“A cosa serve passare dei giorni se poi non si ricordano?“
(Cesare Pavese)
Le foto esprimono concetti e trasmettono talvolta emozioni molto più della parola, scritta o parlata. L’immagine vecchia di un secolo, che una mano anonima ha a suo tempo datato con una calligrafia oggi perduta a furia di digitare su tastiere e telefonini, indica con chiarezza il campo da gioco e il risultato, evitandoci faticose ricerche sui giornali dell’epoca. Il destino riserva strane sorprese e quella fotografia certifica un momento storico: il primo match di campionato della stagione 1922-’23 fra Novese e Alessandria. Non una partita qualunque per i padroni di casa che pochi mesi prima avevano saputo vincere uno scudetto in un drammatico spareggio a Cremona con la Sampierdarenese, la mamma dell’attuale Sampdoria. Uno scudetto di cui si possono fregiare in Italia solo poche squadre e due soltanto non sono neppure capoluogo di provincia, Casale e Novese che distano poche decine di chilometri. “Una storia di altri tempi, di prima del motore” per parafrasare i versi di una canzone che i fratelli Grechi-De Gregori scrissero per celebrare le gesta di due altri novesi contemporanei a quell’epoca ma fra loro opposti e illustri, il bandito Sante Decimo Pollastro e il campione Costante Girardengo anche lui socio della Novese perché in un paese di poche migliaia di abitanti i destini degli uomini si incrociano.
Una storia unica che sa di favola a lieto fine ma che per certi versi ha segnato per sempre la Novese perché senza quel tricolore i biancocelesti sarebbero una delle tante gloriose casacche di provincia e il loro nome non finirebbe ciclicamente in qualche quiz serale dove al malcapitato di turno si chiede di indicare chi ha vinto uno scudetto. Pochi lo ricordano eppure c’è stato un tempo, giusto un secolo fa, in cui una squadra poteva permettersi in 1165 giorni di vita, poco più di tre anni, di vincere lo scudetto del campionato italiano di football. Un unicum quella cavalcata della Novese, quasi un’epopea che solo il calcio di fango e polvere di quei tempi poteva riservare, figlio di un’epoca in cui il “giuoco del pallone” non era ancora appannaggio delle metropoli e dei loro capitali, economici e umani , un’epoca dove la Pro Vercelli spopolava e dove una Novese qualunque poteva salire sul tetto della Figc.
Della genesi della Novese sappiamo quasi tutto: la data di nascita – 31 marzo 1919 – i nomi dei fondatori, lo statuto e tanto altro. Merito di un meticoloso dirigente – segretario, quel Natale Beretta che in quei giorni ebbe l’intelligenza di raccogliere i cimeli della nascita dal club, riporli in una enorme cassapanca e tramandarli ai posteri, una scoperta fatta nei giorni del centenario e che per chi ha avuto la fortuna di ritrovarli è stata un’emozione unica, compresa quella maglia della fondazione vecchia di 100 anni di cotone leggerissimo che a prenderla in mano parla. Gran personaggio Natale Beretta. Arbitro internazionale, una presenza nel Milan e alcune nella Novese ma soprattutto l’uomo di fiducia del patron della Novese, Mario Ferretti, il Sire, il padre di quel Mario Ferretti junior che 30 anni dopo da radiocronista Rai divenne il cantore delle gesta di un altro novese di adozione, il Campionissimo Fausto Coppi. A Natale Beretta si deve la conservazione della memoria di quello scudetto e tanto altro, come la genesi dello Stadium che avrebbe ospitato le partite del club.
