Cabrini ha sbagliato il rigore. Si va negli spogliatoi. Dovrebbero farsi forza, ritrovarsi dopo lo scampato pericolo. Accade tutt’altro. In un angolo c’è Kalle Rummenigge, primo tempo da dimenticare. Ha male alla coscia, quella destra. Poi chiama a sè Uwe Reinders e gli offre cinque mila marchi per spaccare la faccia a Stielike. Alla fine non se ne fa nulla e si rientra in campo. Quando segna Paolo Rossi, è già saltato tutto. Rummenigge cammina più che giocare. E Derwall lo mette da parte.
Uli Stielike sta giocando una sua finale, una gara a parte. Una prestazione dignitosa nel primo tempo, toccando poche palle. Ma adesso urla qualcosa al guardalinee. Soltanto lui. Nessuno lo segue. L’Italia va sul 2-0. Lui recupera un altro pallone e riparte. Litiga con Gentile , prende fallo . Le promette a Oriali, poi a Tardelli. Già che c’è, manda a quel paese anche Derwall. Protesta ancora, si becca il giallo. Capisce che il tempo non basta più. Prova a disturbare Zoff sul rinvio. Vuole il recupero e fa cenno all’arbitro. Chiude abbracciato al pallone in posizione fetale, dentro la sua porta. E nel suo stadio : “Ho perso la finale, ma non ho mai smesso di dormire bene. Si erano rotti certi equilibri creati a fatica due anni prima. Abbiamo perso per merito dell’Italia, ma anche per demerito nostro. Troppe personalità e Derwall perse il controllo della situazione”.
In quella squadra ci sono i clan. Quello bavarese che impone Dremmler e vuole far fuori Hansi Müller. C’è quello di Amburgo , fresco di scudetto. Con Hrubesch che gioca poco e minaccia di andarsene . E ci sono quelli come lui, Uli Stielike. Che è un autonomo, la cellula di se stesso e prova a fare l’interesse della squadra.
In finale chiede la sostituzione di Rummenigge con un compagno più in forma , ma non se ne parla. Becca un rimprovero. Perché sono Rummenigge e Breitner i più influenti. Anzi, pare proprio che facciano la formazione al posto di Derwall. Sono gl’ingaggi pubblicitari a decidere tutto. Kalle, per esempio, vuole giocare a tutti i costi nonostante uno strappo muscolare che il medico federale ha declassato a stiramento .In quei giorni Uli Stielike ha sofferto , ha stretto i denti : “Ho male al nervo sciatico, ma non posso non giocare davanti alla gente di Madrid. Entro sicuramente in campo con l’Inghilterra. Poi si vedrà se resisto. Miglioreremo. Non possiamo peggiorare e neppure continuare a giocare così”.
Perché si era passato il turno, ma tra le pernacchie. Prima l’Algeria degnandosi appena e finendo impallinati. Poi il sussulto col Cile e la farsa con l’Austria . In albergo li aspetta anche un lancio di pomodori : “Mi dispiace che la stampa abbia parlato di truffa. Non c’era nient’altro da fare per entrambe che giocare così quell’incontro”.
Il signor Pelè infierisce, dicendo che Stielike non diventerà mai un libero alla Beckenbauer. Viene dato sul viale del tramonto. Parla poco ma è lì, in semifinale : “Siamo i campioni d’Europa. E le quattro squadre rimaste sono tutte europee. Quindi …. “. A Siviglia, una delle più belle partite di sempre. E il rigore. “Ho fatto quello che non si dovrebbe fare: pensare di tirare a destra e poi a sinistra”. Le lacrime infinite, la gioia.
Con Boskov al Real
Come da bambino.
“Ricordo ancora i miei primi anni nel Ketsch. Il mio idolo era Uwe Seeler. Con me giocavano ragazzi ai quali tutti profetizzavano un futuro da fuoriclasse. Si sono persi per strada . Perché non erano disposti a soffrire. Il talento da solo non basta. Al limite possono bastare le altre qualità. Non dimenticherò mai l’insegnamento diHennes Weisweiler, un uomo per il quale tutto cominciava dal sacrificio”. E’ il Borussia Mönchengladbach: “Non una squadra qualunque, ma l’ultima espressione di un calcio ispirato a un’offensiva totale. Senza tatticismi. Calcio come sacrificio in allenamento e come divertimento in partita. Weisweiler diceva meglio una vittoria per 5-4 di una per 1-0”.
