La città di Monaco di Baviera sapeva che avrebbe ben figurato ai Mondiali del 1974. L’Olympic Stadium aveva diritto alla finale e alla partita per il terzo posto, oltre a tre gare del girone D. Si aspettava il 5 gennaio 1974, giorno del sorteggio del turno preliminare a Francoforte. Venne tirato su il bussolotto con scritto Haiti. L’isola caraibica, cinque milioni di abitanti, per la prima volta partecipava alla fase finale di un Mondiale; Haiti si era qualificata solo tre settimane prima del sorteggio, battendo il Guatemala 2-1. All’epoca solo 16 paesi potevano partecipare ai Mondiali e il Messico era iscritto alla CONCACAF (Nord, Centro America, Caraibi) dal 1950. I giocatori haitiani erano dilettanti nei club della capitale Port-au-Prince, solo un attaccante era un professionista, negli Stati Uniti, che all’epoca calcisticamente era un paese in via di sviluppo.
Monaco e Haiti, la relazione casuale si è trasformata in un caldo flirt estivo. Alla gente di Monaco piacevano i 22 giocatori esotici che vivevano nella scuola sportiva di Grünwald, dovevano riferire ogni giorno per telefono al loro presidente di 22 anni Baby Doc Jean-Claude Duvalier e visitavano persino lo zoo di Hellabrunn finendo per diventare come attrazione tra i giochi. E solo per alcuni minuti, i giocatori dell’isola sono riusciti a concentrarsi davvero sulla Coppa del Mondo.
La prima partita, il 15 giugno, sabato sera, contro l’Italia, finalista del Mondiale 1970. 53.000 spettatori allo Stadio Olimpico, di cui 25.000 tifosi azzurri. Il punteggio a metà tempo è fermo sullo 0-0. Ripresa, la prima azione porta all’1-0 per Haiti grazie all’attaccante Emmanuel Sanon, che dribbla il portiere miracoloso dell’Italia Dino Zoff, che non veniva battuto da 1143 minuti consecutivi. Per sei minuti, l’Italia ha ricordato il grande trauma della sconfitta per 1-0 contro la Corea del Nord ai Mondiali del 1966 prima del pareggio di Rivera. Con un autogol di Auguste, Haiti finalmente si priva della sensazione dell’impresa e alla fine soccombe con onore per 3-1. Tre quarti d’ora dopo gli eccessivi balli di gioia sulla pista in tartan, gli isolani piangono amaramente: tanta emotività ha davvero toccato il cuore della gente di Monaco.
La sconfitta per 3-1 è stata il più grande successo di Haiti ai Mondiali. Da quel momento in poi, la squadra è stata duramente bastonata. Al test antidoping effettuato il libero Ernst Jean-Joseph è risultato positivo, si parla di un farmaco per l’asma che aveva assunto senza preavviso.
Nella seconda partita contro la Polonia, Haiti è vittima del suo impetuoso impulso offensivo e va a sbattere contro un avversario di livello mondiale: finisce 7-0. L’allenatore Antoine Tassy annuncia spontaneamente il suo ritiro dopo la Coppa del Mondo, che si conclude con una sconfitta per 4-1 contro l’Argentina. Come la partita con la Polonia, è stata giocata davanti a soli 25.000 spettatori.
Emmanuel Sanon segna il secondo gol del torneo per Haiti, ma il favorito del pubblico è il portiere Henry Françillon, 28 anni, un acrobata disinvolto. Dopo la partita contro l’Italia, il grande Dino Zoff era andato da lui nello spogliatoio, gli ha offerto la maglia e lo ha elogiato: “Sei un grande portiere”. Questo giudizio era giusto per Françillon, che voleva sfruttare la Coppa del Mondo per ottenere un contratto da professionista in Europa.
Ecco, Monaco diventa realmente la sua città: il TSV 1860, club di seconda divisione, lo ingaggia dopo la sua 76esima partita in nazionale, l’ultima partita del turno preliminare ai Mondiali. Un affare economico e senza rischi per i leoni: Françillon non costa un ingaggio faraonico, riceve solo uno stipendio base mensile di 2.000 marchi, l’affitto dell’appartamento (400 marchi) viene pagato dal club, e avrebbe ottenuto un bonus di 750 per ogni partita giocata. “Lo conosco solo dalla televisione”, dice l’allenatore del 1860 Max Merkel, “ma Francillon è decisamente un talento”.
Il portiere è felice, finanziariamente: guadagna venti volte di più dello stipendio a Port-au-Prince. Inoltre, non accetta l’opzione di recedere dal contratto dopo tre mesi, cioè prima dell’inverno e prima di sperimentare la sua prima neve. Nella stagione 1974-’75 gioca cinque partite (ma non all’Olympic Stadium, perché la casa del Löwen è il Grünwalder Stadium), nel ‘75-‘76 non riesce a scalzare Bernd Hartmann, il portiere titolare e torna a casa a Port-au-Prince.
In lontananza si perde la traccia dell’uomo che un tempo ispirò Monaco. Si sa solo che nel 1996 ha iniziato a lavorare come assistente allenatore presso l’American Emerson-Massachusetts College for Art. Anno 2021. Sui social tornano con insistenza le voci sulla sua morte. Per porre fine a questi rumors, la sua famiglia reagisce: “È vivo e vegeto e ha festeggiato il suo 75esimo compleanno il 26 maggio negli Stati Uniti d’America”.
Mario Bocchio