Dimenticata ormai fra le pieghe della storia, c’è l’avventura di un club che voleva combattere l’antisemitismo. Nel 1909 due sionisti austriaci, il librettista di cabaret Fritz Löhner-Beda e il dentista Ignaz Herman Körner, fondano a Vienna una polisportiva. Si ispirano alla dottrina del Giudaismo muscolare di Max Nordau, che propone un nuovo ideale di ebreo che cura la propria forma fisica e combatta lo stereotipo antisemita di un popolo debole, dedito soltanto alle letture. Il loro club si chiama Hakoah, che significa “forza” in ebraico, e raccoglie atleti, nuotatori, pugili, lottatori e ovviamente una squadra di calcio.
L’Hakoah Vienna – come racconta Diego Marongelli su “Trequartismi” – ci mette una decina d’anni, dal momento della sua fondazione, a risalire le categorie minori fino ad approdare nella massima serie del campionato austriaco. La prima stagione ad alti livelli è subito un successo: da squadra neopromossa, l’Hakoah si classifica al quarto posto nella stagione 1920-‘21. Nel campionato successivo va ancora meglio ed è seconda alle spalle del Wiener Sport-Club. La squadra, però, non si limita alle partite del campionato austriaco: l’Hakoah è uno dei primi club ad organizzare delle tournée di partite amichevoli in giro per il mondo ed attrae un pubblico di migliaia di ebrei in tutti i Paesi in cui si esibisce. Fra gli ammiratori dell’Hakoah c’è anche lo scrittore Franz Kafka. La divisa ufficiale è bianca e blu, con una stella di Davide cucita sul petto. L’obiettivo è quello di diffondere il nuovo ideale di Giudaismo muscolare ed ispirare la nascita di altre realtà simili in Europa e nel mondo. La squadra deve però spesso far fronte a manifestazioni di antisemitismo, tanto in patria quanto durante le tournée all’estero, e provvede alla propria sicurezza in maniera inusuale: in ogni viaggio i calciatori sono accompagnati da pugili e lottatori iscritti alla polisportiva, che fanno da bodyguards e stazionano dentro e fuori lo stadio durante le partite. Nel 1923 l’Hakoah organizza una doppia amichevole contro il West Ham, squadra londinese. La partita di andata in Austria finisce 1-1 ed è già vista come un successo. Sono ancora i tempi in cui gli inglesi si considerano i maestri indiscussi del gioco e nessuna squadra d’Oltremanica, né a livello di club né tantomeno la nazionale, ha mai perso in Inghilterra contro una squadra del continente. Ma il 3 settembre si gioca il ritorno a Londra e l’Hakoah entra nella storia vincendo addirittura 5-0, con una tripletta di Sándor Nemes. Il West Ham, ad onor del vero, schiera una formazione di riserve, ma la vittoria è comunque senza precedenti.
L’ascesa del club non si arresta e nella stagione 1924-‘25 l’Hakoah Vienna si laurea campione d’Austria. Il momento clou della stagione è il 6 giugno 1925, quando l’Hakoah riceve il Wiener Sport-Club. La squadra di casa si porta sul 2-0 grazie ai gol di Jacob Wegner e Moses Häusler, ma una doppietta di Otto Höss riapre la partita e a un quarto d’ora dalla fine, sul risultato di 2-2, il portiere dell’Hakoah Alexander Fabian si infortuna alla spalla destra. Le sostituzioni non esistono ancora e l’estremo difensore non vuole lasciare la squadra in dieci in un momento così delicato. Rimedia quindi una fasciatura di fortuna e si scambia di ruolo con un attaccante: sette minuti più tardi segna il gol della vittoria!