Si arriva in finale di Coppa Campioni . Lui gioca con la numero 9. Ci sono Heynckes , Bonhof e Allan Simonsen. Dall’altra parte Keegan, Neal , Jimmy Case e Clemence in porta. All’Olimpico sono in sessantamila. Il Borussia prova a colpire solo di rimessa. E Uli Stielike è tra i migliori . Può anche buttarla dentro su assist di Simonsen. Ma gli scivola e tira addosso a Clemence. Poi Vogts non regge Keegan e la partita finisce : “Una delle prime cose che mi hanno insegnato: nel calcio si vince e si perde. La digestione di un successo e di una sconfitta deve essere parte dell’educazione sportiva delle persone. Per noi fa parte del lavoro. Conosco una sola maniera di interpretare la sconfitta. Quando si perde, vuol dire che gli altri sono stati migliori. Allora si oltrepassa la linea di metà campo, si va a stringere la mano , si torna a casa e ci si allena per vincere la prossima volta. Ho sempre fatto così”.
Uli Stielike brucia tutti sul tempo ed a ventidue anni emigra. Il figlio di un magazziniere fa impazzire le statistiche. “Mi telefonò Netzer poco prima di Borussia – Dinamo Kiev di Coppa dei Campioni : Preparati perché verrà alla partita Santiago Bernabeu. Io ero infortunato. Strinsi i denti e giocai ugualmente”. In realtà Bernabeu era partito per vedere Herbert Wimmer. Dopo dieci minuti di partita l’investitura: “ ¿ Como se llama ese del bigote ? Hay que fichar a ese que tiene tanta mala leche ” (“Come si chiama quello coi baffi ? Uno che ha così tanto sangue cattivo, deve firmare”). Sa quando giocare a uno o a due tocchi.
Di lotta e di governo. Fa argine, propone . Poi carica il destro. Il primo anno segna addirittura tredici gol in ventisette gare. Sarà miglior calciatore straniero della Liga. Tutti lo chiamano tanque , rendendo onore alle sue percussioni e alle sue rudezze. Ma non all’intelligenza calcistica: “Il temperamento è una guida . La mia droga legale. I calciatori senza temperamento sono davvero noiosi. Ne vedo tanti che vengono definiti dei talenti e dentro di loro non scorre una goccia di sangue. Non c’è talento senza carattere . La vera arte di un calciatore è saper indirizzare le emozioni. Ma prima deve averne”.
E’ in grandissima forma, maniacale in allenamento. Ma nel ‘78 salta i mondiali: “Ero appena entrato nel gruppo, ma il presidente Neuberger chiuse le porte a tutti i legionari. Durò poco però. Il mondiale in Argentina andò male e già a dicembre, Derwall mi richiama”. Primi effetti: Olanda spazzata via a Düsseldorf. E nasce Christian Stielike. Durante l’Europeo, i giornali spingono per il passaggio a libero. Derwall si fida . La squadra è giovane, unita. Batte tutti. Con un pensierino finale di Uli per l’arbitro : “Il rigore è stato inventato. Gli ho detto tante cose belle anche se è rumeno. Spero che le abbia capite”. La festa finisce all’alba e lui canta un po’ di tutto. Anche Heidi. Otto anni a Madrid. Dopo la partenza di Pirri, prende in mano la squadra . Batte perfino i corner. Solo così si può ribaltare il Celtic : 3-0. Perché la sua è anche la squadra delle rimonte: “Al Real Madrid sono diventato un uomo. Per me è una filosofia, un modo di fare”.
La gente grida “Uli , Uli”. Lui si diverte e poi è arrivato don Vujadin Boskov: “Un grande . Anche lui mi ha insegnato tantissimo. Diverso da Weisweiler, ma altrettanto bravo. Innamorato pazzo del pallone. In allenamento preferiva sempre la partitella agli esercizi fini a se stessi. Con lui il lavoro quotidiano pesava poco o nulla”.
