Geronimo Barbadillo è nato a Lima (Perù) il 24 settembre 1952. Veloce ed estrosa ala destra, è cresciuto nello Sport Boys Callao, ha giocato con Club Defensor Lima, Tigres Monterrey, quindi nel 1982 è arrivato in Italia, giocando con Avellino e poi Udinese. E’ stato a lungo in Nazionale, fino al Mondiale del 1982, vincendo la Coppa America 1975.
«Mi dissero, era il 1982: vieni in Italia, ti portiamo in una squadra che lotterà per il quarto o quinto posto. Io arrivavo dal Messico, avevo vinto tanto, ero un giocatore importante anche in Nazionale. Sbarcai a Fiumicino, salimmo in macchina e mi dissero: è qui dietro, arriviamo subito. E invece andavamo, andavamo… Poi arrivai nella zona di Avellino, e vidi – vivissimi – segni del terremoto di due anni prima, la devastazione. Io avevo portato con me la mia famiglia: mi girai verso mia moglie e le dissi: “ma dove siamo finiti?”». Non finisce qui. «La prima partita, in casa del Torino, presi una tale gomitata da un terzino che rimasi a terra, stordito, non potevo né parlare né respirare. La sera ribadii a mia moglie: basta, torniamo a casa».
Nell’Avellino
Geronimo Barbadillo oggi ha 66 anni e ovviamente non si è più mosso dall’Italia. Abita in una bella casa a Udine, dove arrivò nel 1985 dopo tre anni di entusiasmo – dato e ricevuto – ad Avellino, con la moglie Berta Nakandakare, peruviana come lui, e con i tre figli: Ingrid Antuanet, che è anche mediatrice culturale nell’osservatorio per l’immigrazione del Friuli, Gerry Giuseppe, e la più piccola, “la mia terrona” dice lui, nata in Italia, che si chiama Sechuko. Quella di Geronimo, nipoti compresi, è una famiglia unitissima e molto benvoluta in Friuli. «Mai pensato di tornare in patria, qui ormai abbiamo messo radici» spiega Geronimo, che ha perso i capelli foltissimi e neri con cui si presentò in Italia ma non una deliziosa calata che mischia italiano e spagnolo. «La mia più grande soddisfazione, in quegli anni, fu di arrivare nel Paese campione del mondo quando potevano entrare soltanto due stranieri per squadra: andate a vedere i nomi degli altri, e vi rendete conto».
Dopo di lui il nulla, viene da dire, perché quel gruppo di Barbadillo, Quiroga, Cueto, Uribe e Cubillas, 1-1 contro la ancora zoppicante Italia di Bearzot a Vigo,prima di Russia 2018, fu l’ultima nazionale peruviana a qualificarsi per un Mondiale. «In Sudamerica allora eravamo secondi solo ad Argentina e Brasile, ce la giocavamo con l’Uruguay. Ora ci hanno superato in tanti: manca una programmazione, da noi, i pochi giovani che arrivano in Europa sono convinti di saper già tutto, di aver raggiunto l’apice: non sanno che sono appena all’inizio, che dovrebbero mettersi sotto e imparare. Con il talento anche se ce l’hai, ci devi lavorare, come fa l’Udinese con i tanti giovani che porta in Italia».
Barbadillo nel Perù.
Lui ce l’aveva il talento, dono di natura e di famiglia: il padre Guillermo, don Willy, Barbadillo, fu tra gli eroi della Alianza Lima, eredi del favoloso “Rodillo Negro”, il nucleo di giocatori che infiammava il Perù negli Anni Trenta. «Giocavamo per strada, mio padre mi trasmise la passione» e gli indicò la strada: Guillermo partì dal Barrio Fiscal numero 4, al Callao, quindici chilometri da Lima, e con il calcio salì ai vertici della notorietà e del successo, attaccante forte e scaltro, come fece trent’anni dopo anche Gerry, ala destra capace di saltare l’uomo come pochi. Guillermo gli trasmise anche la capacità di dare valore alle cose, Geronimo non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani.
Per sei anni è stato collaboratore dell’Udinese, chiamato da Andrea Carnevale, che lo aveva preceduto ad Avellino e poi affiancato sul campo a Udine. Poi una malattia subdola e terribile lo ha fiaccato ma non abbattuto, Barbadillo dopo un’operazione si è risollevato anche se ha dovuto smettere di giocare a calcetto: «Devo dire grazie al Signore, ora sto bene». E si è già lanciato nel nuovo progetto: «Mio figlio Gerry Giuseppe e mio genero Massimo Italiani sono procuratori. Io ora lavoro con loro, come osservatore: visiono dvd, segnalo giocatori che potrebbero essere interessanti». A Udine, dopo aver lasciato il campo, aveva aperto un ristorante. «Ma l’ho chiuso ormai da tanto tempo, era troppo impegnativo per tutta la famiglia. Il nome del locale? “Gerry O”». Perché “Gerry O”? «Perché quando arrivai in Italia, tutti mi chiamavano O’ Gerry…».
Ala destra, i suoi principali punti di forza erano la velocità e il dribbling. Cresciuto calcisticamente in Perù, con il Club Defensor Lima conquistò la Copa Simón Bolívar. Nel 1975 si trasferì a giocare in Messico, nel Tigres de la UANL guidato dal connazionale Claudio Lostaunau. Alla sua prima stagione, Barbadillo si mise in evidenza, partecipando alla vittoriosa campagna in Coppa del Messico con un’azione che propiziò il gol decisivo nella finale di ritorno. A Lostanau succedettero prima Pérez e in seguito Fekete, e Barbadillo mantenne il suo posto da titolare: affiancando in attacco l’uruguaiano Walter Mantegazza e il messicano Tomás Boy, il peruviano si impose come uno dei calciatori di maggior spicco del Tigres.
In un undici dell’Avellino.
Negli anni seguenti Patrulla, come era soprannominato, continuò a segnalarsi tra gli elementi più importanti in Messico, e a momento di lasciare il paese centroamericano aveva all’attivo più di sessanta gol. In seguito, il club della Universidad Autónoma de Nuevo León ha ritirato la maglietta col numero 7 in suo onore.
Dopo aver partecipato con la nazionale del suo paese al Mondiale spagnolo, viene ingaggiato dall’Avellino ed esordisce in serie A il 12 settembre 1982 in Torino- Avellino 4-1. Con gli irpini gioca per 3 stagioni segnando 10 reti in 81 gare, delle quali 6 nella prima stagione. Diventa famoso anche per la sua bizzarra capigliatura che gli fa acquistare l’affettuoso soprannome di Tartufòn. Nel 1985 va all’Udinese dove segna 2 reti in 22 incontri.
Nell’Udinese mentre contrasta Maradona.
Barbadillo debutta con la Nazionale di calcio del Perù il 3 maggio 1972. Con la selezione peruviana partecipa alla Copa América 1975, poi vinta, giocando da titolare in due dei tre incontri finali contro la Colombia, più precisamente in quelli del 16 e 22 ottobre di Bogotá e Lima. In seguito, viene convocato dal Ct brasiliano Tim per il campionato del mondo 1982. In tale competizione Barbadillo non parte titolare, e nella partita contro il Camerun gli viene preferito Leguía: nell’incontro seguente, però, parte dall’inizio contro la Nazionale di calcio italiana, venendo poi sostituito da Leguía al 51º minuto. Nell’ultima gara, con la Polonia, Barbadillo subentra al 50’ a Oblitas. L’ultima presenza con la selezione la ottiene il 3 novembre 1985.