“La libertà è poter raggiungere le mete principali della nostra vita. Poter respirare e creare tutte le cose buone che ci passano per la testa.”
Nei Conceição
Maggio 2015, stadio municipale Alfredo Ribeiro dos Santos, Paquetá, Rio de Janeiro. Un pubblico abbastanza nutrito è accorso ad assistere a questa partita di calcio amatoriale, che segna l’esordio di un club fondato due mesi prima, il Radical Contra Futebol Clube. È una squadra di ragazzi appena maggiorenni, che si sono scelti come simbolo un’immagine di Buenaventura Durruti, l’anarchico spagnolo che fu uno dei leader repubblicani durante la guerra civile e la difesa di Madrid. La fascia di capitano, però, la indossa un signore di settant’anni, numero 5 sulle spalle, e piedi educati che dell’età se ne fregano. Molta di quella gente è venuta allo stadio anche per vedere lui.
Il suo nome è Nei da Conceição Moreira, o semplicemente Nei Conceição, e ha alle spalle una carriera abbastanza gloriosa con la maglia del Botafogo di Rio de Janeiro, che però non gli ha permesso di entrare nel novero di quei miti che il calcio brasiliano ancora celebra. A settant’anni, è un idolo di provincia, un ex-giocatore attorno a cui gravità un culto ristretto, e a lui sembra andare bene così. È nato a São João de Meriti, una cittadina popolare alla periferia di Rio, e si è messo presto in mostra come un centrocampista di grande eleganza e senso tattico, arrivando a essere nel 1966 una delle novità portate in prima squadra da Mário Zagallo, leggenda del Botafogo e campione del mondo del 1958, che aveva da poco assunto la carica di allenatore dopo il ritiro da calciatore.
Il Brasile dell’epoca, come scrive Valerio Moggia su “Pallonate in Faccia”, era molto diverso da quello del 2015. Nel 1964, il governo laburista di João Goulart era stato abbattuto da un golpe militare appoggiato dagli Stati Uniti, che aveva messo al potere un regime nazionalista, conservatore e liberista, che aveva subito abbattuto le riforme di Goulart in favore delle classe più povere. La censura e la repressione del dissenso erano divenute le nuove tendenze governative e il calcio doveva essere la grande arma della dittatura per propagandare la sua narrazione di un Brasile moderno e vincente, e distrarre le masse dalle carenze democratiche.
Al declino politico della nazione si opponeva l’aria di rinnovamento che si respirava al Botafogo: col passaggio di Zagallo dal campo alla panchina, e l’addio di un ormai decaduto Garrincha – oltre che di altri pilastri del decennio precedente, come la punta Quarentinha e il terzino Nilton Santos – il Fogão apriva le porte a una nuova generazione composta da Gérson, Roberto Miranda, Rogério, Afonsinho, Paulo César Caju e Jairzinho. Il nuovo Botafogo si impose come uno dei club più forti e tatticamente organizzati del paese, conquistando il campionato carioca e una Taça Brasil, e spingendo Zagallo verso la panchina della nazionale, reduce dal deludente mondiale del 1966.
Nei Conceição era uno dei principali artefici dei successi del club, e lo diventò ancora di più a partire dal 1969, quando Gérson venne ceduto al São Paulo, andando a formare una linea mediana di valore eccezionale assieme al suo grande amico Afonsinho. I due si intendevano a meraviglia, in campo ma ancor di più fuori: Afonsinho era figlio di un ferroviere, ma grazie ai sacrifici dei famigliari e a una testa un po’ più sveglia della media dei calciatori aveva scelto di andare a studiare all’università, frequentando il corso di Medicina, ed era abbastanza diffusa la convinzione che avesse tendenze comuniste. Per conto suo, Nei Conceição nel tempo libero leggeva gli scritti di Trotskij e chiacchierava con Manoel Maurício de Albuquerque, storico marxista e professore presso l’Università di Rio. Immancabilmente, la polizia militare aveva preso a tenerli d’occhio.
Nel frattempo, Nei arrivava in nazionale, trascinato dalle ottime prestazioni con il Botafogo; Pelé lo prese in simpatia e lo ribattezzò Nei-Chiclete, per la sua abilità nel controllo di palla. Sembrava destinato a essere lui il numero 5 ai Mondiali del 1970, ai quali il Brasile si sarebbe presentato con uno squadrone. Ma, quando si arrivò il momento delle convocazioni, il suo nome non fu nella lista: Zagallo lo conosceva bene, e la giunta militare era stata chiara su cosa significasse rappresentare il paese. Niente ribelli, nel Brasile. Al suo posto andrà Clodoaldo, a confermare la straordinaria qualità del calcio brasiliano del periodo.
La giustificazione ufficiale per l’esclusione era “indisciplina”. Sì, perché Nei Conceição era un giocatore di grande talento ma noto anche per i problemi che creava ad allenatori e dirigenti. Non lo infastidiva allenarsi, ma non aveva sempre ha voglia di farlo coi compagni di squadra, o sul campo del Botafogo, o agli orari e alle condizioni imposti dal club; non amava che gli si ordinasse cosa fare, come se fosse un bambino. E poi, quando gli girava, andava al suo quartiere con gli amici d’infanzia a disputare partite per gioco, e spesso la sera lo si poteva incontrare nei principali locali di Rio de Janeiro, ma non tanto a bere, quanto piuttosto per suonare la tromba in alcuni gruppi jazz del posto.
