Tradizionalmente il calcio in Africa segue un canovaccio dettato della contrapposizione tra le squadre del nord, del Maghreb, e le formazioni provenienti dalla zona equatoriale o subtropicale del continente. Le prime sono interpreti di un calcio di solito più tattico, mentre le seconde esprimono un gioco atletico e offensivo – così, a grandi linee. Nel corso del Mondiale 1982, ovvero l’edizione della Coppa che segna una svolta nella storia del calcio africano per nazionali, tutte e due le grandi aree sono presenti. Infatti le selezioni che partecipano alla manifestazione sono quella algerina e quella camerunense. Le stesse qualificazioni per il Mondiale sono all’insegna del binomio Maghreb – Africa nera, almeno nell’ultimo atto. L’Algeria sfida la Nigeria, mentre il Camerun affronta il Marocco. Partite di andata e ritorno, le vincenti vanno al Mondiale. Il confronto ha poca storia ed esito identico: entrambe le future qualificate si impongono in trasferta per due a zero e ribadiscono la loro superiorità vincendo due a uno in casa.
Algeria e Camerun sono l’emblema del grande avanzamento del calcio africano in quegli anni – assieme a Marocco, Egitto e Nigeria. Gli algerini nel 1980 sono giunti secondi alla Coppa d’Africa, vinta dai nigeriani. Vinceranno poi il trofeo continentale nel 1990. Il Camerun conquista di lì a breve tre finali consecutive della Coppa d’Africa e due titoli – ’84 e ’88 – prima della straordinaria prestazione al Mondiale del 1990. Le due africane disputano un validissimo torneo in Spagna. Incrociano fra le altre le due future finaliste, Italia e Germania Ovest, ed escono imbattute dal doppio confronto.
Il salto di qualità del movimento calcistico è preparato, in Camerun, da circa un decennio. Nel 1972 ha ospitato per la prima volta la fase finale della Coppa d’Africa e l’evento è stato sfruttato per costruire diversi impianti sportivi. Il governo autoritario e filo-occidentale di Ahmadou Ahidjo investe nel calcio. La formazione africana arriva in Spagna forte di alcune interessanti individualità, quali l’attaccante Roger Milla, che milita nella squadra francese del Bastia, e i portieri Bell e N’Kono. Al Mondiale, in porta, il Camerun schiera il secondo e la sue prestazioni sono ammirate a livello internazionale. Altri tre uomini giocano nel campionato francese, così come francese è l’allenatore, Jean Vincent, ex attaccante e semifinalista nella Coppa del Mondo edizione 1958.
Jean-Pierre Tokoto
Raccolgono molta curiosità e simpatia attorno a loro nel ritiro di La Coruna. Hanno un atteggiamento rilassato, allegro e aperto, ma soprattutto hanno piena consapevolezza dei loro mezzi. Dirà Thomas N’Kono: “Volevamo mostrare al mondo un aspetto diverso da quello delle selezioni africane che ci avevano preceduto, e ci riuscimmo. La nostra squadra aveva raggiunto una certa maturità, stavamo giocando assieme da più di dieci anni, e pertanto avevamo accumulato una grande esperienza. Capivamo il gioco e volevamo arrivare il più avanti possibile”.
Contro il Perù, all’esordio, finisce zero a zero. C’è un gol forse buono annullato per fuorigioco ai camerunensi nella prima frazione. Ci sono alcuni pregevoli interventi di entrambi i portieri, N’Kono e Quiroga, l’estremo difensore peruviano uscito dal precedente Mondiale con l’infamante sospetto, peraltro mai realmente provato, di aver venduto la partita della propria nazionale contro l’Argentina.
