Nell’estate del 1995, il Nottingham Post se ne esce con un titolone rimasto nella storia. Nei giorni in cui si parla con un insistenza dell’arrivo di un campione straniero al Nottingham Forest, la più importante squadra locale, il quotidiano incendia gli entusiasmi generali: “È Baggio!”. Del resto il Divin Codino è appena andato in scadenza con la Juventus, dove ha perso spazio tra acciacchi e l’ascesa di Alex Del Piero. E dunque, perché non sognare? Tanto più che Roby in quello stesso periodo viene accostato pure al Queens Park Rangers. Mentre la città inizia ad accarezzare concretamente una simile pazza idea, il club annuncia l’arrivo dalla Serie A di un calciatore italiano. Solo che non si tratta di Baggio. Il nuovo straniero in questione è Andrea Silenzi.
Il Neil Armstrong del pallone. Silenzi, “pennellone” di 29 anni e un metro e 90 circa d’altezza, diventa il primo calciatore italiano a sbarcare in Premier League. Un apripista per Gianluca Vialli, Gianfranco Zola, Roberto Di Matteo, Fabrizio Ravanelli e tutti coloro che ne seguiranno le orme negli anni a venire. In quel 1995 il Forest, che non ha più il mito Brian Clough in plancia di comando ma è reduce da un brillante terzo posto da neopromossa, sceglie lui come sostituto del bizzoso Stan Collymore, autore di 22 reti nel campionato precedente, ceduto al Liverpool per 8 milioni e mezzo di sterline, all’epoca record per il calcio inglese. Il club spende molto meno per convincere il Torino a lasciar partire l’italiano: 1,8 milioni di sterline. Col calciatore si accorda invece per un triennale da 30000 sterline al mese, un’enormità. Ed è convinto di aver fatto un affare.
Silenzi arriva da una stagione da soli quattro centri, è vero, ma nell’annata precedente ne aveva realizzati 17 nel campionato più bello del Mondo, come Baggio – arieccolo – e solo sei in meno rispetto al capocannoniere Beppe Signori. Ha un curriculum non eccezionale, il “pennellone”, ma più che rispettoso. Nel 1989-‘90 è stato il miglior marcatore della Serie B, segnando 23 volte con la maglia della Reggiana neopromossa e guadagnandosi lo status di beniamino eterno. Oltre alla prestigiosissima chiamata del Napoli di Diego Armando Maradona, campione d’Italia in carica. Al calcio di altissimo livello si è presentato col botto: maglia da titolare e doppietta in Supercoppa Italiana alla Juventus ballerina di Gigi Maifredi, strapazzata per 5-1 al San Paolo, più un assist al bacio per Careca.
In realtà a Napoli non è andata granché bene, perché Diego a un certo punto di quel 1990-‘91 ha salutato tutti e il castello è crollato fino all’ottavo posto finale (in coabitazione proprio con la Juventus). Silenzi al San Paolo è rimasto un paio d’anni, segnando solo sei volte in totale senza riuscire a confermarsi dopo gli anni belli di Reggio. “Cambiò il modo in cui mi allenavo e arrivai a standard non miei”, ha ricordato qualche anno fa, precisando che “raggiungemmo comunque il posto UEFA e, pur non essendo stati due anni bellissimi, ho delle perle da ricordare”. Nel 1992 Silenzi si è così trasferito al Torino, che ha appena perso la Coppa UEFA contro l’Ajax nella serata della celeberrima sedia alzata al cielo da Emiliano Mondonico. E la sua carriera ha avuto una svolta.
Quel Toro ha conquistato la Coppa Italia dopo una doppia finale drammatica contro la Roma (vittoria per 3-0 al Delle Alpi, sconfitta per 5-2 all’Olimpico) e il suo “pennellone” ha lasciato il segno, da vero core ingrato in salsa romana, firmando la doppietta decisiva al ritorno. Se ancor oggi il suo nome è marchiato a fuoco nella storia granata, è soprattutto per quella serata. L’ultima, fino a oggi, nella quale il club ha alzato un trofeo. In campionato le cose non sono andate benissimo: appena tre reti. Ma Silenzi si è rifatto la stagione successiva, quella della vita: con i già menzionati 17 goal ha portato il Torino a sfiorare la qualificazione alla Coppa UEFA e si è guadagnato la convocazione nell’Italia di Arrigo Sacchi, giocando un tempo intero in un’amichevole persa contro la Francia nel febbraio del 1994. Ha sognato concretamente anche lui di salire sull’aereo per gli Stati Uniti, ma l’illusione mondiale è rapidamente scemata nel nulla. Mentre scorrono il curriculum di Silenzi, i dirigenti del Nottingham Forest si compiacciono della scelta che stanno per compiere. Ragazzi, il nostro futuro attaccante ha giocato con Maradona, pensano. Ha segnato una doppietta alla Juve. Ha indossato la casacca azzurra. Ha deciso quasi da solo una Coppa Italia. Forse ignorano l’ultima stagione di Andrea, segnata da infortuni, caratterizzata da un misero bottino di quattro reti e chiusa in anticipo dopo un’espulsione rimediata a Bari a maggio. E di certo non arrivano a sospettare che il ventiseienne romano si trasformerà in una delle più grandi delusioni sportive della storia del club.
