Una vita a prendere in giro i giornalisti
Set 1, 2022

Nel novembre 1962, su un modesto e piccolo campo in erba, Helenio Herrera rilascia un’intervista nel bel mezzo di un allenamento dell’Inter. Occhi piccoli e incisivi, capelli radi, indossa una tuta invernale. Durante l’allenamento emette fischietti periodici, corregge i suoi giocatori e non perde di vista il pallone. Poi vengono le domande. Helenio, che risponde con orgoglio alla telecamera, è stanco di essere associato a polemiche e grandi titoli. Ad un certo punto, il giornalista gli chiede del brutto inizio di stagione della sua squadra. Herrera, senza batter ciglio, come se avesse in suo possesso una verità assoluta, afferma che l’obiettivo è “vincere tutti i titoli” e che “hanno deciso di partire piano e di dare tutto nell’ultimo tratto”.

Pochi mesi dopo l’intervista, l’Inter vince lo scudetto; un anno e mezzo dopo, alza la Coppa dei Campioni. Forse nemmeno lo stesso Herrera lo avrebbe immaginato, ma quando furono pronunciate quelle parole mancavano solo pochi mesi all’Inter per iniziare gli anni più fortunati di tutta la sua storia.

Helenio Herrera con le insegne del mago

Helenio Herrera era nato a Buenos Aires ed era cresciuto nel quartiere Palermo. La data non è chiara, poiché sebbene avesse giurato di essere venuto al mondo nel 1916, altre fonti sostenevano che avesse sei anni in più. Suo padre Paco era falegname e anarchico, da buon andaluso, emigrato quando in Spagna infuriava la repressione borbonica. Aveva paura di fare la stessa fine dei sette anarchici garrotati a Jerez de la Frontera. Quando Helenio era un giovane che si era già distinto nel Boca Juniors, gli Herreras cambiarono l’Argentina per Casablanca, che a quel tempo era sotto  protettorato francese ed era una città cosmopolita.

Nel Roches Noires di Casablanca

In Marocco, Herrera voleva diventare forte. Figlio di una famiglia che aveva già perso tre figli, l’argentino aveva contratto la difterite mentre era ancora bambino. Lottò, vinse la malattia e iniziò a lavorare per portare uno stipendio alla sua famiglia. Nel tempo libero giocava a calcio per la squadra del suo quartiere, i “Rocas Negras”. Le prestazioni di Helenio Herrera attirarono l’attenzione di uno scout e finì per firmare nel 1931 per una grande squadra in Marocco, il Racing Casablanca.

Dallo Stade Français passa nel 1934 all’Olympique di Charleville. Si naturalizza cittadino francese per poter giocare nella Nazionale Militare

La sua progressione come difensore duro ed esuberante lo portarono rapidamente in Europa, poiché solo un anno dopo il CASG Paris lo ha ingaggiato e Herrera ha cambiato di nuovo i continenti. Ha infatti sviluppato tutta la sua carriera da calciatore in Francia: Stade de France (‘33-‘35), Charleville (‘35-‘37), Roubaix (‘37-‘39), Stella Rossa (‘40-‘42), ancora Stade (‘42-‘43), Paris-Capitale (‘43-‘44) e Puteaux, dove diventa giocatore-allenatore. Era il 1945: Herrera appende le scarpe al chiodo e tira fuori la lavagna.

1947-’48: Allena la nazionale Francese: Domingo, Nuevo, Bruet, Mathiessen, Grégoire, Non, Aston, Gutmunsen, Symoni, Ben Barek, Myra

Tre anni dopo aver iniziato a fare l’allenatore, il Valladolid guarda Herrera. Non ha alcuna esperienza in Spagna, ma l’argentino accetta e riesce a salvare la squadra di Pucelano dalla retrocessione in Seconda Divisione. La sua tattica, l’importanza che attribuiva al fisico e le sue capacità di psicologo cominciavano a emergere.

In trionfo nell’ Atlético Madrid

Una stagione dopo, l’Atlético Madrid lo ingaggia e lui ricambia portandolo a vincere la Liga già nel primo anno trascorso a Manzanares. Un anno dopo aumenta il record e vince Liga e Coppa. Comincia ad emergere la figura di HH, allenatore metodico, controverso e di successo che insegna ai rojiblancos come giocare in contropiede. Dopo tre anni pieni di successi come colchonero ci sono Málaga (1952), Siviglia (1953-‘56) e Os Belenenses (‘56-‘57), dove raggiunge gli obiettivi prefissati, anche se non vince alcun titolo. Nel 1958 una grande bussa alla sua porta ed Helenio Herrera diventa l’allenatore del Barcellona.

