Dalla B a una finale europea, non c’è dubbio che il percorso del Torino sia stato assolutamente incredibile. Solo tre anni prima, il club granata retrocedeva a sorpresa nel campionato cadetto, e adesso era lì, a giocarsi la finale di Coppa UEFA dopo essersi messo in bacheca, l’anno precedente, la Coppa Mitropa.
Il merito – come racconta Valerio Moggia in un interessante e articolato servizio su “Pallonate in faccia” – era da attribuirsi a due nomi in particolare: il nuovo presidente, Gian Mauro Borsano, che aveva rilevato un club disastrato e lo aveva ricostruito in un batter d’occhio, ed Emiliano Mondonico, l’allenatore che negli anni precedenti aveva riportato in A l’Atalanta, conducendola fino a una semifinale di Coppa delle Coppe. Ma si era fatto il 1992, e fuori dai campi di calcio stava per arrivare un terremoto destinato a cambiare tutto. Andiamo con ordine. Nella stagione 1988-‘89, il Torino partiva con l’ambizione di entrare di nuovo nelle coppe europee, dopo la finale di Coppa Italia persa l’anno prima contro la Sampdoria e la qualificazione internazionale sfuggita solo allo spareggio contro la Juventus. Erano già un po’ di anni che il Toro si piazzava regolarmente tra le prime 10 della classifica, e nel 1985 aveva addirittura sfiorato lo scudetto. Le cose però non erano andate come previsto: la squadra si era ritrovata presto a fondo classifica, aveva cambiato tre allenatori e alla fine era retrocessa. In mezzo a tutto questo, però, a marzo 1989 la società era passata all’imprenditore piemontese Gian Mauro Borsano, 43enne dal volto quasi aristocratico a capo del colosso edilizio Gima, con un fatturato da 600 miliardi all’anno.
Quell’estate, il Torino non l’affrontò da club marchiato a fuoco da una cocente delusione, ma da squadra che puntava in alto. In panchina fu scelto Eugenio Fascetti, artefice del ritorno in A della Lazio nel 1988, mentre in campo non solo furono trattenuti i nomi più importanti (il portiere Luca Marchegiani, la punta brasiliana Müller, la promettente ala Gianluigi Lentini), ma la rosa venne ulteriormente rafforzata con gli acquisti di giocatori di ottimo livello, dai milanisti Walter Bianchi e Roberto Mussi, al romanista Roberto Policano, fino al centrocampista Francesco Romano, che aveva appena vinto la Coppa UEFA col Napoli di Maradona. Il Torino conquistò il campionato di Serie B in scioltezza, così Borsano alzò ulteriormente l’asticella: seppur vittorioso, Fascetti venne sostituito da Mondonico, e alla rosa si aggiunsero elementi d’esperienza come Pasquale Bruno dalla Juventus e un centrocampista di grande valore come Rafael Martín Vázquez del Real Madrid. Il risultato finale fu il quinto posto in Serie A e la conquista della Coppa Mitropa, un torneo internazionale di secondo piano ma che era a tutti gli effetti il primo titolo conquistato dallo scudetto del 1976. E così, per la nuova stagione, quella del 1991-‘92, Borsano mise sul piatto un’altra vagonata di miliardi per assicurarsi il bomber dell’Ascoli Walter Casagrande, che da giovane era stato uno dei ragazzi della Democracia Corinthiana, e il geniale regista belga Vincenzo Scifo.
Era un’epoca, quella, in cui nel calcio italiano tutti spendevano tantissimo. In pochi anni, la Serie A si era affermata come il campionato più ricco e competitivo in Europa, un ricettacolo di stelle internazionali diffuse abbastanza equamente tra vari club del campionato. L’economia andava alla grande e si respirava aria di grande cambiamento: nel decennio precedente, i governi di Bettino Craxi avevano marcato la crescita del Partito Socialista, che alle elezioni del 1987 aveva raggiunto il 14%, guadagnando un ruolo sempre più rilevante all’interno della coalizione di maggioranza.
La caduta del Muro di Berlino lasciava intendere un imminente declino del Partito Comunista, cosa che avrebbe potuto portare i socialisti di Craxi a diventare la principale forza politica del Paese. Tanti, soprattutto nel mondo dell’imprenditoria, scommettevano sulla nuova sinistra liberale, tra cui proprio Borsano. A fine anni Ottanta, il patron del Torino aveva dirottato i propri affari a Milano, la città del momento per chi voleva fare soldi, dove stava emergendo una classe di imprenditori rampanti tutti bene o male legati ai socialisti. Borsano e Craxi divennero amici (anche perché il secondo, pur essendo milanese, era notoriamente tifoso granata), al punto che nell’aprile del 1992 il segretario socialista decise inaspettatamente di candidare Borsano a deputato, andando contro il volere del PSI piemontese di Giusi La Ganga. Il presidente del Torino non perse tempo e impostò una fastosa campagna elettorale incentrata sui concetti di calcio e famiglia, e sostenuta dalla Gazzetta del Piemonte, il secondo quotidiano di Torino di proprietà proprio di Borsano. Alla fine raccolse 36.000 preferenze nella circoscrizione Torino-Novara-Vercelli e si conquistò il suo posto in paradiso. Ciò che all’epoca era ancora poco noto, era che Borsano aveva un impellente bisogno di uno scranno in parlamento per ottenere il privilegio dell’immunità.