Il secondo incontro si risolve nuovamente in un pareggio senza gol. La partita però, che contrappone il Camerun alla nazionale polacca, è interessante e colma di occasioni. Nel primo tempo e all’inizio della ripresa gli africani soffrono: Lato coglie una traversa per la Polonia, mentre un difensore camerunense salva un gol avversario sulla linea di porta. Poi gli africani si trasformano e chiudono il confronto addirittura dominando la squadra est-europea. Provano a segnare con alcuni pericolosi tiri dalla distanza; inoltre Abega ha un’importante possibilità per realizzare, ma la spreca, e lo stesso avviene nel finale con Milla. Si arriva quindi all’ultima partita del girone, contro l’Italia. Le due squadre sono a pari punti in classifica ma il Camerun ha la necessità di vincere a tutti i costi per passare il turno, in virtù del minor numero di reti segnate. Nel primo tempo, però, è l’Italia a fare la partita e costruisce tre grandi occasioni da rete, senza realizzarle: Graziani manda fuori di testa da comoda posizione; Conti, solo davanti al portiere e con la difesa completamente in bambola, tira a lato; Collovati colpisce di testa, ma N’Kono devia sulla traversa.
Nel secondo tempo l’Italia trova il vantaggio grazie ad un colpo di testa di Graziani che scavalca l’estremo difensore avversario, ed è il primo gol che subisce il Camerun nel torneo. Ripresa del gioco, trascorre neanche un minuto e il Camerun perviene al pareggio. Realizza M’Bida, mentre la difesa italiana, probabilmente ancora fuori posizione, sta a guardare immobile. A questo punto il Camerun dovrebbe spingere senza sosta per ottenere la vittoria, ma in realtà rallenta e attende, quasi pago di quanto già ottenuto. Anzi è l’Italia, anch’essa comunque in atteggiamento piuttosto guardingo, a sfiorare di nuovo il vantaggio. Negli anni seguenti un’inchiesta giornalistica in Italia parlerà di risultato prestabilito fra le due squadre, ma anche in questo caso la presunta combine non è mai stata veramente provata. Finisce uno a uno e gli africani lasciano il campo esultando e pienamente soddisfatti.Il Camerun esce a testa alta dalla competizione: imbattuta, un solo gol incassato al passivo, fuori soltanto per il minor numero di gol segnati e a vantaggio di una nazionale, quella italiana, che farà parecchia strada. È nata non solo una potenza del calcio africano, ma una squadra che di lì a poco saprà giocare alla pari con le migliori nazionali del mondo.
Rachid Mekhloufi è il commissario tecnico della nazionale algerina durante il campionato del Mondo di Spagna. Da giovane, negli anni Cinquanta, è stato un valido attaccante del Saint-Etienne e ha disputato anche alcune partite con la nazionale. Quella francese però, perché quella dell’Algeria non esiste. All’epoca, infatti, il paese nordafricano è una colonia della Francia, e il dominio straniero dura da quasi un secolo e mezzo.
Da alcuni anni è in corso una durissima guerra di liberazione condotta dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) contro le truppe francesi. Mekhloufi è algerino e ha assistito da bambino al massacro di Setif, nel 1945, durante il quale migliaia di suoi compatrioti sono stati uccisi dalle truppe coloniali. Mekhloufi non rimane indifferente a quanto sta accadendo in Algeria. Poco prima dei Mondiali del ’58, assieme a una decina di altri giocatori algerini in forza a club francesi, scappa in modo clandestino dalla Francia e raggiunge la Tunisia. Fra i fuggitivi c’è anche Mustapha Zitouni, difensore del Monaco e anch’egli nel giro della nazionale. Alla base della fuga c’è l’idea, avanzata dal dirigente del FLN Mohamed Boumezrag, di costruire una squadra del Fronte stesso e composta da giocatori algerini. Una sorta di nazionale algerina in esilio che possa diffondere a livello internazionale la causa dell’indipendenza attraverso le partite di calcio. E questo avviene. Sotto la guida di Mokhtar Arribi, ex allenatore dell’Avignone, la nazionale del FLN gira il mondo per circa quattro anni. La FIFA prova a boicottare l’iniziativa tramite la minaccia di espellere le nazionali che accetteranno di scendere in campo con gli algerini, ma inutilmente. In particolare, nei loro viaggi di ambasciatori per l’indipendenza algerina tramite il football, Mekhloufi e compagni sfidano le nazionali di Stati arabi e socialisti, e incontrano i vertici politici di questi paesi. Saranno ricevuti fra gli altri da Ho Chi Minh nel Vietnam del Nord e da Zhou Enlai nella Repubblica Popolare Cinese. L’Algeria ottiene l’indipendenza nel 1962, la formazione del FLN viene sciolta e sostituita dalla nazionale algerina vera e propria. Mekhloufi può tornare in Francia, a giocare nella sua vecchia squadra, il Saint-Etienne. Ha perso però con ogni probabilità gli anni migliori della sua carriera di calciatore, nonché l’occasione di prendere parte al campionato del Mondo. Lo ha fatto, assieme ai suoi compagni, per sostenere in maniera concreta una causa nella quale credevano, la causa del loro popolo. Chapeau. Per loro, valeva di più di qualsiasi coppa. Mekhloufi, con la sua squadra del Fronte, ha usato il calcio per lottare contro l’imperialismo nel suo aspetto politico, e ha vinto. Ma in Spagna, l’imperialismo – questa volta soltanto calcistico – si prenderà una drammatica rivincita, nei confronti di Mekhloufi e dell’Algeria intera.
