice il fratello Paolo, Berlusconi non esiste senza Galliani e viceversa.

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