Il contatto con Nottingham e con l’Inghilterra, intanto, è subito particolare. Un giornalista di Sky Sports gli chiede cosa gli stia piacendo della sua nuova vita e Silenzi risponde a modo suo: “La birra inglese”. Non è il massimo per accattivarsi le simpatie della gente, probabilmente. Ma Gary Lineker non vede l’ora di vederlo all’opera: “È lui il colpo dell’anno”. E pure il suo nuovo manager, Frank Clark, che ha deciso di acquistarlo nonostante abbia già a disposizione tre stranieri, ne parla in termini entusiastici. “In Premiership non ci sono molti giocatori più forti di Andrea. Grazie alla potenza delle sue gambe, può tenere testa a chiunque. Sembra proprio il classico centravanti inglese, forte e potente, ma è dotato anche di una buona tecnica. Credo proprio che segnerà parecchio”. Le previsioni di Clark, che gongola per aver preso “un eccellente giocatore per un prezzo ragionevole”, non si avverano. A Nottingham, Silenzi balla una sola stagione. Disastrosa. Andrea è lento, spaesato, goffo, apparentemente fuori posto. “Un orso”, lo definiscono i compagni. Tratta male il pallone, non calcia verso la porta, non partecipa al gioco. Fatica ad ambientarsi in città e fatica ad ambientarsi nella rosa. “Ad Andrea, soprattutto all’inizio dell’esperienza inglese, mancavano molto Torino e l’Italia – ha ricordato a Tuttosport Alf Inge Haaland, il papà di Erling, suo compagno di squadra nel Forest nel 1995-‘96 – aveva nostalgia. Ricordo che non amava troppo il tè british… (risata). Però era un top”.
Silenzi gioca in amichevole in estate, in Premier League colleziona la sua prima quarantina di minuti contro il Coventry a settembre, ma è titolare per la prima volta solo a inizio dicembre contro il Bolton in una gara pareggiata per 1-1 al City Ground. Una decina di giorni prima, Clark lo aveva schierato dall’inizio contro il Lione in Coppa UEFA. In generale, come detto, va male. Andrea gioca appena 10 volte in Premier e non segna mai. In quella stagione mette a segno solo un paio di golletti, ma nelle due coppe nazionali e sempre contro formazioni di divisioni inferiori: uno nel replay del quarto turno di FA Cup in un 3-0 esterno all’Oxford, un altro nel primo turno di League Cup in un 2-2 contro il Brentford, insufficiente però per la qualificazione. Silenzi e il Forest ci riprovano – o fingono di riprovarci – nel campionato successivo, il 1996-‘97. Il “pennellone” italiano gioca un paio di spezzoni in Premier League, tra cui una sessantina di minuti in uno 0-0 contro il Leicester, ma ancora una volta non lascia il segno. E così, già a settembre giocatore e club decidono di concedersi una pausa di riflessione. Come un pacco postale, l’ex granata viene rispedito al mittente. Ovvero in Italia. Questa volta a Venezia, in Serie B, in prestito secco. Con i lagunari Silenzi gioca 26 volte e segna quattro reti, confermando di aver perso lo smalto degli anni migliori. Il Nottingham Forest, che detiene ancora il suo cartellino, lo richiama così alla base 12 mesi più tardi. Colpo di scena: Silenzi dice no. In Inghilterra non ci torno più. Il nuovo manager, Dave Bassett, è furioso e in seguito definirà l’italiano “un fiasco completo”. Ma non può far altro che assecondare le richieste del calciatore, determinato a rimanere in Italia. E così nella finestra di mercato estivo del 1997 lo cede alla Reggiana, la squadra dove Silenzi era esploso pochi anni prima. Sempre in Serie B, ma questa volta a titolo definitivo. Il primo italiano della storia della Premier League, l’apripista di Zola, Vialli e tanti altri connazionali, ha fallito.
