Alla fine del 1985, la situazione dell’Olympique Marsiglia era tranquillamente definibile come “tragica”. Non solo perché erano nove anni che non vinceva un titolo, e in mezzo aveva vissuto quattro stagioni di seconda divisione e una liquidazione giudiziaria; la squadra veleggiava nei bassifondi della Division 1, con tanti buchi nel bilancio quanti quelli in difesa, e sembrava sul punto di un altro clamoroso crack. Fu a quel punto che arrivò, come un profeta pieno di grana, Bernard Tapie. A chiamarlo a Marsiglia era stata Edmonde Charles-Roux, nota scrittrice e giornalista, ex-partigiana e ora moglie di Gaston Deferre, che era stato sindaco della città provenzale dal 1962 al 1981 per il Parti Socialiste. Charles-Roux e Deferre avevano intuito l’importanza capitale che la squadra di calcio aveva nel tessuto economico marsigliese, costruito su un tifo caloroso, multiculturale e di estrazione umile, che poi era lo stesso a cui attingeva il loro partito. L’acquisizione dell’OM da parte di Tapie – come racconta Valerio Moggia su “Pallonate in faccia” – fu uno dei primissimi casi in cui la politica locale interveniva direttamente per salvare un club di calcio dal disastro, assumendosi il ruolo di guardiana del rapporto strettissimo tra cittadinanza e tradizione sportiva. E fu grazie a questo che Tapie spuntò come prezzo d’acquisto quello simbolico di 1 franco. Nato in una famiglia operaia di Parigi, aveva iniziato la sua impressionante scalata al successo nella seconda metà degli anni Sessanta vendendo televisori, per poi gettarsi in ambiziosi progetti imprenditoriali. Nel 1974 aveva fondato Cœur Assistance, un’azienda che sottoscriveva abbonamenti per clienti affetti da problemi cardiaci, promettendo loro che, in caso di infarto, sarebbe bastato premere un pulsante per avere in pochi minuti un’ambulanza pronta sotto casa.
Sette anni dopo, un tribunale lo avrebbe condannato per pubblicità ingannevole, dato che delle cinque ambulanze promesse ne aveva in realtà appena due. Il fallimento di quel progetto lo aveva però indirizzato verso la sua vera vocazione: l’acquisto di società sull’orlo del fallimento, da risanare e rivendere. Nella prima metà degli anni Ottanta, Bernard Tapie era divenuto popolarissimo in tutta la Francia, non solo per i suoi successi negli affari, ma anche perché partecipava in prima persona agli spot televisivi delle sue aziende, tanto che nel 1984 era stato eletto Uomo dell’anno dalla stampa transalpina. Tra le sue proprietà c’era anche La Vie Claire, un’azienda alimentare attraverso la quale si era avventurato nello sport, sponsorizzando una società ciclistica divenuta la migliore al mondo, vincendo il Tour de France nel 1985 e nel 1986. Che fosse un uomo ricco e capace di gestire un’azienda, era fuori di dubbio, così come s’interessasse di sport; inoltre, da tempo aveva orientato i suoi affari verso il Sud della Francia, e un investimento nel Marsiglia non poteva che rafforzare la sua figura.
Anche perché Tapie aveva ambizioni politiche: notoriamente di destra, aveva già provato a convincere Jacques Toubon, segretario del Rassemblement pour la République, a farsi candidare, ma nel partito ci si fidava poco del suo avventurismo imprenditoriale, e non se n’era fatto nulla. Così Tapie era saltato dall’altra parte, verso il Parti Socialiste, che era al governo dal 1981 e dove François Mitterand aveva deciso di consolidare la propria forza elettorale aprendo il partito a personaggi popolari anche se non necessariamente di sinistra. Charles-Roux e Deferre avevano quindi sondato il terreno per quell’innaturale alleanza provando a regalare il Marsiglia a Tapie. L’inizio del nuovo OM fu scoppiettante: con sé, Tapie portò in società Michel Hidalgo, che da allenatore aveva guidato la Francia alla conquista dell’Europeo del 1984, nominandolo direttore sportivo del club. Hidalgo si mosse subito per la panchina, licenziando lo jugoslavo Žarko Olarević e assumendo in sua vece il fidato Gérard Banide, con cui aveva lavorato sia al Monaco che in Nazionale.
