Carlos Henrique Raposo aveva un sogno: fare la vita del calciatore, indossare vestiti firmati, frequentare i migliori locali e le ragazze più belle. Aveva un fisico asciutto e atletico, gli mancava solo una cosa: il talento. Quella che segue è una delle storie più incredibili che il calcio ci abbia regalato. Carlos nasce a Rio Pardo, nello stato brasiliano del Rio Grande do Sul, il 2 luglio 1963, figlio adottivo di una cuoca e un impiegato di una ditta di ascensori. Come molti bambini brasiliani, da piccolo gioca a calcio per strada, spesso a piedi nudi. A 10 anni viene notato da un talent scout del Botafogo, uno dei maggiori club brasiliani, e si aggrega alle giovanili della squadra come centravanti. Dopo un’esperienza nel Flamengo, nel 1979 firma per il Puebla, in Messico. “I dirigenti del club videro in me del potenziale – ricorda Carlos -, avevo un buon tiro ed ero forte fisicamente.” Gioca un paio di amichevoli, segnando anche un gol su punizione, ma a 16 anni Carlos è un ragazzo sveglio e capisce ben presto due cose: la prima è che il Messico non gli piace, detesta il cibo locale e sente la nostalgia di casa. Ma soprattutto, capisce di non avere un talento sufficiente per riuscire a sfondare nel calcio ad alti livelli.
Ha così inizio la commedia. Carlos finge di infortunarsi in allenamento e per settimane, poi mesi, continua a lamentare un inesistente dolore muscolare. I controlli sugli atleti non sono ancora avanzati come oggigiorno, e in ogni caso i medici non possono dimostrare il contrario. Dopo il Messico è la volta degli El Paso Patriots, negli Stati Uniti, e si comincia a delineare il modus operandi di Carlos: dapprima firma un contratto di pochi mesi, di solito sei; dopo il suo arrivo confida all’allenatore della squadra di non essere in forma e di necessitare di un paio di settimane di lavoro specifico col suo coach personale (che ovviamente non esiste); quando non riesce più a temporeggiare ulteriormente finge un infortunio in allenamento alla prima occasione disponibile o, in casi estremi, durante il riscaldamento prima di una partita. Di solito riesce a far passare sei mesi senza mai aver dovuto mettere piede in campo rischiando di smascherare la commedia; il contratto scade, la squadra ovviamente non lo rinnova e Carlos cerca un nuovo ingaggio. Bisogna specificare che all’inizio degli anni ’80, pur essendo un’epoca relativamente recente, gli appassionati non conoscevano tutti i dettagli tecnici di un giocatore. Alla tv venivano trasmesse solo le partite più importanti, non esistevano ancora internet e le pay per view, e la realtà era per gran parte ancora stabilita dalle radio e dai giornali. E se Carlos non ha talento calcistico, è senza dubbio molto portato per i rapporti interpersonali. Riesce a farsi amici molti giornalisti: i media raccontano dei suoi infortuni muscolari e della sfortuna che gli impedisce di mostrare al mondo il suo talento. Viene addirittura soprannominato il Kaiser per via della sua somiglianza col grande Franz Beckenbauer! Comincia a frequentare i locali in cui escono i calciatori più famosi del Paese, e conosce Carlos Alberto, Ricardo Rocha e Renato Gaúcho, campioni (o ex) della nazionale verdeoro.
Il Kaiser diventa sempre più popolare: organizza feste, la sua rete di amicizie si fa sempre più ampia e, al netto dei suoi continui infortuni immaginari, riesce a farsi ben volere anche in squadra grazie al suo temperamento. Quando l’inganno rischia di venire scoperto, un amico dentista gli firma dei finti certificati medici. Nel frattempo il Kaiser è approdato al Bangu, nello stato di Rio de Janeiro. Un giorno è seduto in panchina e guarda la sua squadra che a pochi minuti dalla fine sta perdendo 2-0. Ma ecco che accade l’imprevisto: Castor de Andrade, presidente del club che sta guardando il match dalla tribuna, chiede via walkie-talkie all’allenatore di buttare nella mischia il Kaiser, non si sa mai che il ragazzo riesca a riaprire la partita!
