Il 31 marzo del 1976 moriva, a Fossano, a soli quarant’anni, compiuti poco più di due mesi prima, Angelo Pochissimo. A vincerlo fu una lunga malattia, che non scalfì, però, il ricordo di un uomo che raggiunse livelli unici per il calcio cuneese dell’epoca, senza dimenticare mai le sue origini e la Fossanese, ritrovata negli ultimi anni di vita come giocatore prima e allenatore poi.
In occasione del quarantacinquesimo anniversario della sua morte, nell’aprile del 2021, lo storico giornale fossanese La Fedeltà, ha voluto ricordarlo con le parole della moglie Anna e dei figli Gabriella e Luca, rievocando un calcio e un’Italia che oggi, forse, non ci sono più.
“A Venezia non lo hanno mai dimenticato”
La moglie Anna ricorda bene le tappe iniziali del loro amore, coincidenti per certi versi con il “grande salto” nella carriera di Angelo: “Era un giocatore della Biellese quando ricevette la chiamata del Venezia. Si trasferì in Laguna nel 1959 e noi ci sposammo l’anno successivo, nel 1960. Quei sette anni veneti sono stati fantastici: vivevamo al Lido e Angelo era amatissimo da tutti i tifosi, a cui aveva sempre dato tanto. E pensare che il nostro fidanzamento ebbe un inizio difficile: mio papà, infatti, voleva che sposassi un uomo con un lavoro, e non un calciatore. Un’altra Italia, altri modi di pensare…”.
Proprio nel campionato iniziato dopo il matrimonio con Anna, Pochissimo centrò anche la prima promozione in Serie A: “La prima fu la più bella – continua Anna -. Le emozioni provate in quei giorni sono ancora nitide oggi. Angelo e tutti i suoi compagni instaurarono con l’ambiente veneziano un rapporto che non si sarebbe mai spezzato. Solo poche settimane fa mio nipote mi ha mostrato alcune foto pubblicate su un gruppo Facebook di tifosi del Venezia nel quale un appassionato ha scritto: ‘Pochissimo, amato tantissimo!’. Fa un certo effetto leggerlo a così tanti anni di distanza”.
“Il rispetto e l’educazione contavano più di ogni altra cosa”
La primogenita Gabriella nacque proprio negli anni veneziani, ma non fece in tempo a “viverli”, essendo troppo piccola. Pochissimo si trasferì poi al Mestrina e al Savona, prima di chiudere la carriera da calciatore a Fossano.
I ricordi di quell’ultima esperienza, però, non mancano: “Papà gioco nel 1969-‘70 con la Fossanese, che all’epoca, così come oggi, era seguitissima dai tifosi locali. Io spesso mi recavo allo stadio per incitarlo e, a volte, mi facevo un po’ trascinare dall’adrenalina dell’incontro. Ricordo bene una partita in cui l’arbitro prese una decisione dubbia, che sfavoriva la Fossanese. Io, che ero posizionata dietro le recinzioni, presa dall’impeto, inveii contro di lui, come gran parte dei tifosi. Papà, che era a pochi passi, si voltò e mi fulminò, come a dirmi che nemmeno un errore poteva giustificare l’insulto al direttore di gara. A volte bastava davvero uno sguardo…”.
Questo era Angelo Pochissimo, spesso silenzioso e pacato: “Il pallone era visto come un divertimento e papà per certi versi lo visse sempre così. Era schivo, riservato, e molte volte evitava di passare davanti ai bar di via Roma per non essere ‘intervistato’ da chi lo avvicinava per ‘fargli le feste’. Voleva essere semplicemente Angelo, senza nulla di più”.
“L’intitolazione dello stadio comunale ha certificato il suo legame con la città”
Dopo Gabriella nacque anche Luca, che, purtroppo, poté godere per pochi anni del rapporto con il papà, stroncato troppo presto da un male incurabile. Eppure, i ricordi non mancano: “Io sono sempre stato appassionato di motori e ricordo con piacere le volte in cui papà, che trasportava medicinali per l’Unifarma, mi caricava sul furgone e mi portava con sé”.
Il lavoro restava quindi al primo posto, nonostante non avesse mai abbandonato il calcio: “Quando la Fossanese gli chiese di ricoprire il ruolo di allenatore, dal 1973, fu felice di accettare, nonostante la malattia lo avesse già colpito. Purtroppo non fece in tempo a completare i suoi progetti da tecnico, ma lasciò comunque qualcosa all’ambiente”. Un “qualcosa” confermato dall’intitolazione dello Stadio Comunale alla sua memoria, avvenuta nel 1999: “Un atto che ci ha fatto molto piacere. Lui era molto legato alla città di Fossano e credo che la scelta di dare il suo nome allo stadio confermi come il suo attaccamento fosse ricambiato”.