9 giugno 1985: per molti una data come un’altra. Non per gli aretini. Non per Domenico Neri, da tutti chiamato Menchino. Baffi, il numero 8 e la fascia da capitano. Lui, quel giorno, ha deciso di diventare l’eroe di una generazione, o meglio, l’eroe di tutti coloro che dopo quel giorno, hanno avuto il privilegio come me, che scrivo questo articolo, di tifare o anche solo di vivere ad Arezzo.
Siamo alla penultima giornata di campionato: al Comunale di Arezzo va in scena un vero e proprio scontro diretto per la salvezza, Arezzo-Campobasso. I molisani arrivano alla sfida con due punti di vantaggio dalla formazione amaranto, condizione che ancor di più condanna l’Arezzo a dover vincere questa partita. La tensione in campo è palpabile: al primo errore si rischia di compromettere una stagione. Il primo tempo scorre così senza particolari emozioni.
Minuto 17′ del secondo tempo: Il direttore di gara fischia un calcio di rigore in favore della formazione di casa. Quel pallone pesa come un macigno, nessuno vorrebbe calciare quel rigore. Alla fine l’incaricato non può che essere lui: il capitano col suo numero 8 e i baffi. Nonostante la sua leadership, la situazione lo rende nervoso e Neri calcia un rigore brutto e centrale che Ciappi, il portiere del Campobasso, non ha problemi a parare. Domenico è a pezzi, vorrebbe solo uscire dal campo e sparire per sempre: non vuole essere ricordato come il capitano che ha portato in Serie C la sua squadra. Si reca a bordo campo ma un fotografo posa la sua macchina e lo sprona fisicamente a tornare in campo, a farlo per la sua gente, per la squadra della sua città.
Minuto 22′ del secondo tempo: L’Arezzo si guadagna un calcio d’angolo, la traiettoria però è lunga per tutti e la palla finisce dalla parte opposta per poi essere rimessa al centro da Mangoni: lì ad aspettare questo cross come una preghiera c’era lui, quel 33enne, aretino puro sangue, che 5 minuti prima aveva sbagliato un calcio di rigore ed era stato riportato in campo da un fotografo: è in quel momento che il calcio diventa irrazionalità, pazzia, passione.
Il capitano si coordina con una rovesciata d’autore e supera il portiere avversario. Arezzo 1, Campobasso 0. Inutile dire che la partita finirà così e l’Arezzo si salverà con un pareggio a Pisa all’ultima giornata.
Più quasi 30 anni dopo, nel 2014, vicino ad un sottopassaggio, nei pressi del centro città di Arezzo, quel gesto d’amore diventerà un monumento, una scritta: “Sei bella come la rovesciata di Menchino Neri”.
Purtroppo più e più volte la scritta è stata cancellata da quel muro, ma nulla potrà mai cancellare il ricordo di quel 9 giugno, di quel capitano con i baffi e del suo amore per la sua gente. Storie di uomini, storie di sport, storie di passione.