Vincono quasi tutto. Anche se lui gli scudetti li vinceva anche al Borussia: “Il calcio ideale è quello di una squadra che sappia fare con i piedi ciò che gli avversari non saprebbero fare usando le mani”. Nel doppio confronto con l’Inter in Coppa Campioni, Uli Stielike gioca in mezzo. E Bersellini aveva sperato proprio questo: “Perché se Stielike gioca lì, si può predisporre una marcatura. Se invece partisse dalla difesa, sarebbero guai”. Stielike si ritrova addosso Beppe Baresi, ma lo semina facile. E strappa anche la palla per il gol del raddoppio. A fine partita il responso di Bersellini: “Migliore in campo ? Stielike”. Col Liverpool viene toccato duro. Corre trascinando una gamba. Solo a quel punto cala il Real : “Non ho mai avuto l’abitudine di collezionare cattivi ricordi. Cerco di cancellarli”.
E se la prende con Juanito che non ha seguito Kennedy su una rimessa laterale. Derwall non nasconde la stima: “Si vede che è diventato libero dopo essere stato un centrocampista. Ha le intuizioni di Beckenbauer anche se gli manca l’eleganza di Franz. Occupa un ruolo che gli permette di prendere l’iniziativa. E a Madrid è diventato un giocatore di valore mondiale, insuperabile nei contrasti. Solo Krol può stargli alla pari, ma è meno pratico di Stielike”. Nell’ aprile 1983 chiama il Milan di Farina. Sua moglie Doris ha gentilmente fornito il numero di telefono del ristorante di Plaza Major dove Uli si ritrova con i compagni : “Grazie. Verrei volentieri, ma qui mi trovo bene”. Perde lo scudetto all’ultima giornata e un’altra coppa contro l’Aberdeen di Ferguson. Poi riprende il litigio con Juanito, che gli dà del mercenario. “Abbiamo un concetto diverso della professione “. Non si parleranno per due anni.
Appena arriva Beckenbauer in panchina, non gli concede tempo: una manciata di minuti in Nazionale. E non lo chiama più. Adesso Uli gioca stabilmente libero, sembra l’ultima trincea. Si vince anche la Coppa Uefa con Sanchis, Michel , Valdano più la vecchia guardia. Novantamila per il trionfo col Videoton . “Di sicuro nel mio caso, la disciplina e la voglia di arrivare hanno prevalso su tutte le altre componenti, talento compreso. Ma senza l’aiuto della famiglia non avrei mai potuto raggiungere certi traguardi nel calcio”.
E’ nato Michael , poi arriverà Daniela. Chiede tempo, ma quando gli propongono il rinnovo di contratto è per un solo anno. Lui rifiuta: “Il Real sostiene di offrire contratti annuali ai giocatori sopra i trent’anni, ma poi ingaggia giocatori come Hugo Sanchez vincolandoli fino all’età di 32-33. Mi piacerebbe che qualcuno calcolasse i chilometri che ho fatto. Sentendomi tradito, me ne vado. Anche se siamo innamorati di Madrid ed abbiamo tanti amici”.
Un auto-esilio senza tempo. C’è la Svizzera, forse l’ideale per un esule. E la prima squadra che capita : Neuchatel. Anche se ci sono Hermann e Sutter. Un calcio un po’ sonnacchioso. Lui dice che con cinquemila persone intorno non riesce nemmeno a giocare. Poi si adegua: “Sono stadi più piccoli, ma la palla è la stessa in Spagna e in Svizzera. Chissà, forse è stato un errore. Ma ero talmente arrabbiato che non mi sembrava vero poter firmare un contratto per quattro anni”. A Neuchatel c’è un’atmosfera familiare. Si mangia a casa prima delle partite. Vince lo scudetto . Con orgoglio può dire “il primo della storia del club “ . E si rilancia tutto il calcio elvetico. Lui incrocia il Real al Bernabeu. Diventa la resa dei conti. Si becca uno sputo da Juanito e gli risponde con un’entrata da censura. Lo stadio applaude Uli. Secondo round negli spogliatoi: “E’ una persona cattiva”. Risposta di Uli: “E’ uno squilibrato”.