Fu costruito nel 1920, giusto un secolo fa: ci vollero meno di 6 mesi, qualche soldato del Regio Esercito, un forte autofinanziamento della società e la passione di 200 soci. Ma il 6 giugno di un secolo fa in piazza d’Armi, dove meno di 10 anni prima nacque di fatto l’Aeronautica italiana con le prime manovre di quel nuovo corpo i cui gradi sono mutuati dalla Marina da cui all’epoca dipendeva, si inaugurava una struttura da 1500 posti di cui 600 coperti pagata da privati e con coperture di riciclo come le lamiere per gli spogliatoi recuperate dal vicino campo militare inglese di Arquata Scrivia. Non poco per un borgo di meno di 20 mila abitanti ma quello Stadium – nel secondo dopoguerra fagocitato dallo sviluppo urbanistico della città e di cui oggi rimane una targa e qualche cartolina rarissima – era il biglietto da visita di una squadra che voleva puntare in alto e lo fece, arrivando sul tetto del football dei pionieri, bagnando il naso agli squadroni del Quadrilatero piemontese ma soprattutto partecipando all’unica stagione in cui per una scissione clamorosa i tornei furono due, uno Figc con i club “minori” e l’altro Csi espressione delle potenze dell’epoca. La Novese, con un presidente come Ferretti ben addentro la Figc al punto da divenirne vice presidente per un decennio, ruolo ricoperto anche nella Fifa, scelse il torneo federale che vinse non per caso. Basta scorrere l’elenco dei calciatori schierati dai biancocelesti per capire che quella Novese era una corazzata fatta di elementi di primo piano: Stritzel, i fratelli Cevenini (I e III come usava allora individuarli nei tabellini), Asti, Neri e tanti altri come Vercelli che costituivano una compagine così forte da portare in cima al tetto del calcio italiano una squadra semisconosciuta a molti. Quell’anno non era in rosa un certo Rebuffo, poi divenuto il Professore (titolo di una monografia a lui dedicata da Marcello Ghiglione, storico sportivo che con le sue ricerche ha ridato luce a una storia dimenticata) per essere stato uno dei primi tecnici ad avere conseguito il patentino da allenatore nei primi anni ’30: fu Luigi Rebuffo nato a Buenos Aires sul finire dell’800 a trovare il giusto ruolo nel Venezia a un certo Valentino Mazzola che lo volle con sé al Torino. Per la Novese del Sire Ferretti quello scudetto fu una cavalcata trionfale, l’apice e il pedice della sua storia perché un club di provincia che sale sul tetto del calcio italiano è destinato a vivere di quei ricordi per il resto dei suoi giorni.
E quella foto che appare qui è la prima luce declinante della storia di quella Novese che dopo lo scudetto fu smembrata ed in pochi anni sparì, quasi per sempre dai radar del calcio nazionale.
Non una foto qualunque insomma: intanto perché scattata in quello Stadium – rare le sue immagini – che pochi mesi prima assistette alla cavalcata dei suoi eroi e poi perché da lì a pochi giorni, due settimane per la precisione, il fascismo mostrò i muscoli con la marcia su Roma che fu peraltro uno dei pochi eventi in grado di fermare il campionato di calcio per una settimana. Un’ immagine che rimanda al tempo che fu e che ai – pochi – tifosi biancocelesti rimasti ricorda l’alba e la gloria di quei giorni. Dopo lo scudetto i biancocelesti iniziarono una lenta e inesorabile discesa agli inferi.
Capita raramente nello sport che una squadra di calcio conosca con precisione la fine di un ciclo. Alla Novese è successo perché la squadra il 14 marzo 1926 finì anzitempo il suo campionato dopo avere ricevuto una squalifica per 32 giornate del proprio campo a seguito del pestaggio di un arbitro in un Novese-Spezia. La dirigenza – che si vide tolti i punti conquistati fino a quel momento – ritirò la squadra che fu retrocessa in seconda divisione, torneo a cui non prese parte perché la dirigenza non si iscrisse e il 14 novembre 1926 il club fu dichiarato inattivo.
Non fu la fine della Novese che a vicende alterne e a volte con nomi diversi tornò in campo anche negli anni ’30, ma di un’epoca sì. La Novese dal secondo dopoguerra riprese a giocare con continuità fino ad approdare per un paio di stagioni in serie C nazionale negli anni ’70 prima come Gavinovese – frutto di una fusione con i cugini di Gavi vincitori della D che meriterebbe un capitolo a parte – e poi come Novese ma fu un fuoco di paglia perché da allora i biancocelesti – nessuno sa per quale motivo si fossero scelti quei colori sociali, forse per la passione per la Grecia che in quegli anni andava di moda – hanno vivacchiato nei dilettanti – molto nei tornei regionali qualche volta in quelli nazionali come la D – ma mai hanno saputo rivivere quei giorni epici e inimitabili ormai per chiunque e che hanno reso la Novese un unicum nel panorama della storia del calcio italiano.
Maurizio Iappini