“Vinci o muori”
Dic 30, 2022

Luis Monti nasce il 15 maggio 1901 a Escobar e muore il 9 settembre 1983. La sua famiglia, emigrata in Argentina, era originaria della Romagna. Noto per il suo gioco particolarmente duro, è stato l’unico calciatore ad avere disputato due finali di Coppa del mondo con due nazionali diverse.

Monti nell’Huracán

Fu il grande protagonista di quella squadra argentina che giocò il Mondiale del 1930, che purtroppo non poté fornire la sua migliore performance nella finale contro l’Uruguay. “Monti non avrebbe dovuto giocare in quella finale, era spaventato a morte”, disse Francisco Varallo, che poi sarebbe entrato nella ripresa e avrebbe colpito il palo quando l’Argentina era in svantaggio per 3-2. Il caso era che Monti, emerso nell’ Huracán ma consacrato nel San Lorenzo, aveva ricevuto forti minacce, anche nei confronti della sua famiglia, dai tifosi uruguaiani nel caso in cui l’Argentina avesse vinto il trofeo.

Nella Juventus

“Mi hanno mandato lettere anonime, hanno minacciato mia madre a Buenos Aires, mi hanno fatto una serenata che non mi faceva dormire. C’erano circa 300 soldati con baionetta fissa, così ho detto ai miei compagni: ‘Sono segnato, non posso. E dopotutto cosa volete che sia un eroe del calcio?”  raccontò. Come risultato di questa situazione, Monti passò inosservato durante la partita, anche se la sua prestazione non è stata quella che ha finito per determibare il risultato poiché l’Uruguay è cresciuto man mano e ha meritatamente prevalso. L’Argentina non era in grado di incider in attacco e, naturalmente, a quel tempo non c’erano le sostituzioni e l’abulìa di Monti  ha finito per lasciare l’Argentina in deci. La successiva depressine gli fece poi credere per un attimo che la sua carriera da giocatore fosse arrivata al termine.

Nella nazionale italiana campione del mondo

L’Italia aveva una buona nazionale e la garanzia che avrebbe organizzato i Mondiali del 1934. A quel tempo, Benito Mussolini vedeva nel calcio la propaganda ideale per continuare l’espansione del fascismo e quindi inviò due spie in Argentina per sorvegliare da vicino i movimenti di Monti. Soddisfacendo le aspettative, Marco Scaglia e Luciano Benti offrirono all’attaccante 5.000 dollari al mese per andare a giocare con la Juventus, ma con l’obiettivo finale di giocare con gli Azzurri i prossimi Mondiali. Monti accettò e partì per l’Italia.

A quel tempo non c’era il divieto di giocare in due squadre e le sue buone prestazioni lo portarono a raggiungere l’undici italiano che, a quanto si dice, con qualche errore arbitrale occasionale che li avvantaggiò, batté in finale la Cecoslovacchia per 2-1.

Monti (a destra), capitano dell’Argentina, assieme all’uruguaiano Nasazzi e alla terna arbitrale prima della finale del torneo olimpico di Amsterdam 1928

A quella partita parteciparono anche Enrique Guaita e Raimundo Orsi, gli altri due argentini che vinsero il titolo, “Se vincevo in Uruguay mi avrebbero uccidevano, se perdevo in Italia mi avrebbero sparato. Era tanto per un calciatore”, ha potuto raccontare Monti, ricordando che il messaggio politico prima della finale era “Vinci o muori”. L’attaccante rimase in Italia e dopo il ritiro divenne allenatore, fu alla guida di Triestina, Juventus e Atalantae in Argentina, al suo ritorno nel 1947 indossò la tuta dell’ Huracán. Da calciatore aveva vinto cinque scudetti con la Juventus e tre tornei con il San Lorenzo.

Mario Bocchio

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