Nel 1926 l’Hakoah si spinge oltreoceano organizzando una tournée di dieci partite negli Stati Uniti. Ne vince sei, pareggia due e perde due, ma quel che più conta è lo straordinario successo di pubblico, in un Paese dove il calcio è ancora uno sport semisconosciuto. I 46.000 spettatori presenti al Polo Grounds di New York stabiliscono un record per una partita di calcio che negli Stati Uniti verrà battuto solo mezzo secolo dopo, quando Pelé chiuderà la sua carriera negli States. Al termine della tournée ben nove giocatori della squadra decidono di non fare più ritorno in Europa, colpiti per l’accoglienza ricevuta in America, ben diversa dall’ostilità fronteggiata nel Vecchio Continente. Qui fondano la New York Hakoah, che vincerà la National Challenge Cup nel 1929. Quelli che tornano in Europa non riescono più ad ottenere i risultati degli anni precedenti e la squadra di Vienna galleggia per qualche anno fra la massima serie del campionato e la seconda divisione. Nel 1938, in seguito all’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista, la squadra viene smantellata ed il suo stadio espropriato. Uno dei fondatori del club, Fritz Löhner-Beda, morirà ad Auschwitz nel 1942, picchiato a morte da una guardia; almeno sei giocatori della squadra, di quelli che non sono rimasti in America, verranno deportati e troveranno la morte nel campo di Theresienstadt.
Il giocatore più famoso della squadra, di cui non abbiamo ancora parlato, è però stato Béla Guttmann. Nasce a Budapest e inizia la carriera nella MTK, con cui vince due campionati. È un centromediano metodista, quello che oggi definiremmo il regista della squadra. La salita al potere di Miklós Horthy fa precipitare l’Ungheria nell’antisemitismo e Guttmann, ebreo, nel 1922 raggiunge l’Hakoah Vienna. Presto diventa la stella della squadra, tanto da pretendere come stipendio un quarto degli introiti del club! Ottiene inoltre di giocare sempre con una maglietta di seta perché la sua pelle, dice, è troppo sensibile ad altri tipi di tessuto. Nonostante il trasferimento in Austria, viene convocato dalla nazionale ungherese per le Olimpiadi del 1924. Durante il ritiro, Guttmann si lamenta che sono presenti più dirigenti che giocatori, e che l’albergo dove alloggia la squadra è adatto più a socializzare che alla preparazione atletica. Per mostrare la sua disapprovazione attacca dei topi morti alle porte delle stanze dei dirigenti accompagnatori, determinando così la fine della propria carriera in nazionale. Dopo la tournée dell’Hakoah negli Stati Uniti del 1926 è fra coloro che si fermano a giocare in America. Di quel viaggio ricorda la scarsa conoscenza del calcio in Nordamerica: “Quando abbiamo disputato la nostra prima partita a New York gli spettatori conoscevano così male il calcio da confonderlo col football americano. I gol segnati li lasciavano completamente freddi, ma i tiri forti che uscivano ben alti dietro la porta erano presi per i punti del rugby e suscitavano uragani di applausi. Capita l’antifona e dato che stavamo vincendo nettamente, ci siamo sbizzarriti a sparare lontano. Alla fine mi hanno portato in trionfo”. In America Guttmann, parallelamente alla carriera di calciatore, rileva uno speakeasy e comincia a speculare in borsa, ma perde quasi tutto in seguito al crollo di Wall Street del 1929. Tornato in Europa, non è chiaro come abbia trascorso gli anni della Seconda Guerra Mondiale, in cui perderà il fratello maggiore, deportato. Negli anni successivi si limiterà a dire: “Dio mi ha aiutato”.
Dopo la guerra diventa un allenatore di successo. Laureato in psicologia e dotato di grande carisma, ha un forte ascendente sui giocatori. Le sue squadre propongono un gioco offensivo. Guttmann scrive la storia soprattutto sulla panchina del Benfica: il club di Lisbona, trascinato in campo da Eusébio, vince la Coppa Campioni per due anni consecutivi, nel 1961 e nel 1962. Dopo il secondo trionfo europeo Guttmann chiede alla dirigenza un premio che gli viene negato, e lancia allora una maledizione: “Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d’Europa ed il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni.” Da allora il Benfica ha disputato otto finali europee, perdendole tutte: cinque in Coppa Campioni (1963, 1965, 1968, 1988 e 1990) e tre in Coppa UEFA o Europa League (1983, 2013 e 2014).