Il 26 gennaio 2019 è deceduto in Sudafrica all’età di 70 anni il calciatore congolese Pierre Ndaye Mulamba. Nasce il 4 novembre 1948 a Luluabourg (oggi Kananga), nella Repubblica Democratica del Congo. La sua vita è stata sia una leggenda che una tragedia, ma indiscutibilmente di grande interesse e meritevole di essere conosciuta.
Il momento clou della carriera calcistica di Mulamba è stata senza dubbio la sua vittoria nel 1974 alla Coppa d’Africa. Ha giocato per lo Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo). In questo torneo ha segnato nove gol, un record che resiste ancora oggi. Questo lo ha trasformato in una sorta di tesoro nazionale, guadagnandosi i soprannomi Volvo, in omaggio alla sua velocità, e Mutumbula, che significa killer, per la sua facilità ad andare in gol.
Sempre nel 1974 fu capitano della prima squadra dell’Africa subsahariana a disputare un Mondiale, quello nella Germania Ovest. Tuttavia, nonostante una promettente prima partita contro la Scozia con una sconfitta per 2-0, la squadra non è riuscita a ripetersi contro la Jugoslavia, perdendo 9-0. Mulamba ha ricevuto un cartellino rosso all’inizio della partita dopo essere stato accusato ingiustamente di aver preso a calci l’arbitro.
Il morale della squadra era basso a causa del diniego del governo del loro paese, guidato dal dittatore totalitario Mobutu, della promessa di un premio di $ 45.000 per la qualificazione alla Coppa del Mondo. La squadra non aveva altra fonte di reddito e la sconfitta per 3-0 nella partita contro il Brasile ha indotto Mobutu a tenere prigionieri i giocatori al loro ritorno per quattro giorni, prima di liberarli.
Dopo la Coppa del Mondo nel 1974, Mulamba ha continuato a giocare per l’AS Vita Club in Zaire fino al 1986, anche se lo voleva il Paris Saint Germain, ma il ditattore non ha voluto lasciarlo andare via. Nel 1994 ha ricevuto un premio dalla Federazione africana per commemorare il suo successo nel 1974. Al suo ritorno a casa, il ministro dello Sport gli chiede di conaegnare la medaglia alle autorità. Ovviamente l’ex attaccante non ci sta, considera quell’oggetto di valore un riconoscimento importante per la sua carriera, e vuole onorarlo per sé e per la sua famiglia. La sera stessa, poche ore dopo essere stato avvertito dal ministro, viene aggredito da quattro soldati nella sua stessa casa. Il figlio primogenito di undici anni viene ucciso davanti ai suoi occhi. Gli sgherri di Mobutu colpiscono anche Pierre, ferendolo gravemente ad una gamba. Poco dopo viene preso e portato su un ponte, dal quale viene gettato. Lo credevano morto. E invece… Per miracolo è ancora vivo, in condizioni gravissime. Viene recuperato da bambini della zona e in seguito passerà diversi mesi in ospedale; qualcuno lo riconosce, viene chiamato “le grand joueur”, il grande giocatore. Fugge a Città del Capo nel 1996 dopo lo scoppio della prima guerra del Congo.
Tuttavia, questa non era affatto la fine della sua storia e nel 1998 la gente pensava che fosse morto in un incidente in una miniera di diamanti in Angola. Si è scoperto che non era mai stato nemmeno in Angola, tuttavia un minuto di silenzio è stato tenuto in sua memoria alla Coppa d’Africa di quell’anno. Ha poi vissuto il resto dei suoi giorni in Sud Africa e ha sposato Nzwaki Qeqe, che stava aiutando i rifugiati a Città del Capo.
Mulamba va ricordato per il suo straordinario contributo al calcio africano. Non si è mai arricchito, anzi, ha pure rischiato lo sfratto da casa perché non poteva permettersi di pagare l’affitto. Nei suoi ultimi anni ha svolto un ruolo attivo nell’insegnare il calcio nelle scuole e nei club giovanili, rimanendo sempre un’ispirazione per intere generazioni di giocatori di tutto il continente.
Mario Bocchio