“Silenzi è l’unico giocatore che ho ingaggiato senza averlo visto all’opera – ammetterà in seguito Clark – Ho chiamato un paio di persone, ho dato un occhio ad alcuni dei suoi video. Guardavo il suo curriculum: in quel momento era nel giro della Nazionale italiana e titolare in Serie A. Ho soppesato ogni cosa e ho deciso di rischiare. Ma non ha funzionato. Non è stata colpa sua, per cui deve essere stata per forza colpa mia. Credo che Andrea sia stato il primo italiano a venire a giocare qui dalla Serie A. Non si è ambientato in Inghilterra, con gli allenamenti. Non è stato tanto il tempo, perché è arrivato da Torino dove fa freddo. Semplicemente non è andata bene. È un ragazzo adorabile, fantastico. Non incolpo nessuno, solo me stesso. Devo prendermi la piena responsabilità”. “Il soggiorno a Nottingham mi è servito molto sul piano personale, pur se sotto il profilo lavorativo è stato negativo – dirà invece Silenzi, che dopo la Reggiana tornerà anche al Torino, ugualmente con poca fortuna, prima di chiudere col Ravenna a 35 anni – Le squadre inglesi sono caserecce nella loro organizzazione, anche sanitaria. Quel che m’è piaciuto è che là un calciatore è una persona normale e può vivere tranquillo”. Oggi Silenzi fa l’imprenditore edile a Roma e non perde occasione per ribadire quanto questo calcio, il football moderno delle televisioni e del business senza controllo, non gli appartenga.
Nel 2009 ha provato a guidare il settore giovanile della Cisco Roma, l’ex Lodigiani, la squadra dei suoi esordi, ma senza troppo successo. A volte ricompare in qualche intervista amarcord, nella quale si chiacchiera soprattutto di Reggiana, Napoli e Torino, le tre piazze più importanti della sua vita. Il titolo di capocannoniere in Serie B, Maradona e la Coppa Italia dell’Olimpico. Dolci ricordi. Quasi mai rispunta l’argomento Premier League, vero tasto dolente. Il problema è che, se nel corso degli anni Silenzi ha provato disperatamente a dimenticare l’Inghilterra, l’Inghilterra non si è dimenticata di Silenzi. In certe classifiche che ogni tanto compaiono su quotidiani e siti web, il suo nome viene menzionato molto spesso. In negativo. Andrea compare nella graduatoria dei 10 peggiori acquisti stranieri di tutti i tempi stilata una ventina d’anni fa dal Guardian, in cui peraltro al primo posto viene piazzato l’ex parmense Tomas Brolin, ma anche in quella dei 50 peggiori giocatori della storia della Premier League ideata da Four Four Two. Terribile.
“Silenzi era l’immagine stessa del disinteresse – lo ha definito il Guardian – Nonostante un allora spropositato ingaggio da 30000 sterline al mese, il suo controllo di palla pigro, il suo tiro e il suo approccio alle partite fecero preoccupare ben presto la dirigenza e i tifosi. L’unica cosa in cui eccedeva era quando si allungava il pallone dopo uno stop. Ci vollero solo alcune settimane perché l’operazione diventasse sospetta, un mese perché sembrasse chiaramente sbagliata e un altro per diventare un fallimento”. Il bello è che è che il legame tra il Nottingham Forest e la Serie A non è si è spezzato lì.
Per nulla scottati dall’esperienza con Silenzi, negli anni successivi i Reds hanno portato sulle rive del Trent altri quattro calciatori italiani: Salvatore Matrecano vi giocherà dal 1999 al 2001, Federico Macheda per pochi mesi nel 2016, Nicolao Dumitru nel 2016-‘17. Oltre a Gianluca Petrachi, attualmente direttore sportivo di alto livello, pure lui con ben poco di positivo da ricordare dall’avventura inglese. Proprio l’ex napoletano Dumitru è stato inserito tra i cinque peggiori acquisti della storia del Forest dal Nottingham Post, assieme a David McGoldrick, a Ishmael Miller, a Djamel Aboun e a Rakif Djebbour. Però un utente ha trovato il modo di tirare in ballo Silenzi pure qui, spiegando che “dovrebbe esserci lui al numero uno della lista”. Esagerato. Forse.