Claudio corre, come faceva tutte le mattine in ogni allenamento, solo che questa volta… è per la sua vita.
I suoi piedi nudi calpestano l’erba umida, l’adrenalina che le scorre nelle vene non permette alla pioggia, che cade incessantemente sul suo corpo nudo, di trasmettere anche un po’ del freddo di quella fredda mattina del 24 marzo 1978. Sono trascorsi quasi cinque mesi di reclusione, di torture, di intere giornate bendato, di urla che sono state assorbite dai muri di quella prigione… Tutto è a pochi metri dall’essere finito, Claudio Tamburrini e i suoi quattro compagni corrono. Non hanno una direzione, nessun vestito, nessun imbarazzo. Solo il desiderio di libertà.
Il regista Israel Adrián Caetano ha narrato la storia di Tamburrini nel film Cronaca di una fuga – Buenos Aires 1977, presentato al Festival di Cannes 2006.
L’ Almagro fa visita al Defensores de Belgrano, è una partita del campionato argentino della Primera B 1 975-’76 .
Il portiere ospite si infortuna quando esce per tagliare un centro e si capisce da subito che dovrà abbandonare. Allora ecco che scende in campo Claudio Tamburrini, che a soli 20 anni esordisce nella porta dei Tricolores. Il tecnico locale, insoddisfatto del pareggio, decide di puntare le sue chances sul giovane attaccante Roberto Viola. Viola a dire il vero non è un grande finalizzatore, né un giocatore capace di demolire le difese avversarie, ciò che invece lo contraddistingue è il “peso” del suo cognome. Roberto è figlio di un importante militare, il generale Roberto Eduardo Viola, che diventerà poi il presidente dell’Argentina per volontà della Giunta Militare che governerà il paese sino al 1983.
Claudio Tamburrini ha un esordio più che promettente con l’Almagro, tanto da diventare titolare. Gioca sempre, fino al mese novembre 1977, quando un “imprevisto” lo porta via dagli stadi.
La Giunta Militare si è distinta per la sua politica di repressione di tutti quei militanti politici che considerava pericolosi per l’ordine istituzionale della nazione. L’Argentina era popolata di campi di detenzione, più o meno tutti avevano un fratello o una sorella, un amico, un compagno o un conoscente che era “desaparecido”. La ferocia dei militari era così vorace che non solo “succhiavano” (come veniva chiamato il rapimento di una persona in un’operazione militare) chi consideravano un nemico, ma anche molte persone a lui vicine.
È così che un pomeriggio del 1977 Claudio Tamburrini viene rapito mentre torna dall’allenamento. Arriva la Ford Falcon verde scuro senza targa, la cui sola vista suscita il terrore.
Forse ha commesso il “reato” di studiare filosofia, forse un amico lo ha “condannato”, forse… Anni dopo si saprà che il suo nome figurava nell’agenda di un amico che non nascondeva le proprie simpatie per i comunisti.
La verità è che adesso Claudio è nudo e bendato in una stanza della Mansión Seré , uno dei più grandi campi di detenzione clandestini.
Vi rimane per più di quattro mesi. Fino a quella mattina presto del marzo 1978, quando riesce a fuggire calandosi da una finestra.
Alla fine del 1978, dopo settimane di latitanza nei quartieri di Buenos Aires piegati dalla paura, si stabilisce a Stoccolma in Svezia. Qui riesce a trovare un lavoro e, una volta superata la barriera linguistica, ritorna a studiare fino ad ottenere un dottorato in filosofia all’Università di Stoccolma. Sposatosi, diventato padre, ottiene la cattedra presso l’Università di Göteborg.
Quest’uomo in giacca e cravatta che cammina per i corridoi dell’Università non sembra mai uno svedese. Tuttavia, non è turbato dal freddo e dal vento che gli “schiaffeggiano” la faccia. La temperatura e la velocità delle gocce non contano, per lui conta solo che il vento odora di libertà. Un valore unico, come quella mattina di novembre a Baires.
Mario Bocchio