Felice Pulici è stato il portiere dello storico primo scudetto della Lazio nel ’74. Una leggenda per il popolo biancoceleste. Un predestinato del pallone che alle elementari andava a scuola con la Gazzetta anziché i libri nella cartella. Aveva proseguito gli studi con le scuole tecniche, lo avrebbe aspettato un posto alla catena di montaggio ma già all’oratorio si vedeva che la sua carriera sarebbe stata un’altra. Il suo primo cartellino lo firmò a 14 anni con il Seregno ma era troppo lontano da Sovico, dove era nato e viveva, e fu costretto a rimanere fermo un anno. La grande occasione arrivò con la chiamata del Lecco, con cui esordì in serie B. Era fatta. Da lì al Novara, poi nel luglio del 1972 la Lazio. A Roma alloggia con Luciano Re Cecconi e Mario Frustalupi nella pensione “Paisiello” ai Parioli in attesa che possa riunirsi con la moglie, rimasta a casa. Avvio duro, poi piano piano diventa uno dei senatori della squadra.
Nello spogliatoio fa parte del clan di Chinaglia e spesso si scontra verbalmente con Luigi Martini. Un aneddoto su tutti come si legge nel libro “Pistole e palloni” sui ragazzi del ’74, in un’intervista a Stefano Greco del 2011 e in tanti amarcord legati a quell’epoca magica: alla fine di un allenamento ha uno scontro memorabile. Nell’altro spogliatoio, Gigi Martini si sta asciugando i pochi capelli che ha in testa, quando per via di uno sbalzo di corrente il phon si fulmina. Gigi compie quei fatidici dieci passi che separano i due spogliatoi e abbatte senza permesso quell’invisibile muro che separa i due gruppi. Prende un altro phon, attacca la spina e ricomincia l’operazione, ma Pulici gli si avvicina e senza dire una parola stacca la spina al phon dell’invasore.
Volano prima parole grosse, poi qualche schiaffo, un paio di bottiglie di vetro che si infrangono: un gran casino. Come al solito, deve intervenire Tommaso Maestrelli per riportare la pace tra i due clan: convoca Pulici e Martini, li rimprovera come fa un maestro con due scolari indisciplinati, li obbliga a stringersi la mano davanti a tutti, ma la vera pace si sigla in campo la domenica successiva, con la squadra che, compatta come mai in passato, conquista l’ennesima vittoria.
Perchè in quella Lazio funzionava così: i due clan si detestavano per sei giorni, ma la domenica uno per tutti e tutti per uno. Imbattibile tra i pali, fenomenale nella presa a terra con quelle dita massicce e il fisico da pugile, Felice Pulici aveva un solo tallone d’Achille: le uscite. Giravano anche barzellette: suona il telefono e risponde la moglie: Felice non c’è, è uscito. E dall’altra parte: impossibile non esce mai.
Cattolico praticante, ogni domenica partecipa alla messa di Frà Lisandrini, padre spirituale dei biancocelesti, con il quale ha un ottimo rapporto. Alla vigilia delle partite cruciali, andava nei grandi magazzini a comprarsi i guanti di lana: “Avevo scoperto che miglioravano la presa”. Il 12 maggio 1974 è il giorno dello storico scudetto mentre, contemporaneamente, la moglie partorisce il secondogenito Gabriele. Dopo l’addio di Maestrelli, e la morte del “maestro”, inizia la discesa anche per Pulici che litiga con tutti gli allenatori successivi e chiude la sua avventura in biancoceleste con 150 presenze consecutive, per passare al Monza prima e all’Ascoli poi ma chiuderà la sua carriera proprio con la Lazio, come vice di Marigo, per entrare poi nello staff della Primavera. Intanto si laurea in Legge. Diventa esperto di diritto sportivo e si iscrive all’albo degli avvocati.
Nel 1983 con il ritorno di Chinaglia come presidente Pulici diviene dirigente. È però con Sergio Cragnotti che tocca il massimo livello come dirigente. Dopo l’esperienza con la Lega Nazionale Dilettanti nel 1994 torna alla Lazio come responsabile del Settore giovanile.
Da qui ad avvocato della società, ricopre quasi tutti gli incarichi. Vede la sua Lazio vincere trofei in Italia e in Europa ed anche il suo secondo scudetto nel 1999-2o00. Rimane anche dopo l’addio di Cragnotti ma con l’avvento di Claudio Lotito per lui non c’è più posto.