Il 23 maggio del 1974, allo stadio Olimpico di Roma, c’erano undici giocatori di serie B in maglia rosanero trascinati da migliaia e migliaia di tifosi giunti da ogni parte d’Italia. Dall’altra undici calciatori di serie A, quelli del Bologna, ben più famosi e osannati, che avevano eliminato fior di squadroni prima di arrivare a giocarsi con il piccolo Palermo la finale di Coppa Italia.
Per i rosanero che non avevano mai vinto nulla, era il vertice più alto della storia calcistica. Per il Bologna, invece, un’occasione importante per arricchire un palmares già interessante. E’ inutile raccontarla quella partita: inutile ricordare il gol di Sergio Magistrelli, di testa, intorno alla mezzora. Inutile persino rievocare le decine di occasioni da gol sprecate da Barbana e dallo stesso Magistrelli in una finale a senso unico. La squadra di serie B aveva impartito una severa lezione di calcio alla squadra di serie A: se fosse finita tre o quattro a zero nessuno avrebbe avuto da ridire.
La storia di quella partita, in quel pomeriggio romano del 23 maggio 1974, comincia soltanto al novantesimo minuto quando, forse, cambia per sempre la storia del Palermo. Ignazio Arcoleo, in quella partita, era stato il trascinatore dei rosanero. Ma fu, suo malgrado, anche il protagonista in negativo dell’episodio decisivo:
«Il pallone andò in fallo laterale e fu Beppe Savoldi a spedirlo fuori. La rimessa era nostra ma il guardalinee la assegnò inspiegabilmente al Bologna. La palla arrivò a Bulgarelli che era spalle alla porta e non poteva proprio fare nulla: arrivai da dietro, allargai le braccia ma Bulgarelli si tuffò come se fosse stato travolto da un tir. Quello che successe nei secondi successivi io l’ho rivisto soltanto in tv, perché sul campo non capii nulla. L’arbitro, il signor Gonella, fischiò il più assurdo dei calci di rigore. I miei compagni andarono a protestare, io restai a terra, immobile, in trance. Mi vedevo già con la coppa in mezzo al campo e invece mi era appena crollato il mondo addosso. Fu una grande ingiustizia perché quella partita l’avevamo dominata. Anche nei supplementari, malgrado la mazzata del pareggio all’ultimo secondo, giocammo a una porta nella metà campo del Bologna. Sono passati più di trent’anni ma rimane la delusione più grande della mia vita».
Giacomo Bulgarelli lo ammise davanti alle telecamere di una tv privata: «Fu una “furbata”, ormai la partita era finita e soltanto un calcio di rigore poteva rimetterci in corsa. Ci provai e andò bene…». Andò bene perché l’arbitro Gonella – espressione che a Palermo, prima dell’avvento del signor Moreno, era ritenuta un’offesa e nemmeno di poco conto – fischiò senza tradire la minima emozione.
Beppe Savoldi, il bomber che mise a segno il rigore dell’1-1, non ha dimenticato quel match: «Ricordo quella partita minuto per minuto, e posso tranquillamente dire che se c’era una squadra che doveva vincere, quella era il Palermo. Costruirono una valanga di palle gol, spuntavano da tutti i lati e per noi fu un pomeriggio d’inferno. Il rigore? Non lo so se c’era, sono passati trent’anni: di sicuro non c’era il fallo laterale dal quale nacque l’azione, perché fui io a buttare fuori il pallone. Mancava pochissimo, andai a recuperare la sfera sulla pista di atletica e la rimisi in gioco confidando nella confusione dei secondi finali. Andò bene, ma il Palermo non meritava questa delusione. Del resto, la furbizia fa parte del gioco, e non potevo certo sbagliare apposta il rigore…».
Dopo i tempi supplementari, la seconda tremenda beffa: quella dei rigori. Protagonista, ancora una volta, Bulgarelli con la graziosa “complicità” del signore in giacchetta nera: «Giacomo tirò malissimo – ricorda il capitano del Palermo Sandro Vanello – e l’arbitro disse che il nostro portiere Girardi si era mosso prima. Insomma, fece ribattere il penalty, una cosa rarissima nelle finali».
Sulla panchina felsinea c’era un’icona del calcio come Bruno Pesaola: «Che vuole che le dica, che non c’era il rigore? Che il Palermo meritava di vincere? Ci sono le immagini, bastano quelle no?».
Già, ma quella volta il dolore fu immenso e anche dopo tanto tempo brucia ancora: «Vedo ancora i bolognesi che corrono a salutare i loro tifosi – riprende Sandro Vanello – e noi in lacrime negli spogliatoi: l’allenatore Viciani e soprattutto il presidente Renzo Barbera furono bravissimi a consolarci. Non potrò mai dimenticare il silenzio che c’era nello spogliatoio, sembravamo condannati a morte pronti ad andare incontro al nostro destino. Il presidente ci strinse la mano, pagò persino il premio per la vittoria. Un gran signore».
Ferruccio Barbera, il figlio del grande presidente, quella finale di Coppa Italia la ricordava benissimo: «Ero in tribuna, salutai mio padre e scesi in campo per abbracciare la squadra. Mancava un minuto, era fatta. Invece, appena entrato nel sottopassaggio vidi un paio di dirigenti che si erano messi le mani nei capelli. Una beffa atroce. Dopo i rigori andai ad abbracciare Vullo e Favalli, i due che avevano sbagliato dagli undici metri. Erano distrutti, prima di superare lo choc passarono settimane, forse addirittura mesi».
Totò Vullo conferma: «Calciai il rigore perché nessuno se la sentiva. Io ero il più giovane di tutti, forse il più incosciente. Sentivo che avrei segnato, e invece sbagliai. Certo, fu un’ingiustizia, ma anche noi abbiamo avuto le nostre colpe: una partita come quella dovevamo chiuderla già nel primo tempo. In questi casi il calcio è spietato e ti punisce». Giusto, ma senza quel rigore all’ultimo minuto e altre decisioni a dir poco avventate, forse sarebbe andata diversamente.
Il povero Barbera (foto a fianco) la prese malissimo ma cercò di non darlo troppo a vedere: «Mio padre? Non perse mai la calma – riprende Ferruccio – anche se in volto tradiva la sua rabbia. Andò da Gonella, lo salutò gelido e andò via dallo stadio». Dicono le leggende che il presidente portò in dono all’arbitro un paladino siciliano: «Signor Gonella, questi a Palermo li chiamiamo paladini o pupi. Oggi, per lei, è soltanto un pupo. Buonasera, si stia bene».
Barbera era fatto così, non era tanto la sconfitta ad averlo ferito, quanto l’ingiustizia subita. Sono passati ormai tanti anni, ma a Palermo continuano a pensare che furono i poteri forti del calcio a volere la vittoria del Bologna. Una squadra di B in Coppa delle Coppa, probabilmente, non avrebbe fatto bene all’immagine del calcio italiano.