In rosa c’erano già il forte portiere camerunense Joseph-Antoine Bell e il difensore José Anigo, ma alla prima campagna acquisti furono aggiunti l’esperto Alain Giresse dal Bordeaux, il baluardo difensivo dello Stoccarda Karlheinz Förster e, in attacco, il prolifico Jean-Pierre Papin, emigrato solo un anno prima in Belgio. La prima stagione del nuovo corso si concluse con un esaltante secondo posto alle spalle del Bordeaux, miglior risultato in campionato dal 1975, e la finale di Coppa di Francia, persa sempre contro i Marines et Blanc. L’anno seguente portò in dote un consistente rafforzo in attacco, dove Papin si trovò affiancato dalle mezepunte Klaus Allofs del Colonia e Ayew Abedi Pelé, promessa ghanese prelevata dal Mulhouse. Il Marsiglia arrivò in semifinale di Coppa delle Coppe, venendo eliminato dall’Ajax, ma il deludente sesto posto in campionato costò la panchina a Banide. Lo rimpiazzò l’esordiente Gérard Gili, un nome noto nel milieu marsigliese, chiamato più che altro a mettere ordine nello spogliatoio, demandando a Hidalgo le questioni tattiche. Sul mercato ci fu il ritorno dal prestito del terzino sinistro Éric Di Meco e un consistente investimento per assicurarsi la promessa dell’Auxerre Éric Cantona, investimenti sufficienti a garantire al club, trascinato dalle reti dell’implacabile Papin, il ritorno al titolo nazionale, seguito dalla conquista della Coppa di Francia. Lo scudetto dava la possibilità a Tapie per puntare a quello che gli interessava veramente: la conquista della Coppa dei Campioni, trofeo che nessuna società francese aveva mai sollevato. La sua carriera andava a gonfie vele: nel 1987 il potente pubblicitario Jacques Séguéla lo aveva messo in contatto diretto con Mitterand, che aveva approvato, nonostante le resistenze interne al partito, la sua candidatura a deputato nella circoscrizione della Bouche-du-Rhône, una roccaforte della destra.
Tapie condusse una campagna elettorale spregiudicata: prima tentò un’improbabile alleanza elettorale con Ronald Perdomo, candidato del Front National; poi arrivò addirittura a inscenare un falso allarme bomba durante un proprio comizio per spingere gli elettori dalla sua parte. Fu un’elezione controversa, annullata per irregolarità e replicata un anno dopo, nel 1989, ma che si concluse con una clamorosa vittoria di Tapie su Guy Teissier. Quel capolavoro politico lo aveva costruito a settembre, due mesi prima del voto: TF1 aveva organizzato un dibattito televisivo a cui avrebbe partecipato anche il leader neofascista Jean-Marie Le Pen, cosa che aveva convinto i rappresentati degli altri partiti a ritirarsi per protesta; Bernard Tapie si era allora proposto come contraddittorio, cogliendo l’occasione al balzo. Il duello in tv tra il più famoso e amato imprenditore francese e il più discusso politico populista del Paese fece il record di ascolti, regalando ulteriore notorietà a entrambi. Pochi mesi prima, il presidente del Marsiglia aveva anche condotto una delle più superbe campagne acquisti della storia del calcio francese, portando all’Olympique Jean Castaneda dal Saint-Étienne, Carlos Mozer dal Benfica, Manuel Amoros dal Monaco, Alain Roche e Jean Tigana dal Bordeaux, Didier Deschamps dal Nantes, Enzo Francescoli dal Racing Club e addirittura Glenn Waddle dal Tottenham.
