Erano in finale della Coppa delle Coppe, a volte costituivano metà della nazionale ed erano tra sempre nei piani alti nell’Oberliga della DDE. Oggi il Carl Zeiss Jena sta cercando di ricostruirsi sulle macerie del suo grande passato.
Il calcio di Jena non ha svolto un ruolo importante nella DDR fino agli anni ’50. All’improvviso il campionato, seguito dalla vittoria della Coppa nazionale. Come è nato questo boom?
Nel 1958 Georg Buschner fu assunto come allenatore. Quella fu la chiave del successo. Buschner era un insegnante universitario e portava con sé un know-how altrimenti scarso nella DDR. Riconobbe che erano necessari esperti ben formati per portare avanti un club, che era carente fal punto di vita della disciplina e della fermezza.
Un vero “cane duro”? Lo era davvero. Gli allenamenti erano massacranti. Venne decisa una preparazione invernale: 14 giorni di allenamento per la corsa, ovvero sci di fondo. Ed anche in estate 14 giorni di resistenza sul Mar Baltico. La squadra raggiunse così le migliori condizioni per affrontare il campionato. Il successo non si fece attendere. Buschner arrivò secondo nella prima stagione e poi divenne campione nel 1963.
La squadra lo aveva soprannominato il “Conte”.
Stabilì una chiara struttura di gestione. Quello che diceva l’allenatore era legge. Non c’era molta discussione. Ma era una figura paterna: da un lato molto severo, dall’altro un vero e proprio “badante” che risolveva anche tutti i problemi quotidiani della squadra. Una volta, ad esempio, un giocatore venne fermato dalla polizia. Fu portato alla stazione: “Non dirò niente senza il mio allenatore”. Ad un certo punto la polizia chiamò Georg Buschner. Arrivò, parlò con l’ufficiale e poi cacciò il giocatore.
Il successo è durato a lungo. Negli anni ’60 e ’70 Jena ha giocato quasi sempre al top e ha vinto tre volte il campionato. Ciò è dovuto anche alla continuità nel club e, naturalmente, alla politica del club, che ha sempre cercato di rafforzarsi in maniera mirata. Oh, non credereste quanto fosse difficile ai tempi della DDR. Erano sempre vere e proprie missioni segrete, visto lo strapotere della potentissima Dinamo Berlino, la squadra di Erich Mielke, il potentissimo capo della Stasi.
Le trattative erano sempre discrete. Per prima cosa cercavano gli indirizzi dei giocatori. I giovani di solito vivevano ancora con i loro genitori. Poi sono andavano da loro, parcheggiavano l’auto alla periferia della città e si dirigevano verso l’appartamento. Per chilometri per non destare sospetti.
I giovani giocatori volevano tutti andare a Jena. Avrebbero potuto giocare a livello internazionale, viaggiare in Occidente ogni anno. Ma anche le mogli dei giocatori pià avanti con l’età avrebbero potuto studiare all’università. La ditta Zeiss assicurava appartamenti e automobili adeguate. Una volta la fabbrica Zeiss ricevette un commessa dalla Fiat. Alcuni di questi soldi finirono alla squadra, ai giocatori vennero consegnate auto Fiat. Naturalmente, tutto questo suscitò invidia tra gli altri club.
Lo Zeiss pagava persino i premi-partita, ma se ne parlava poco. Quello era segreto. Il denaro veniva ritirato allo sportello e distribuito. Dopo Buschner arrivò Hans Meyer, nel 1971.
Meyer non venne immediatamente promosso allenatore, ma inizialmente solo assistente. Buschner rimase lui il capo per un anno e solo allora cedette definitivamente il bastone del comando. Fu una mossa intelligente. Meyer in realtà ha rilevato il successo di Buschner. Come allenatori, alla fine erano quasi identici. Beh, Meyer era forse un po’ più divertente. Non vinse alcun titolo, ma ottenne il più grande successo nella storia del club, raggiungendo la finale della Coppa delle Coppe nel 1980-‘81.
Quella è stata una stagione sensazionale. I tedeschi orientali persero la prima partita 3-0 contro la Roma di Liedholm e in realtà erano già eliminati dalla competizione. Ma Meyer era un bravo psicologo e seppe ricostruire la squadra. Che vine la gara di ritorno 4-0 e passò il turno. Quella fu una follia! Poi si sviluppò una dinamica, secondo il motto: più forte è l’avversario, meglio è per noi. Ebbero la meglio su Valencia e Benfica. Trovarono duro solo contro il piccolo club gallese del Newport County. E ovviamente nella finale contro la Dinamo Tbilisi, che vinse.
Durante questo periodo – gli anni ’70 e ’80 – si sviluppò la rivalità con Rot-Weiss Erfurt, che esiste ancora oggi. La piazza di Erfurt era sempre arrabbiata per il fatto che i suoi giocatori più bravi andassero a Jena. Ma i giocatori volevano il Carl Zeiss. Alla fine, questo era il problema di Erfurt. E quando guardiamo le statistiche degli ultimi decenni, vediamo che che il Carl Zeiss rimane il numero uno in Turingia.
Dopo la riunificazione, la squadra è diventata colorata e relativamente globalizzata per gli standard di Jena: Klaus Schlappner, l’allenatore baffuto che andava in panchina con un vistoso cappello, e l’attaccante nigeriano Jonathan Akpoborie.
I giocatori di Jena hanno sperimentato molto e hanno assaggiato il gusto della Bundesliga con la Zweite Liga, il secondo livello in assoluto del campionato tedesco.
Tuttavia Jena è molto lontana dai grandi successi del passato, avendo praticamente giocato solo in terza o quarta divisione negli ultimi anni. Tuttavia, migliaia di persone vanno ancora alle partite casalinghe. Il Crl Zeiss è ancora molto popolare. Se le cose non vanno subito per il verso giusto, non si scatena subito la rivolta. Questa è la differenza rispetto a molti altri club. Il Carl Zeiss non si è mai arreso. Vuole ritornare. Prima o poi.
Mario Bocchio