Nella storia delle meteore sono moti i motivi che hanno portato i calciatori ad andarsene senza lasciare un segno tangibile nel nostro campionato: c’è chi è arrivato per sbaglio (Luis Silvio), chi è arrivato per un abbaglio dirigenziale (Caraballo), chi per la stravaganza del presidente (il cinese Ma o Gheddafi Jr a Perugia). Oppure chi non si è mai integrato nei rigidi schemi italiani (chiedere a Osvaldo Bagnoli di Darko Pancev), chi ha sofferto le pressioni di un costo del cartellino esagerato (Mendieta) oppure chi non si è adattato all’Italia (Ian Rush). Ludo Coeck è una delle tantissime meteore del calcio italiano e il motivo del suo flop è “la sfiga”. Si direbbe fantozziana, non fosse per una finale tragico.
Chi è Ludo Coeck? Nato a Berchem, vicino ad Anversa, nel 1955, a cavallo degli anni ’70 e ’80 si mette in luce come uno dei più interessanti prospetti del calcio belga. A 17 anni – come scrive Gaetano Mocciaro – diventa un giocatore dell’Anderlecht e la parabola è quella del predestinato: a nemmeno 19 anni fa il suo esordio con la Nazionale maggiore, diventa un punto fermo del suo club e in 8 anni vince tutto o quasi: 2 campionati, 3 Coppe del Belgio, 2 volte la Coppa delle Coppe , una volta la Coppa Uefa e due Supercoppe europee.
Lo chiamano Ludo Boom Boom perché nel piede sinistro ha la dinamite. Molti dei suoi gol, difatti, arrivano grazie a incredibili sassate dalla distanza. Se ne accorge il mondo intero nel 1982, ai mondiali di Spagna, quando con un tiro da quasi 40 metri va in gol contro El Salvador. E poteva accorgersene pure prima, non fosse stato per un grave infortunio rimediato nel 1979 che gli negherà la partecipazione agli Europei del 1980. Sarà il primo segnale di una serie di sfortune da record, a cui nessuno fa inizialmente caso. Ciò a cui fanno caso gli addetti ai lavori, invece, sono le qualità di Coeck: nato centravanti si esalta come un centrocampista dalla grande visione di gioco e tenacia. Non bastasse, grazie alla sua visione di gioco all’Anderlecht ha anche ricoperto il ruolo di libero. il suo stile è influenzato dal calcio totale olandese e molti club se ne innamorano. I biancomalva resistono fino al 1983 quando, vinta la Coppa Uefa, capiscono che è il momento di lasciar provare nuove esperienze al giocatore.
A spuntarla è l’Inter. I nerazzurri puntano su di lui dopo aver visto sfumare niente meno che Paulo Roberto Falcão . Il Divino era ormai preso dalla Beneamata e il trasferimento, che doveva essere solamente formalizzato, scatenò l’inferno a Roma. Si mobilitò niente meno che Giulio Andreotti, noto tifoso romanista, che non gradì lo “scippo”. Coeck non poteva minimamente pensare che il mancato trasferimento del brasiliano a Milano fu l’inizio della sua fine. L’Inter punta forte sul belga e con 2 miliardi offerti all’Anderlecht supera la concorrenza del Milan.
Il giocatore si presenta sorridente e sorprende tutti, masticando un po’ d’italiano sin dalla presentazione. Per non farsi trovare impreparato, infatti, Coeck nei mesi precedenti il trasferimento aveva iniziato a prendere lezioni per imparare la nostra lingua. I tifosi si fregano le mani, i dirigenti pure: vogliono fare di lui il leader della squadra e grazie al suo calcio, ben più moderno di quello praticato allora dalla squadra, avrebbe potuto trascinare i compagni. Non sono stati fatti i conti con la sfortuna e i primi brutti presagi su una stagione suo malgrado fallimentare arrivano già prima dell’inizio del campionato: stiramento muscolare in un’amichevole col Livorno, poi una distorsione alla caviglia in Coppa Italia col Parma.
Inizia il campionato e a ottobre contro l’Udinese rimedia una botta al costato. Il colpo di grazia il 9 novembre 1983, con la Nazionale, in un match di qualificazione a Euro ’84 contro la Svizzera rimedia un brutto infortunio alla caviglia. Un calvario che lo porta a chiudere la stagione nerazzurra con appena 15 partite, di cui 9 in campionato, senza gol all’attivo. Tuttavia il giocatore si riprende in tempo per guadagnarsi la convocazione agli Europei del 1984, dove riesce a giocare due partite. L’Inter, però, capisce che le sue condizioni sono tali da non dargli una seconda chance.
Viene così mandato all’Ascoli. È l’estate 1984 e nonostante una brutta stagione alle spalle l’arrivo del giocatore scatena un incredibile entusiasmo nella piazza marchigiana. Il giorno dell’arrivo i tifosi lo portano in braccio (nel vero senso della parola) lungo corso vittorio Emanuele fino alla sede del club, dove firma e saluta, maglia bianconera addosso, il pubblico in delirio. Il precampionato, però, è allarmante: i guai fisici ritornano. Viene riscontrata una malformazione all’anca. Il giocatore prova a usare anche vie alternative per curarsi ma non c’è niente da fare. Il club, che nel frattempo si era cautelato inserendo una clausola che avrebbe permesso la rescissione in caso di problemi fisici, rispedisce il giocatore al mittente. L’Inter non può far altro che trovare un accordo col giocatore per la rescissione contrattuale. Un incubo per Coeck, a fanno seguito i problemi familiari (matrimonio fallimentare). Si parla di carriera finita a 29 anni, ma Ludo non ci sta e va in Belgio a farsi operare (sesto intervento in carriera). La stagione 1984-’85 si chiude da inattivo ma una volta ristabilitosi il giocatore ricomincia ad avere offerte, che arrivano da Belgio e Olanda. Trova un accordo con il RWD Molenbeek e una sera di ottobre viene invitato dalla tv belga, dove parla del suo calvario e della sua voglia di ricominciare. Finita la trasmissione e messosi al volante della sua macchina per tornare a casa rimane coinvolto in un pauroso incidente con un’altra vettura ed un camion. Trauma cranico, emorragia celebrale, spappolamento del fegato: le sue condizioni sono disperate da subito e a nulla serve il trasporto in ospedale ad Anversa. Ludo Coeck muore il 9 ottobre 1985 all’età di 30 anni.