Nei primi anni Settanta, la stampa brasiliana lo considerava ormai uno dei centrocampisti più forti del campionato, a dispetto del poco spazio che trovava in nazionale. Al Botafogo, però, se ne sarebbero sbarazzati volentieri. Già pochi anni prima erano emersi dei problemi con il suo sodale Afonsinho, a cui i dirigenti avevano imposto di tagliarsi barba e capelli troppo da hippie; lui si era rifiutato ed era stato sospeso, e così aveva chiesto il trasferimento, ma per ripicca la dirigenza glielo negò. Afonsinho, allora, aveva portato il Botafogo in tribunale, rivendicando il suo diritto di lavorare e poter discutere liberamente i termini del suo contratto con qualsiasi altro club, ottenendo una clamorosa vittoria sindacale – la più importante dai tempi di Fausto e del professionismo – negli anni in cui i sindacati erano di fatto fuori legge, e anticipando una riforma che sarebbe stata ufficializzata solo una trentina d’anni più tardi.
Nei suoi otto anni al Botafogo, Nei Conceição ha vinto due campionati carioca, due Taça Guanabara, un Torneio Início, un Torneio Rio – São Paulo e una Taça Brasil, che assegnava il titolo di campione nazionale.
Con Nei, il Botafogo procedette invece a un accordo con il Palmeiras, il ricco club paulista guidato da Oswaldo Brandão, che annoverava già campionissimi del calibro di Emerson Leão, Leivinha, Luís Pereira e Ademir da Guia. Ma Nei Conceição, di abbandonare Rio solo perché obbligato dalla dirigenza, non voleva proprio saperne: pochi giorni prima del trasferimento, prese le sue cose e si trasferì a vivere nei bairro de Jacarepaguá, alla periferia occidentale di Rio de Janeiro, e più precisamente a Cantinho do Vovô, una comune hippie fondata dai Novos Baianos, gruppo rock molto popolare tra i giovani di sinistra, che proprio in quei giorni stavano realizzando Novos Baianos Futebol Clube, il loro terzo album, che metteva assieme calcio, musica e rivolta politica. Mentre i dirigenti del Palmeiras lo attendevano a São Paulo per la presentazione ufficiale, lui giocava e suonava in una comune autogestita alla periferia di Rio: l’affare saltò, e al Botafogo dovettero tenerselo ancora.
Ma il rapporto tra giocatore e club si era ormai deteriorato al punto che non era più possibile recuperarlo. Nel 1974, la dirigenza lo accusò di non allenarsi a sufficienza e lo mise fuori rosa, per poi rescindere il suo contratto. Noto per il suo temperamento ribelle e politicamente antagonista, nessun club di primo piano volle più avere a che fare con lui, e trovò un ingaggio solo nel modesto Centro Sportivo Alagoano. Qui offrì i suoi ultimi incandescenti lampi di classe, esaltando i tifosi di una squadra che era sempre rimasta ai margini del grande calcio brasiliano (anche se, due anni prima, aveva avuto l’onore di fare da sfondo agli ultimi 90 minuti della carriera di una altra ex-stella del Botafogo, Garrincha). Offrì anche le sue consuete contraddizioni, come quando, prima di una trasferta, fu convocato per una riunione straordinaria e non si presentò, facendo sapere che se l’allenatore aveva qualcosa da dirgli poteva raggiungerlo nelle sue stanze. Era stato l’ordine, a farlo scattare: non era un cane, che potevano chiamare a piacimento e che ubbidiva paziente e riconoscente al suo padrone.
A nemmeno 29 anni, la carriera di Nei Conceição, il mediano refrattario alle gerarchie che per un decennio aveva messo in imbarazzo la dittatura militare, poteva dirsi finita. Nel 1977 ci fu un ultimo passaggio, nel piccolissimo Esporte Clube XV de Novembro de Jaú, a São Paulo, e poi più nulla. O meglio, più nulla che gli annali ufficiali si prendano la briga di ricordare: la sua vita proseguì lavorando nel sociale e, nel tempo libero, continuando a giocare a calcio ovunque gli capitasse. Ad esempio nel Trem da Alegria, una squadra amatoriale fondata dal suo amico Afonsinho nel 1975, che coinvolgeva ex-calciatori professionisti e musicisti in partite amichevoli in giro per il paese, che diventavano anche occasioni per iniziative sociali e di sensibilizzazione politica. O nell’ambito del futebol de várzea – comunemente detto anche pelada – un tipo di calcio amatoriale molto rispettato in Brasile, praticato su campi non regolamentari o improvvisati di campagna, e collegato alle radici popolari dello sport.
Negli anni successivi – mentre Sócrates e i suoi compagni attentavano a loro volta alle gerarchie sociali con l’esperimento della democracia corinthiana, e il regime finiva infine per crollare, nel 1985 – Nei Conceição si riscopriva eroe popolare nei campi di pelada, dove si praticava un calcio libero dai vincoli capitalisti del profitto e del professionismo, ripensato per la gente comune di un paese che stava radicalmente cambiando. E quando, anni dopo, i ragazzi del Radical Contra lo vennero a trovare e gli chiesero se voleva patrocinare la loro squadra e giocare da capitano qualche minuto nel loro primo match, Nei Conceição aveva risposto senza indugio di sì, perché quello era il calcio di cui gli era sempre veramente importato.