Come risultato, era arrivato il secondo scudetto e una semifinale di Coppa dei Campioni persa contro il Benfica. Tapie aveva mal sopportato il mancato trionfo europeo, e aveva sostituito Gili con Franz Beckembauer, che aveva appena vinto il Mondiale alla guida della Germania Ovest. I nuovi ritocchi alla formazione avevano visto il ritorno di Cantona dal prestito al Montpellier, l’innesto del difensore goleador dell’Auxerre Basile Boli e, per rimpiazzare il deludente Francescoli, l’arrivo del Maradona dell’Est Dragan Stojković. Ma Beckembauer si rese presto conto che lui e Tapie avevano visioni del calcio distanti anni luce: l’allenatore tedesco durò solo fino al termine del 1990, lasciando spazio al 70enne maestro belga Raymond Goethals, che condusse l’OM a un altro campionato, alla finale di Coppa di Francia e a quella di Coppa dei Campioni, dovendosi arrendere questa volta davanti alla Stella Rossa (a cui aveva sottratto l’inconcludente Stojković). La nuova stagione iniziò così con un nuovo allenatore, Tomislav Ivić, che qualche anno prima aveva vinto Supercoppa europa e Coppa Intercontinentale con il Porto, e altri importanti colpi: Jocelyn Angloma dal Paris Saint-Germain, Trevor Steven dal Glasgow Rangers e Alen Bokšić dal Cannes. Ivić, però, ebbe vita ancora più breve di Beckembauer, e a fine settembre aveva già le valigie in mano, mentre a Marsiglia tornava l’intramontabile Goethals, che come prima cosa chiese (e ottenne) la cessione dello sregolato Cantona, che andò a costruire altrove la sua leggenda. Arrivò un altro scudetto, ma la prestazione in Coppa dei Campioni, con l’eliminazione agli ottavi di finale, era ben lontana dalle aspettative del presidente. Bernard Tapie era sempre più un uomo che viveva di colpi estemporanei quanto assurdi, che si nutriva dell’attenzione altrui: fu il primo vero populista moderno. Nella primavera del 1992, durante la campagna per le regionali, aveva convinto alcuni esponenti del Parti Socialiste ad accompagnarlo a un comizio del Front National per studiare l’avversario; lì era stato accolto con sonori fischi, ma il candidato del FN lo aveva invitato a salire sul palco a replicare, così da dimostrare lo spirito democratico del partito di estrema destra che tanto spaventava la Francia.
Tapie accettò e pronunciò un discorso destinato a fare epoca: “Il mio piano sull’immigrazione è di prendere tutti gli immigrati – uomini, donne e bambini – caricarli su delle barche e rimandarli a casa loro. Poi, per essere sicuri che non tornino più indietro, li affondiamo”. E mentre il pubblico, dopo un attimo di sbigottimento, prese ad applaudirlo e incitarlo, Tapie sorrise, per poi aggiungere: “Non mi ero sbagliato su di voi. Parlo di un massacro, di un genocidio, di uccidere uomini, donne e bambini, e voi applaudite! Domani, mentre vi fate la barba o vi truccate, quando vi guarderete allo specchio, vomitateci sopra!”. Nelle successive interviste, Tapie arriverà a definire gli elettori di FN “bastardi” e “handicappati”. Le elezioni non andarono bene per i socialisti, ma pur perdendo nella regione Provence-Alpes-Côte d’Azur la sinistra ottenne un risultato più che accettabile, e un mese dopo Tapie venne “promosso” da Pierre Bérégovoy, Presidente del Consiglio di Mitterand, a Ministro delle Città. Il 1993 sarebbe stato il suo anno, ne era convinto. Il Marsiglia cambiava: Steven, Waddle, Mozer e soprattutto Papin (che nel frattempo aveva vinto il Pallone d’Oro nel 1991) lasciavano per l’estero, e al loro posto sopraggiungevano alcuni giovani interessanti (Fabien Barthez, Marcel Desailly) più giocatori di maggiore esperienza (François Oman-Biyik, Rudi Völler, Rafael Martín Vázquez). Il nuovo allenatore, Jean Fernandez, fece la solita fine dei suoi predecessori, venendo cacciato a novembre per i dissapori con il presidente e sostituito, come al solito, da Goethals. Ma era davvero l’anno buono: l’OM conquistò in scioltezza il campionato, trascinato dal trio Boksic-Völler-Pelé, e infine colse l’impresa, conquistando la tanto agognata Coppa dei Campioni (che da quell’anno aveva preso il nome di Champions League), sorprendendo in finale il Milan con gol di Boli. Ma quel momento storico era destinato a lasciare un segno profondissimo nella storia del calcio europeo, ben oltre ciò che i marsigliesi potevano immaginarsi. Tre anni prima, Bernard Tapie aveva investito una grossa somma nell’acquisto di Adidas, il colosso tedesco dell’abbigliamento sportivo. Ma i soldi per la trattativa venivano tutti da Crédit Lyonnais, una banca controllata dallo Stato, e ora che era Ministro la questione rappresentava un conflitto d’interessi: Tapie diede mandato alla banca di vendere l’azienda, cosa che avvenne nel febbraio 1993 per oltre 2 miliardi di franchi. Solo che la cifra non bastava a ripagare i pesanti debiti che il presidente dell’OM, pesantemente esposto verso le banche, e in particolare verso Crédit Lyonnais.