La stampa del tempo non era particolarmente interessata alle questioni giudiziarie, per cui quasi nessuno era al corrente del fatto che dietro agli importanti investimenti del Torino si estendeva un tappeto di aziende fallite e debiti accumulati. Nel capoluogo piemontese si erano già verificati una decina di crack finanziari nei cinque anni precedenti, alcuni dei quali erano collegati proprio a Borsano: era il caso della Ipifim, una società finanziaria da lui fondata e fallita nel 1991 a causa di 65 miliardi di debiti. Borsano aveva costruito la sua carriera su investimenti spregiudicati per arricchirsi, con quei soldi aveva preso il Torino per diventare popolare, e con la fama si era conquistato un posto in parlamento per salvarsi dai debiti fatti per diventare ricco: il Torino era stato solo un passe-partout. Il 5 aprile 1992, mentre veniva eletto deputato, i ragazzi di Mondonico vincevano 2-0 il derby contro la Juventus. A fine mese, il Toro affrontava al Delle Alpi l’Ajax di Louis van Gaal nell’andata della finale di Coppa UEFA, ma veniva bloccato sul 2-2; nel ritorno ad Amsterdam, a metà maggio, non si andò oltre lo 0-0 e per la regola dei gol in trasferta furono gli olandesi a prendersi il trofeo. Ma a Borsano, del Torino, già non importava più nulla: il club aveva svolto il suo compito. In estate, però, i piani dell’imprenditore piemontese saltarono inaspettatamente: il febbraio precedente, la Procura di Milano aveva arrestato il presidente del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa, uno degli esponenti di spicco del PSI locale, avviando uno dei più grandi scandali di corruzione della storia italiana, al cui centro c’era proprio Craxi. Il clima verso il PSI e i suoi legami con quei giovani imprenditori rampanti si fece molto critico, e quando alla Camera era arrivata la richiesta di autorizzazione a procedere contro Borsano per il crack Ipifim, la maggioranza dei deputati aveva votato a favore. Nel 2011 è stato nuovamente arrestato per il crac Aiazzone, e si trova attualmente sotto processo.
Era l’estate del 1992, e il presidente del Torino non poteva più nascondere i suoi problemi economici. In un disperato tentativo di salvare il salvabile, iniziò a smobilitare la squadra: vennero ceduti molti pezzi pregiati come Benedetti, Cravero, Bresciani, Policano, Martín Vázquez e ovviamente Lentini, venduto al Milan per la cifra record di 18,5 miliardi di lire. All’uscita dalla sede dell’ANSA, dov’era appena stata intervistata, la stella granata venne accolta da un fitto lancio di monetine.
Poco dopo, duemila persone si riunirono sotto la sede del club, in corso Vittorio Emanuele, dando inizio a una violenta rivolta, riedizione in salsa sabauda di quanto avvenuto due anni prima a Firenze con l’addio di Roberto Baggio. In questa complicata situazione, il manager granata Luciano Moggi riuscì comunque a tappare le falle della squadra, aggiungendo all’attacco l’esperto Pato Aguilera dal Genoa e il promettente Andrea Silenzi dal Napoli; Mondonico fece il resto, portando il Torino a vincere la Coppa Italia. Ma all’inizio del 1993 Borsano aveva ceduto il Torino al notaio Roberto Goveani, in un’operazione da 12 miliardi subito finita nel mirino della magistratura, che sospettava che quest’ultimo non fosse altro che un prestanome.
Il Torino, che nel 1992 chiudeva terzo in classifica e ora era nono, si ritrovò al centro di indagini per bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e appropriazione indebita. Goveani si dimise dopo un anno di presidenza, per poi venire arrestato con l’accusa di aver pagato parte del club in nero. Nel frattempo, Borsano doveva rispondere di un altro pagamento illegale, quello ricevuto dal Milan per Lentini; il tutto mentre la Gima falliva sotto il peso dei debiti accumulati in anni di gestione criminale. Il Torino passò nelle mani di Gianmarco Calleri, che affidò la gestione tecnica a Renato Zaccarelli, il quale, assieme a Mondonico, riuscì a tenere in piedi la squadra; ma dopo l’addio dell’allenatore, il Toro naufragò, retrocedendo infine nel 1996. L’inchiesta di Mani Pulite travolse la politica italiana e il PSI, con Craxi costretto a ritirarsi in esilio in Tunisia per sfuggire alla giustizia italiana, mentre Borsano si ritrovò a essere un frequentatore abituale dei tribunali di mezza Italia. Goveani, invece, venne condannato nel 2000 per abuso d’ufficio, ma si salvò dal carcere grazie alla prescrizione. La finale di Coppa UEFA del 1992 rimase l’apice internazionale del Torino di Mondonico, l’ultima formazione granata a mettere dei trofei in bacheca.