“Sono molto felice di essere qui, spero che stiate tutti bene. Non chiamatemi ‘signore’, il mio nome è Pelé. Se mi chiamate ‘signore’, mi sento molto vecchio”. Con umiltà e leggerezza, da campione infinito qual è stato. Pelé si è raccontato a Che tempo che fa, ricordando subito i consigli del padre e svelando degli aneddoti su Stallone (con lui nel film Fuga per la vittoria) e Maradona. “Mio papà mi diceva che per fare il calciatore ci vuole fegato. È un organo fondamentale dell’essere umano, se non funziona bene poi non si sta bene. È come il cuore”.
“Ho rotto un dito a Stallone durante ‘Fuga per la vittoria’? Così dicono. È un’emozione quando rivedo quelle immagini. Mi trattengo per non piangere, vi dico grazie. Mio papà (Dondinho, NdR) era un giocatore di calcio, era un numero nove, aveva fatto tanti gol di testa. L’unica cosa che volevo che Dio mi desse era giocare tanto bene quanto mio padre, volevo essere uguale a lui. Per questo mi commuovo quando parlo di questo. Ringrazio Dio. Uno dei suoi consigli più grandi? ‘Non pensare di essere migliore o più importante degli altri, sei uguale agli altri. Quindi rispetta le persone e pensa di fare sempre del tuo meglio perché si tratta sempre di un dono di Dio’”.
“Il mio nome è Edson!”
“Ho vissuto un’infanzia felice. Il mio nome è Edson, dopo hanno cominciato a chiamarmi Pelé. Non mi piaceva, ho cominciato a litigare con tutti quanti. Ero un fan di Thomas Edison. Cos’è Pelé? Thomas Edison è importante! Il Mondiale in Svezia del ’58? Non immaginavo di essere convocato a quell’età. C’erano tante persone diverse dai brasiliani (la prima volta che Pelé lasciò il Brasile, NdR), quando siamo arrivati in aeroporto non c’erano persone di colore. È stato un cambiamento incredibile nella mia vita”. Sul gol di testa in finale: “Non posso dimenticare quel momento, la gente mi diceva che ero troppo giovane. E oggi penso a quanto Dio sia stato buono nei miei confronti. Ricevo tanti messaggi dall’Europa, dall’Africa, dall’Asia. Ringrazio tutti quanti per l’affetto che ricevo ogni giorno”.
La risposta a Rivera
Poi la risposta a Gianni Rivera, che ha speso belle parole in un video messaggio: “Lo ringrazio perché tutte le volte che parla io mi commuovo. Giocava contro di me e mi ha sempre elogiato, è una cosa molto emozionante. Il mondo dovrebbe essere così. Che Dio protegga te e la tua famiglia. Ricordarsi tutti i gol segnati in carriera è difficile, però ho una buona memoria. Alcuni non li dimenticherò mai. Il Mondiale più importante? È difficile rispondere. Forse il primo, quando ancora nessuno conosceva il Brasile. Oppure il terzo. Il numero 10 è diventato un simbolo, all’inizio non gli si dava molta importanza”.
Il ricordo di Garrincha
“La ‘ginga’ è un movimento portato nel calcio quando nessuno sapeva ancora cosa fosse. È un movimento di un ballo, della samba. Hanno iniziato a dire quel termine quando hanno visto i dribbling di Garrincha. L’abbiamo portata nel mondo”.
E con Maradona…
“Maradona? Non avevamo un’amicizia intima, ma quando ci incontravamo scherzavamo l’uno con l’altro. ‘Tu sei migliore di me?’, ‘Ma io faccio gol di destro, di sinistro e di testa. E tu no’. Scherzavamo sempre sul fatto di chi fosse il migliore. Il 19 novembre 1969 ho segnato il mio 1000° gol al Maracanà, ho ancora il pallone. Il personaggio più importante mai incontrato? Ho vissuto dei momenti importanti con tutti. Grazie a Dio, mi sono vaccinato e ho passato il messaggio. Speriamo che passi presto, come altre cose brutte sono già passate. Tutto quello che ho cercato di fare è stato per ringraziare gli altri”.