Di lì a poco, Tapie accusò CL di aver compiuto una vendita poco pulita di Adidas e chiese un risarcimento, aprendo una causa destinata a durare decenni. Nel frattempo, la Francia era in piena crisi economica, si susseguivano vari scandali corruzione legati alla politica, e dopo il tracollo delle legislative di marzo l’ormai ex-Primo Ministro Bérégovoy si sparò in testa. Questo, però, era solo l’inizio. A giugno, il difensore del Valenciennes Jacques Glassmann rivelò che, qualche settimana prima, il suo ex-compagno di squadra al Marsiglia Jean-Jacques Eydelie aveva offerto dei soldi a lui e ad un paio di suoi colleghi per risparmiarsi nella sfida di campionato contro l’OM, che in settimana avrebbe dovuto giocare la finale di Champions League. Interrogato, Eydelie confessò che lo aveva fatto su mandato del presidente Tapie. Lo scandalo che scoppiò era talmente grande che, sulla stampa francese, eclissò totalmente la Guerra del Golfo. Tapie, che dalla primavera non era più Ministro, tentò una nuova carta politica, consapevole anche del calo di consensi dei socialisti, e fondò una propria lista con l’appoggio del Mouvement des Radicaux de Gauche (un partito di centrosinistra liberale) per presentarsi alle europee del 1994, dove avrebbe conquistato un altro seggio. Ma il sogno dell’OM stava ormai naufragando: la UEFA, visto lo scandalo in atto, escluse il club dalla Supercoppa europea e dalla Champions League, e la stessa cosa avviene per la Coppa Intercontinentale.
La Federcalcio francese squalificò a vita Eydelie e il general manager del Marsiglia Jean-Pierre Barnès, revocando lo scudetto dell’anno precedente. A novembre, Desailly e Bokšić vennero ceduti; in panchina c’era l’ex-tecnico dell’U21 transalpina Marc Bourrier, che grazie alle reti del giovane centravanti brasiliano Sonny Anderson e, finalmente, ai numeri di Stojković, centrò un secondo posto in campionato, alle spalle del Paris Saint-Germain. Ma servì a ben poco, perché quando il processo sportivo terminò, il Marsiglia venne retrocesso d’ufficio in Division 2, causando l’esodo delle sue stelle: Di Meco, Angloma, Boghossian, Deschamps, Boli e Völler lasciarono il club appena possibile. Bernard Tapie venne prima squalificato a vita e poi, nel processo penale, condannato a 2 anni e 8 mesi di prigione. Il club aveva accumulato negli anni una marea di debiti e la sua esistenza era nuovamente a rischio, soprattutto dopo l’interdizione notificata dalla DNCG, l’organo contabile del calcio francese.
Tapie negava, accusando un complotto politico ordito dal presidente dell’associazione, André Soulier, esponente di spicco del Parti Républicain, e dichiarò che la cessione della società era l’unico modo per evitare che i suoi nemici la potessero ancora danneggiare: senza dubbio,un modo originale per dichiarare di dover vendere per non andare in bancarotta. Così, nel dicembre del 1996 l’epoca esaltante quanto turbolenta di Bernard Tapie a Marsiglia si concluse, con il club che passava nelle mani di Robert Louis-Dreyfus, la stessa persona che, pochi anni prima, aveva rilevato Adidas. La parabola di Bernard Tapie si sarebbe stiracchiata ancora per anni, dilungandosi in processi su processi, accuse e controaccuse, apparizioni televisive e cinematografiche, nuovi scandali e rivelazioni. Per un decennio, però, fu uno degli uomini più potenti di Francia, un politico ambiguo capace al tempo stesso di farsi amare e odiare in ogni schieramento politico.
Se i suoi duelli contro il Front National sono materia d’archivio di tv e giornali, negli anni si è parlato di non pochi incontri segreti e tentativi d’intesa con Le Pen; nel 2007 prima sostenne Dominique Strauss-Kahn alle primarie socialiste, per poi schierarsi con Nicolas Sarkozy alle presidenziali. La sua ascesa e il suo declino furono legati a quelli del Parti Socialiste, che dopo 14 anni di governo, nel 1995 cedette il passo al centrodestra, mentre Mitterand, affetto da un tumore alla prostata a lungo tenuto nascosto, lasciava il mondo nel 1996, proprio in concomitanza col tramonto dell’era Tapie. Il nuovo Marsiglia era solo un lontano parente di quello di fine anni Ottanta inizio anni Novanta: dovette attendere fino al 2010 per tornare a vincere un titolo di primo piano, con uno scudetto che, al momento, è l’unico conquistato dall’addio di Tapie.