I cannonieri d’America
Giu 27, 2024

La rivalità calcistica tra Brasile e Argentina risale a più di un secolo fa ed è così radicata che i migliori attaccanti della Copa América sono eroi sia dell’Albiceleste che della Seleção.

Improvvisamente, dopo 28 minuti di gioco, la partita Argentina-Brasile che avrebbe definito la vincitrice della Copa América del 1946, è diventata grigia e ha trasformato quel soleggiato pomeriggio di febbraio nel più buio della storia del torneo continentale più antico del mondo.

La vergognosa battaglia campale cche caratterizzò la finale della Copa América del 1946

Il capitano argentino José Salomón si contorse per il dolore. Pochi secondi prima, Jair Rosa Pinto, centrocampista e idolo all’epoca del Vasco da Gama, aveva distrutto la gamba del leader della difesa gaucha, un infortunio che rappresentò la fine della sua carriera, almeno in nazionale.

Da sinistra: Salomón con l’allenatore Stábile; Jose Pedro Battagliero viene portato fuori infortunato; Heleno de Freitas cerca di sorprendere il portiere argentino Vacca

Le ottantamila anime che gremivano lo stadio Monumental di Buenos Aires per assistere ad una promettente classica tra due giganti del calcio mondiale, senza molto preavviso, si trovarono invece ad assistere a un vero concerto di pugni, calci, sgambetti, spintoni e colpi di ogni tipo che solo chi è cresciuto nelle baraccopoli e nelle favelas ha imparato.

Anche la polizia locale, rappresentata da un numero esagerato di uomini in divisa, scese in campo per farsi giustizia ai danni dei brasiliani che dal canto loro ricambiavano quello che potevano e correvano per il campo come atleti in una corsa ad ostacoli.

Dei fatti sono rimaste alcune immagini sbiadite, ad esempio: Chico e Jair che sfuggono a Fonda e Strembel, poi l’attacco di Chico a Pescia, che viene vendicato da Marante e da un picchetto di carabinieri che riescono ad abbattere il brasiliano, che poi trasformano in una palla di cuoio

Salomón a terra ma ancora in forma contro Tesourinha (insieme a Fonda e, dietro, Strembel) e il suo dramma negli spogliatoi

Il caos generato ha trasformato il prato del Monumental letteralmente in un campo di battaglia; la mancanza di controllo durò almeno altri dieci minuti, solo fino a quando i brasiliani riuscirono a raggiungere la loro trincea, quel giorno non si parlò di spogliatoi.

Un’ora e dieci minuti dopo e sotto la guida del difensore Domingos da Guía, il Brasile tornò in campo; tuttavia, il gioco, dopo la già citata rissa, ebbe un prosieguo di tensione alle stelle. E di mille provocazioni.

Zizinho secondo da sinistra a destra nell’ultima fila, in una delle formazioni del Brasile campione sudamericano nel 1949

Quella finale della Copa América del 1946 fu l’unica in cui si affrontarono i due più grandi cannonieri della storia del torneo. Da un lato vestito di albiceleste Norberto Tucho Méndez. Ancora con indosso la casacca ufficiale bianca con risvolti blu, il carioca Tomás Soarez da Silva, che la storia ricorda come Zizinho. I due rappresentavano il calcio puro fatto di malizia, bravura e gol, insomma: erano classe pura.

Lo stop della partita e poi gli argentini convincono i brasiliani a rientrare. Suona come costrizione?

Tucho

Essendo nato al confine invisibile dei quartieri Nueva Pompeya e Parque de los Patricios, non avrebbe potuto simpatizzare per un club diverso dall’Huracán, dove ha fatto carriera. Con El Globito era un idolo assoluto, i suoi passi storti e i suoi 84 gol lo hanno collocato in un posto particolare nella storia del club dove ha avuto il lusso di giocare al fianco dell’idolo a cui portava la valigia da bambino: Herminio Masantonio.

Tucho Méndez, quello con la postura impossibile da modificare, si trasferì poi al Racing e con La Academia si creò il proprio mito per i posteri poiché fu il campione della squadra che vinse i primi due campionati di professionismo argentino nel 1949 e ‘50, accanto a Mario Boyé, Rubén Bravo, Simes ed Ezra Sued.

Con la squadra argentina fu pura storia in Copa América, integrò i devastanti attaccanti campioni nel 1945 a Santiago, gente come René Pontoni e Rinaldo Martino, quelli nel 1946 in Argentina, Adolfo Pedernera e Ángel Labruna, e nel 1947 in Ecuador, René Pontoni, Alfredo Di Stéfano e José Manuel Moreno.

