Una crisi, quella nel Paese sudamericano, che riguarda anche l’Italia, in particolare i connazionali che risiedono lì e che rappresentano una buona fetta della popolazione stimabile in 500 mila unità. Una comunità cresciuta dopo la seconda guerra mondiale e che ha usato il calcio come elemento di unione per rinsaldare un popolo emigrato dall’altra parte dell’Oceano Atlantico.
Il calcio venezuelano deve moltissimo all’immigrazione europea. Ma, al contrario di paesi come Argentina, Uruguay e Brasile, il pallone non si diffuse grazie all’immigrazione inglese a cavallo fra Ottocento e Novecento.
Fu dal secondo dopoguerra in poi che squadre come Deportivo Italia, Deportivo Portugués, Deportivo Español, Catalonia, Deportivo Vasco, UD Canarias, Deportivo Galicia e Deportivo Danubio trainarono il calcio venezuelano dall’era amateur al professionismo.
In seguito al conflitto mondiale, infatti, il Venezuela incentivò l’arrivo di esuli dal Vecchio Continente devastato dalla guerra: ne arrivarono circa un milione, di cui 250 mila italiani. Andiamo alla scoperta delle principali squadre italo-venezuelane.
Deportivo Italia. L’IFFHS lo considera la più importante squadra di calcio venezuelana del XX secolo insieme all’Estudiantes de Mérida. È stato uno dei club del cosiddetto fútbol colonial a resistere più lungo, anche se ormai la sua identità è stata snaturata: purtroppo l’attuale Petare FC non mantiene nulla che ricordi la cultura italiana del vecchio Deportivo.
La squadra fu fondata a Caracas nel 1948 da un gruppo di immigrati italiani e ha vissuto negli anni Sessanta e Settanta il suo periodo d’oro, sotto la gestione dei fratelli Mino e Pompeo D’Ambrosio. In quegli anni Los Azules vinsero quattro campionati e tre coppe nazionali, partecipando sei volte alla Copa Libertadores, competizione nella quale furono il primo club a rappresentare il Venezuela.
Proprio nell’edizione 1971 della Libertadores il Deportivo Italiano giocò la partita più celebre della sua storia, ancora oggi conosciuta come il Pequeño Maracanazo: con un gioco iper-offensivo nel primo tempo e un solido catenaccio nel secondo, gli italo-venezuelani sconfissero contro ogni pronostico la Fluminense campione di Brasile nella cornice dello stadio Maracanà.
Alla fine degli anni Novanta, in seguito a una crisi economica, il club passò sotto la proprietà del Municipio Chacao di Caracas. La sindaca di Chacao lo propose a dei rappresentanti della Parmalat, grazie anche all’intermediazione di Pelé, al tempo Ministro dello Sport brasiliano.
La multinazionale italiana accettò la proposta e acquistò il club, rinominandolo Deportivo Chacao. Due anni dopo però il nome venne nuovamente cambiato: con l’ottica di conservare la tradizione italiana la squadra passò a chiamarsi Deportivo Italchacao. Nella stagione 1998-’99 il club vinse il suo quinto e ultimo campionato.
Il crac Parmalat del 2003 lo gettò in una crisi irreversibile, che provocò cambi di proprietà e la prima retrocessione della sua storia. Nonostante i buoni risultati ottenuti alla fine degli anni Duemila, i dirigenti si accordarono con il Municipio Sucre e una cordata di impresari per trasferire il club nel quartiere di Petare, dando vita a un progetto di calcio sociale.
Il nuovo corso comportò l’abbandono definitivo di nome, colori e qualsiasi altro richiamo alla tradizione italiana, contrastato senza successo da quel che restava della vecchia comunità di tifosi.
Nel 1970 l’immigrato italiano Gaetano Greco fondò una squadra bianconera dal nome Juventus a San Cristóbal, capitale dello stato di Táchira nella regione delle Ande venezuelane. Quattro anni dopo, in assenza di una squadra di calcio professionistico in tutto lo stato, decise di fondare il Deportivo San Cristóbal, che alla sua prima stagione in campionato arrivò secondo, ottenendo l’epiteto di equipo que nació grande. Nel 1978 cambiò nome in Deportivo Táchira Fútbol Club e adottò i colori della regione, il giallo e il nero.
Il Carrusel Aurinegro, altro soprannome del club, è oggi una delle più importanti compagini del calcio venezuelano: è prima nella classifica storica della massima serie, anche perché non è mai retrocessa, ed è quella con più partecipazioni alla Copa Libertadores.
Turén è oggi una città di 60 mila abitanti conosciuta con “il granaio del Venezuela”. Ma all’inizio degli anni Cinquanta, prima che fosse colonizzata dagli italiani, era un paese dedito all’agricoltura e circondato da terreni molto fertili, ma non sfruttati. Come racconta Enrico Morassut, il presidente venezuelano di quegli anni Pérez Jiménez studiò la bonifica dell’Agro Pontino operata da Mussolini e decise di proporre ai veneti di Latina di trasferirsi in Venezuela per fare ciò che i loro genitori avevano fatto qualche decennio prima nel Lazio. Per invogliarli fece costruire già le case, la chiesa, un ambulatorio e altre strutture, e alla fine del 1951 mandò un emissario a Latina per convincere i locali con l’aiuto di diapositive e un filmino.
54 famiglie accettarono la proposta e il 4 febbraio del 1952 salparono da Napoli a bordo dell’Amerigo Vespucci, per arrivare a Puerto Cabello il 19 febbraio. Una volta a Turén, agli immigrati vennero consegnate le case. All’interno vi trovarono la spesa fatta per tre giorni, ma ciò che contava era fuori: ad ogni nucleo familiare era destinato un terreno fertile di 30-40 ettari, la garanzia di un futuro degno per tutta la famiglia. Circa dieci anni dopo il Colonia Football Club, squadra italiana di Turén allenata da Sante Zenere, vinse i campionati statali per quattro anni consecutivi, dal 1961 al 1964. In seguito prese il nome di Atlético Turén. Il club sfornò anche talenti importanti nella storia del calcio venezuelano, su tutti il portiere Gilberto Angelucci (foto sotto, a sinistra) cresciuto fra i campi coltivati dai genitori. Angelucci collezionò 48 presenze con la nazionale vinotinto, nonché un campionato argentino con il San Lorenzo de Almagro, e si ritirò nel 2007 all’età di 40 anni.
Il Centro Italiano Venezolano fu fondato nel marzo del 1964 da un folto gruppo di migranti italiani che vivevano a Caracas. Era ed è tuttora il centro culturale italiano di Caracas e, come in molti altri casi in giro per il mondo, ha avuto per molto tempo una squadra di calcio che per 48 anni ha militato nelle categorie alte del calcio nazionale. Da quando la squadra è stata ceduta nel 2011 al Club Atlético Miranda, il centro organizza solo attività calcistiche amatoriali e giovanili per i suoi 22 mila iscritti. Sempre in Venezuela sono invece ancora attivi il Casa D’Italia Fútbol Club di Maracaibo e Centro Social Italo Venezolano di Valencia.
Cosa ci faccia una squadra viola chiamata Fiorentina nell’isola di Margarita, nello stato insulare di Nueva Esparta, non lo sappiamo. Probabilmente fondata da un italiano, ha iniziato a giocare le prime partite nel 2006, per entrare in Tercera División del calcio professionistico nel 2015. Poi è sparita.