È una vera giostra la carriera di Davide Bombardini. Un lungo cammino che, tra alti e bassi, è partito dall’Interregionale a Imola fino ad arrivare alla Serie A e anche alla Champions League. Un cammino che ha ripercorso insieme ad Alessio Abbruzzese.
Pisa è stata la tua prima tappa nel calcio professionistico. È stato lì che hai capito che saresti diventato un calciatore?
“Se devo essere sincero, no. È vero, ero giovanissimo, non avevo nemmeno vent’anni e mi sono ritrovato tra i professionisti dopo un paio di stagioni in Interregionale, ma comunque non sfruttai a pieno quell’occasione e infatti gli anni successivi sono tornato tra C2 e D. Sicuramente ci speravo e ci credevo, ma ancora non ero pronto. Per rimanere a certi livelli serve abnegazione, sacrificio e altre qualità che magari in quel momento ancora non avevo fatto mie. Non credo sia un discorso di fortuna, quella magari entra in gioco un po’ più in là, quando sei già riuscito a fare il salto. È stato davvero un peccato che il campionato deluse le aspettative, anche perché in realtà quel Pisa era fortissimo: c’erano Muzzi, Antonioli, Rotella, Cristallini, Rocco. Ripensandoci è davvero assurdo, era uno squadrone che farebbe sicuramente bella figura nella B di oggi”.
Dopo Pisa hai girato parecchio.
“Sì, da lì in poi ho passato qualche stagione senza trovare la continuità giusta, ero ancora molto giovane. Con il senno di poi mi sento di dire che ho fatto tanta gavetta”.
Poi Palermo, la tua consacrazione.
“Sì, Palermo è stato il mio trampolino di lancio. La prima stagione non è andata un granché, non riuscimmo a qualificarci per i playoff nonostante gli ottimi elementi in rosa. Il secondo anno è stato quello della svolta: eravamo senza dubbio la squadra più forte del campionato, anche se rischiammo di rovinare tutto con qualche passo falso verso la fine. All’ultima giornata arrivammo a pari punti con il Messina, credo che qualunque tifoso palermitano non potrà mai dimenticare quegli ultimi minuti: il rigore sbagliato dal Messina al 90’, il gol dell’Avellino sul ribaltamento di fronte, una cosa veramente incredibile. Lo ricordo come se fosse ieri, anche se a dire il vero dal campo non avevo capito molto (ride, NdR) perché in quel secondo tempo giocavo sulla fascia opposta alle panchine e anche volendo non potevo chiedere a nessuno. Nel momento in cui fu assegnato il rigore tutto il Barbera era in silenzio, di ghiaccio. Poi ci sono state due esplosioni di gioia, che io solo dopo ho capito essere per il rigore mancato e per il gol dell’Avellino. Se devo essere totalmente sincero ero abbastanza pessimista prima della partita. Ricordo che a inizio secondo tempo rientrando in campo dissi a Maggiolini, che aveva segnato l’1-0: ‘Pensa se vinciamo il campionato grazie al tuo gol’. Alla fine andò davvero così, è stata una delle mie giornate più belle da calciatore”.
Dopo arrivò la chiamata della Roma.
“Sai, quando ti arriva una chiamata del genere come fai a dire di no? Quella era davvero una squadra stellare, composta da fenomeni in ogni ruolo. Probabilmente avrei fatto meglio a non bruciare le tappe e arrivarci più gradualmente a quel livello ma ripeto, si tratta di una chiamata a cui non si dice di no. C’erano tantissimi grandi campioni, Capello allenatore e si giocava la Champions League. Non fui particolarmente fortunato perché le mie caratteristiche si sposavano poco con quel 3-5-2 con cui giocava la Roma: subentravo a Cafu quinto a sinistra per fare l’esterno a tutta fascia oppure facevo la seconda punta, ma trovai poco spazio”.
A proposito di ruoli: nel corso della tua carriera sei nato trequartista, hai giocato molto da esterno di centrocampo a sinistra e al Bologna anche dietro, da terzino. In quale ruolo ti riconosci di più?
“Credo che gli anni a Palermo, quando avevo 28-29 anni e giocavo largo a sinistra nel centrocampo a quattro, siano stati quelli in cui ho fatto meglio. Avevo raggiunto la maturità, anche e soprattutto fisica, ed era un ruolo che mi piaceva fare. Poi, sai, dipende sempre da diversi fattori, io ho sempre cercato di adattarmi a quello che mi veniva richiesto: con l’Atalanta ad esempio giocavo spesso sulla trequarti alle spalle delle due punte, poi invece a Bologna ho fatto davvero un po’ di tutto. Mister Arrigoni mi inventò terzino, ma alla fine mi utilizzava davvero come jolly. Ricordo che una domenica mancava Di Vaio e mi schierò davanti al fianco di Osvaldo, mentre quella dopo mi fece fare il terzo centrale a sinistra della difesa a tre. Sinceramente non so a quanti altri sia mai capitata una cosa del genere (ride, NdR)“.
Hai avuto diversi grandi allenatori, chi ricordi con maggior piacere?
“Avevo instaurato un gran bel rapporto con Colantuono ai tempi dell’Atalanta, non solo io a dire il vero, c’era un bel clima, eravamo un gruppo davvero unito. Infatti vincemmo il campionato di Serie B con tre giornate d’anticipo e l’anno dopo arrivammo ottavi in A, bene o male sempre con gli stessi interpreti della stagione precedente. Ricordo con piacere anche mister Arrigoni, quando in ritiro mi confidò che voleva provarmi terzino gli dissi: ‘Va bene mister, ma se vado male a lei tolgono il tesserino e a me mandano via’ (ride, NdR). Per fortuna esordimmo in campionato a San Siro vincendo due a uno contro il Milan, andai bene e non mi tolse più”.
Chi è stato il calciatore più forte con cui hai giocato? E L’avversario che ti ha impressionato di più?
“Nel complesso direi Totti, in quella stagione alla Roma lo ricordo bene, era davvero di un’altra categoria. A mio avviso in Italia è secondo solamente a Baggio. Per quanto riguarda gli avversari, ne ho visti davvero tanti fortissimi. Mi vengono in mente Ronaldo il Fenomeno, che era davvero imprendibile, ma anche Ronaldinho. Quando ci giocavi contro in quegli anni in cui era al Milan, e magari non era neanche nel momento migliore della carriera, ti rendevi conto che era un giocatore di una categoria superiore. La sua era una squadra di campioni, ma tutti cercavano sempre lui, toccava la palla in una maniera incredibile”.
Fonte Guerin Sportivo