1957: Giugno pur avendo firmato un contratto con il Siviglia, spinge il club andaluso a liberarlo. In ottemperanza alla burocrazia calcistica non può allenare subito in Spagna si reca quindi per una stagione in Portogallo nel club Belenenses

Apparve il mago. Non solo ha vinto due titoli con il club catalano, ma l’argentino (che si è sempre definito cittadino del mondo) ha iniziato a sviluppare i suoi metodi particolari. Alle conferenze stampa, Helenio è diventato il “fottuto maestro”. Sono stati anni di perle come “il calcio si gioca meglio in dieci che in undici” o “vinceremo senza scendere dall’autobus” (Herrera ha assicurato di non aver mai pronunciato quest’ultima frase, anche se è quella per cui è più ricordato).

La ribalta nel Barcellona

Tutto questo è per il pubblico, dal momento che l’allenatore argentino ha sviluppato altre tecniche in casa. Controllava tutto ciò che facevano i suoi allievi, combinava la sua ferrea disciplina con l’aiuto psicologico e dava particolare importanza all’aspetto fisico. Prima delle partite assicurava ad alcuni giocatori che l’avversario che dovevano marcare li aveva insultati (che era una bugia). Le concentrazioni della squadra, un altro dei suoi contributi. Genio, autentico genio.

Alla guida della “Grande Inter”

La sua figura è cresciuta ad ogni partita. L’allenatore ha lasciato il posto alla leggenda e sui media si sono moltiplicate le voci sul suo modo stravagante di allenarsi. Herrera ha lasciato il segno a Barcellona, ​​dove i tifosi sono diventati ultras per difendere le loro tesi. E il meglio doveva ancora venire.

Nel 1960 l’allenatore più mediatico del momento firmò per l’Inter. Luis Suárez lo accompagnò nel viaggio e divenne il suo fedele scudiero. A Milano il mago ha trovato una squadra che aveva passato otto anni senza vincere un titolo. Ha ribaltato la situazione e ha creato uno stile unico che ha portato la sua squadra alla gloria. L’undici è stato supportato da una solida difesa, una condizione fisica decisa e una rapida uscita di palla. Helenio Herrera e la sua Inter avevano inventato il catenaccio.

Il credo di HH, sempre ben visibile

Dal suo arrivo  ci sono voluti tre anni per vincere il suo primo campionato, poi sono arrivati gli altri titoli. La squadra riuscì a proclamarsi campione d’Europa nel 1964 contro il gigantesco Real Madrid (3-1). Mazzola è riuscito, con i suoi due gol, a battere da solo Puskás, Gento o Di Stéfano. Un anno dopo, i nerazzurri ripetono l’impresa nel proprio stadio contro il Benfica di Eusebio (1-0), ottenendo la doppietta con lo scudetto vinto in quella stagione. Una stagione dopo, il campionato ritorna all’Inter. Herrera amplia la sua leggenda, questa volta in Italia.

Nella Roma 1972-’73

L’argentino è diventato, per merito suo, l’allenatore di maggior successo nella storia dell’Inter. Cinquant’anni dopo, solo l’Helenio Herrera del Ventunesimo secolo può discutere di questa egemonia: José Mourinho.

Dopo aver costruito la Grande Inter, HH ha continuato il suo viaggio attraverso l’Italia alla Roma. Lì ha incontrato Fabio Capello ed entrambi hanno portato la Coppa delle Coppe nella capitale nel 1969. Successivamente, nel 1973 ritorna all’Inter per una stagione, ma non riesce a ripetere le precedenti imprese. L’ultima tappa italiana è Rimini.

Helenio Herrera al Rimini con Paolo Sollier

Prima di ritirarsi, il mago torna in una delle sue città preferite: Barcellona. Parimenti ritornano le polemiche e le famigerate conferenze stampa, come quella in cui Helenio affermò che Juanito si “segnava” prima di un Clásico. Il madridista gli dedicò un gol in quella partita e lo mandò “al manicomio” con alcune dichiarazioni. Herrera, che era Herrera, ha risposto chiedendo soldi per pagare la residenza. HH allo stato puro.

Ha allenato una squadra che aveva perso la sua essenza per due anni e si è ritirato. Helenio lasciò definitivamente i campi di calcio il 9 novembre 1997, quando morì a Venezia. Ottantasette anni (o ottantuno, non lo sapremo mai) di calcio, rivoluzioni tattiche e continue provocazioni erano finiti. Ha detto ai giornalisti che non era un “mago”, ma un allenatore che lavorava sodo e aveva bisogno di grandi giocatori. Ha passato tutta la vita a prendere in giro i giornalisti.

Mario Bocchio

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