L’Argentina. In piedi, da sinistra: l’allenatore Guillermo Stábile, Vicente de la Mata, Norberto Méndez, Adolfo Pedernera, Ángel Labruna, Félix Lostau e il massaggiatore Chichilo Sosa;. Accosciati: José Salomón, Juan Sobrero, Juan Fonda, León Strembel,
Claudio Vacca e Natalio Pescia

Tucho era un vero porteño, frequentava le notti del Marabú e del Chantecler, dove conversava tra gli altri con il grande Aníbal Troilo, prolifico compositore e suonatore di bandoneon con il quale professavano reciproca ammirazione.

Un tango del 1953 intitolato con il suo nome, con testi di Manuel Pose e musica di Victorio Papini, lo ricorda così:

Tucho Mendez

sui campi è cresciuto;

Tucho Mendez

con i suoi sogni ha vissuto;

Tucho Mendez

stava facendo il giro del mondo

quell’arte così profonda

che lo ha trasformato in una crepa.

Ma la storia del calcio lo ricorda di più con questa sua frase d’autore:

“L’Huracán era la mia ragazza… Le corse mia moglie… e la nazionale la mia amante…”

Maestro Ziza “Zizinho”

Tomás Soares da Silva, rappresenta quei milioni di garotos che nascono attaccati ad una palla e che sembrano germogliare selvaggi dalle viscere della baia di Guanabara.

Il suo sogno era giocare con la sua amata squadra: l’América di Río, ma nonostante avesse mostrato il suo talento nelle squadre giovanili della regione di Rio de Janeiro,  gli è stata negata l’opportunità. Il destino gli aveva riservato un posto in quel 1939 quando la sua magia illuminò il quartiere di Gavea e iniziò a fare la storia con la passione rossonera, la passione popolare di Rio, il Flamengo di Flavio Costa.

Tucho Méndez tiene in mano un tabloid dell’epoca, i suoi compagni lo circondano

All’inizio ha ha giocato al fianco del grande Leônidas da Silva, il diamante nero. Zizinho è diventato la stella più raffinata del calcio brasiliano, aveva l’arte di Tim, la visione di Jair, la velocità di Leônidas e attributi paragonabili solo a quelli di Pelé, che lo ha sempre definito il suo grande idolo.

Con il Mengão fu campione nel 1939 e conseguì  tre volte lo Scudetto dal ‘42 al ‘44, il periodo con il quale iniziò l’era della squadra più seguita dello Stato di Rio. La gente iniziò a chiamarlo Maestro Ziza, per il suo calcio magico e pletorico, che i giornalisti brasiliani iniziarono a chiamare arte calcistica.

Zizinho ha difeso i colori del Brasile nelle Copas América nel 1942, 1945, 1946, 1949, 1953 e 1957. Ha vinto il titolo nel 1949 giocando in casa: sembrava il miglior presagio per quello che sarebbe stato il Mondiale del 1950, in casa, in cui il Brasile era il grande favorito.

Zizinho

Ma la magia del Maestro Ziza non fu sufficiente. Nonostante sia stato giudicato come il miglior giocatore del torneo, Zizinho è uno di quei figli del Maracanazo, la dolorosa sconfitta le cui ferite sembrano non rimarginarsi mai nei tifosi brasiliani.

Zizinho è considerato uno dei migliori giocatori della storia del Brasile, il suo ricordo dura in Samba de Bangú, brano in cui il maestro Ataulfo ​​Alvez lo cita insieme a Domingos ad Guia:

Vado a samba lá a Bangú Vado a samba lì a Bangú…

La tua fama non scivola la tua fama non scivola…

Fine della partita… la Copa América del 1946

Il leader carioca Domingos da Guia riesce a convincere le autorità a fornire garanzie per tornare in campo; se ne è assunto la responsabilità il giudice uruguaiano Valentini, che ha espresso il suo fastidio per la brutalità con cui è intervenuta la polizia argentina.

Scene della gazzarra passata alla storia

Le squadre tornano senza Chico e De la Mata, espulsi e ovviamente senza il capitano argentino, Salomón, che si è fratturato tibia e perone grazie al placcaggio di Jair.

La storia ufficiale della Copa América indica che la partita, iniziata alle tre, finì alle dieci. Sicuramente esagera, ma ci sono volute quattro ore e mezza per completarla, e altre tre per far uscire il Brasile dallo stadio… e che la vittoria è stata dell’Argentina con due gol di Tucho Méndez.

Tucho e Zizinho, simboli della Copa América

Epilogo

Norberto Tucho Méndez e Zizinho sono i migliori marcatori nella storia della Copa América con 17 gol. L’argentino con 14 partite giocate mentre il brasiliano lo ha fatto dopo 33 gare.

Crudele paradosso che questa coppia di talenti si sia vista solo una volta sul medesimo campo, nel contesto di uno dei pomeriggi più sfortunati della Coppa, ma quella è la nostra storia, quella è l’essenza di quel calcio, quello è quel calcio…

Mario Bocchio

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