Chissà a chi dedica il gol di Neuchatel, dopo una splendida finta. Faranno pace su una spiaggia.
Poi il ginocchio avverte il peso del tempo . Non si lamenta, gioca anche terzino destro. E deve fermarsi. “Eravamo a Neuchatel da poco più di un anno. Il ginocchio mi faceva male. Artrosi dissero i medici. Brutto affare. Al termine di ogni partita non riuscivo a muoverlo dal dolore. Mi operano, ma la situazione non cambia granchè. La prospettiva era quella di smettere per non restare invalido per sempre. Io che avevo fatto del calcio una ragione di vita, venivo messo di fronte alla prospettiva di abbandonare per problemi fisici”. E dall’ospedale arriva la notizia: “Il male che ha colpito Michael. E la mia visione delle cose cambia radicalmente. Da un dramma che mi sembrava grandissimo, quello del ginocchio, precipitai in un altro dalle dimensioni molto più grandi”. Michael ha solo tre anni. “Per qualche tempo mi lasciai andare completamente. Il mondo intero mi sembrava ingiusto. Lo rifiutavo . Mi ero messo in testa che Michael non sarebbe più guarito e questo bastava ad isolarmi da tutto e da tutti. Questo stato di apatia e di pessimismo non durò a lungo , per fortuna. Dopo un po’ ho fatto il seguente ragionamento: se sono io il primo a lasciarmi andare, non potrò mai pretendere che a trovare la forza di reagire sia mio figlio, colpito dal più tremendo dei mali. Lui a tre anni, faceva fatica a capire , quindi a collaborare con i medici. Per fortuna la reazione ci fu, da parte mia e soprattutto sua”.
Michael è stato operato. Poi la lunga terapia : “Nella sfortuna, siamo stati fortunati ad appoggiarci all’ospedale di Berna, uno dei più attrezzati in questo campo”. Torna in campo col Neuchatel nell’ ’88, giocando dodici spezzoni di partita fino al secondo scudetto . In Germania intanto è tempo di Europei. E Christian Stielike è il bambino prescelto per il sorteggio. Da quei bussolotti salta fuori un accoppiamento : Germania – Italia. Suo papà vorrebbe tornare indietro e rigiocarla. Se non ci fosse un’altra sfida contro il tempo .
Come la convalescenza di Michael: “Adesso sta meglio. Gioca, guarda la televisione, si diverte addirittura con il computer. Una vita normale. Ogni due settimane, lo accompagniamo a Berna per un controllo. Resta, questo sì, l’incertezza. I medici sono stati chiari: ci sono sette anni in cui il male può ripresentarsi. Siamo costretti ad aspettare e sperare. Almeno ho superato la fase dello scoramento”. Il 3 maggio 1989 lascia il calcio. Saluta tutti giocando ancora con Cabrini, Scirea e Altobelli. “Il ricordo più bello è la finale contro l’Italia”. Al telefono c’è Neuberger : si scusa per averlo escluso da quel mondiale. Anche stavolta non si può tornare indietro.
Per Michael invece il tempo si ferma a ventitrè anni. “Quando ho visto mio figlio morire lentamente, ho visto che l’uomo non è niente. Zero. E non ho più avuto paura di nulla. Se perdi qualcosa di costoso e importante per te, tutto il resto perde di valore e diventa insignificante. Ho capito che c’è qualcosa di più importante”.
Avverte tutto il peso del tempo. Di quello sprecato. Ma soprattutto di quello ormai passato e di quello che non potrà mai vivere con suo figlio.
Reagisce ovviamente. “Io avevo carattere come Pirri, come Gordillo . Quello che manca ai calciatori di oggi”. Continua a girare : dopo l’Africa, c’è l’Asia. Deve buttarsi sul pallone. Quel mondo, che ha accettato tutto, anche il suo lato debole , è il posto più facile in cui rifugiarsi.
E adesso è il tempo quello che invecchia.
Ernesto Consolo
Da Soccernews24.it