Suo malgrado, Carlos inizia a riscaldarsi a bordo campo e intanto pensa a un piano; un gruppo di tifosi avversari gli urla qualcosa, quindi lui coglie l’occasione per scagliarsi contro di loro e scatenare una rissa! L’arbitro lo espelle prima del suo ingresso in campo. Dopo il fischio finale Andrade è furioso e va a cercare il Kaiser negli spogliatoi; questi, con un altro colpo di genio, racconta al presidente di aver trovato in lui un secondo padre dopo essere rimasto orfano a 13 anni. I tifosi avversari, racconta Carlos, gli avevano dato del ladro e lui non poteva tollerarlo, e li ha affrontati per difendere il suo onore. Andrade, commosso, gli rinnova il contratto per un anno! Nel Bangu però, nell’unica partita che gioca durante la sua permanenza al club, il Kaiser riesce addirittura a segnare un gol. Osservate bene questo gol perché – è proprio il caso di dirlo – è un momento più unico che raro. Nel corso degli anni, grazie alla sua rete di contatti, Carlos riesce ad ottenere contratti in alcuni dei più prestigiosi club brasiliani: Botafogo, Flamengo, Fluminense, Vasco da Gama, America di Rio de Janeiro.
Le sue tecniche di raggiro si fanno sempre più raffinate: Ronaldo Torres, suo compagno di squadra al Botafogo, racconta che Carlos a volte fingeva di parlare in inglese al cellulare, all’epoca un oggetto raro e costoso, millantando di ricevere offerte dall’estero per alimentare la sua immagine di calciatore di successo, sebbene infortunato. Viene anche pubblicato un articolo, scritto da un giornalista suo amico, che racconta che all’epoca del Puebla Carlos era stato invitato a prendere la cittadinanza messicana per poter giocare nella nazionale locale. Un episodio controverso riguarda il suo ingaggio da parte dell’Independiente, squadra argentina vincitrice della Copa Libertadores nel 1984. Kaiser afferma di essere stato sotto contratto con loro proprio in quel periodo, ma il club di Avellaneda smentisce la sua versione dei fatti. A nessuno, col senno di poi, fa piacere ammettere di aver tenuto a contratto un truffatore per sei mesi. Per dimostrare la sua buona fede, il Kaiser mostra una foto di squadra del club in cui c’è effettivamente un giocatore dai lunghi capelli castani che risponde al nome di Carlos Enrique, ma senza la H iniziale, e in quegli anni ha militato nell’Independiente un terzino sinistro di nome Carlos Alberto Enrique. Nel 1986 il Kaiser riesce addirittura ad ottenere un ingaggio in Europa, nel Gazélec Ajaccio, squadra che in quel momento milita in Ligue 2, la serie B del calcio francese. Il giorno della sua presentazione il piccolo stadio corso è pieno di tifosi venuti a vedere il nuovo campione brasiliano. Carlos vede che ci sono diversi palloni e teme di sfigurare davanti alla folla accorsa per vederlo palleggiare e magari allenarsi un po’.
Ma ancora una volta, nel momento del bisogno ha un’idea vincente: uno ad uno, lancia tutti i palloni ai tifosi sugli spalti, salutando la folla e baciando lo stemma sulla maglia. Al momento di dover mostrare le sue doti tecniche, non sono più rimasti palloni e Carlos non ha problemi ad effettuare un allenamento senza palla.
Per più di vent’anni, Carlos Henrique Raposo detto il Kaiser è riuscito a raggirare tutti ed avere una carriera da professionista senza quasi mai giocare, ma facendo molta vita notturna e godendo di tutti i vantaggi della vita del calciatore. Oggi molti dei personaggi che frequentava all’epoca negano di aver avuto contatti con lui, probabilmente per paura di passare per dei creduloni, e alcune squadre per cui ha “giocato” (o per lo meno è stato sotto contratto…) negano di averlo mai ingaggiato, come nel caso dell’Independiente (ma altre invece hanno confermato, ad esempio il Bangu e l’America di Rio de Janeiro).
Totale: oltre vent’anni di carriera professionistica, 12 squadre in 6 paesi diversi; 34 presenze (meno di 2 partite all’anno di media) e 1 gol segnato. Non male per un attaccante! Ironia della sorte, oggi Carlos Kaiser fa il personal trainer in una palestra di Rio de Janeiro.
Fonte: “Trequartismi”