Il Perù è una delle squadre di medio livello che ha contribuito a fare la storia del calcio, non fosse altro perché era fra le 13 presenti alla prima edizione del Mondiale. Ma dalla competizione più prestigiosa del pianeta mancava addirittura dal 1982, quella che per sempre sarà l’edizione più bella del torneo e non lo diciamo soltanto per l’Italia.
Un Mondiale di passaggio fra il calcio che si intravedeva, in poche occasioni televisive, e quello che di lì a poco si sarebbe visto su ogni canale, con i fuoriclasse che avevano quell’aura di chi non c’entra niente con la quotidianità: seriamente, quante volte avevamo visto giocare Maradona, Platini, Rummenigge o Zico prima del 1982? Non più di una decina di volta per ognuno in totale, praticamente quello che oggi si vede in un mese di Cristiano Ronaldo o Messi. In altre parole, il calcio non era meglio, ma di sicuro era meno inflazionato. Quante volte avevamo visto giocare Julio Cesar Uribe, eletto nel 1981 terzo miglior giocatore del Sudamerica dietro a Maradona e Zico? Zero.
E di certo nessuno di noi – come scrive il Guerin Sportivo – aveva potuto seguire le qualificazioni mondiali della squadra di allenata da Tim in uno dei tre gironi in cui era divisa la CONMEBOL, che oggi invece mette insieme tutte le sue dieci nazionali. Il Perù era nel gruppo più equilibrato, con Uruguay e Colombia: strappò il pareggio a Bogotà grazie ad un gol di La Rosa nel finale, batté la Colombia a Lima, 2-0 con Barbadillo e un rigore di Uribe, ma l’impresa fu quella di espugnare Montevideo, 2-1 con gol di La Rosa e Uribe. Un’eroica difesa a Lima, contro l’Uruguay, regalò quindi al Perù il secondo mondiale consecutivo, il quarto fra gli ultimi cinque. Un ciclo straordinario, sotto il segno dell’immenso Teofilo Cubillas, che però in Spagna era quasi al capolinea.
Il Perù che Tim schierava con il 4-4-2 esordì a La Coruña contro il Camerun, usando grandissima prudenza: in panchina Barbadillo, Uribe spostato in attacco a supporto di Oblitas. Zero a zero di rara bruttezza contro N’Kono e compagni e testa alla partita con l’Italia, il 18 giugno al Balaìdos di Vigo. Era l’Italia che tutti ricordano, nella versione Marini (Oriali sarebbe diventato titolare con il Camerun). Dopo il buon pareggio contro la Polonia gli azzurri sembravano avere in mano la partita, grazie al gran gol di Bruno Conti al 19’, con tante buone occasioni, due clamorose con Scirea e Paolo Rossi.
Sembrava tutto facile, fino a quando a inizio ripresa Bearzot al posto di un Rossi impreciso ma vivo mise Causio: forse non solo per colpa del Barone il Perù prese in mano la partita e addirittura la dominò quando al 20’ La Rosa e Leguia presero il posto di Uribe e Barbadillo. La Rosa, scatenato, andò due volte vicino a battere Zoff, prima che un tiro del capitano Toribio Diaz, deviato da Collovati, desse il meritato pareggio.
Una partita dai due volti, come si diceva una volta, che entusiasmò Mario Vargas Llosa: in un’intervista lo scrittore peruviano che nel 2010 avrebbe vinto il Nobel, presente e tifante in tribuna al Balaìdos, sostenne che era stata fra le più belle di quel Mondiale. Il Perù fu poi però sotterrato 5-1 dalla Polonia di Boniek nella terza partita e la sua generazione d’oro finì lì.