Il 16 giugno 1982, allo Stadio El Molinon di Gijon, l’Algeria esordisce al Mondiale contro i campioni d’Europa in carica, la Germania Ovest. L’esito dell’incontro è una delle più grosse sorprese della storia della competizione. Alla viglia i tedeschi ostentano sufficienza e superiorità. Il ct Derwall dichiara che, in caso di sconfitta, sarebbe saltato sul primo treno per Monaco; un giocatore tedesco pronostica per la propria squadra otto gol all’attivo, un altro ancora vorrebbe scendere in campo fumando un sigaro. Un’analisi più attenta dell’avversario avrebbe dovuto indurre la squadra tedesco-occidentale a maggiore cautela. L’Algeria è una formazione da prendere con le molle. In amichevole ha appena sconfitto il Real Madrid e il Benfica, oltre alla nazionale irlandese. Alcuni giocatori militano nel campionato francese, ma la maggior parte gioca in Algeria, stante il divieto per i calciatori – tipico dei paesi socialisti – di espatriare prima di una certa età (28 anni). È una squadra formata da giocatori che si conoscono bene ed è allenata da un uomo che ha esperienza del calcio europeo. Inoltre schiera due attaccanti pericolosi, Belloumi e Madjer.
All’epoca lo conoscono davvero in pochi, ma Rabah Madjer diventerà il calciatore algerino più famoso e forte di sempre. Nel 1985 si trasferirà in Europa, nel Porto, squadra con la quale disputerà la vittoriosa finale di Coppa dei Campioni, edizione 1986-’87. L’avversario è il Bayern Monaco. Un suo gol di tacco determina il momentaneo uno a uno e per tale ragione verrà soprannominato il tacco di Allah. Guida la nazionale del suo paese sino alla conquista della Coppa d’Africa nel 1990. Nella sfida fra algerini e tedeschi avviene tutto nel secondo tempo. L’Algeria passa in vantaggio: azione di Zidane, tiro di Belloumi respinto da Schumacher, intervento di Madjer che infila in rete. Poco dopo la Germania Ovest pareggia grazie a Rumenigge che, imbeccato da Magath sulla destra, anticipa il difensore avversario. Uno a uno, palla al centro. Gli algerini riprendono il gioco, sviluppano un azione sulla fascia sinistra e immediatamente si riportano in vantaggio, con Belloumi. Nei minuti che mancano al fischio finale, la Germania Occidentale preme. L’Algeria sfiora il terzo gol in contropiede con Madjer, mentre Rumenigge, di testa, all’ultimo minuto, centra l’incrocio dei pali. Termina due a uno per l’Algeria. Nonostante la sua precedente affermazione, Derwall non torna subito in patria, ma rischia davvero di farlo a breve. La Germania, che quattro anni prima aveva pareggiato con la Tunisia, dimostra di soffrire le compagini africane, con le quali anche in futuro non avrà sempre vita facile.
Seconda partita del girone, Algeria – Austria, e qui emerge invece l’inesperienza degli algerini, secondo le chiare parole dell’attaccante Belloumi: “Avremmo dovuto raffreddare un po’ gli animi prima di quell’incontro e probabilmente cambiare un paio di giocatori; anche perché gli austriaci avevano studiato il nostro stile e sapevano che eravamo vulnerabili nei contrattacchi”. L’Algeria soccombe così per due a zero grazie alle reti di Schachner e Krankl, entrambe realizzate nel secondo tempo. Pertanto, prima dell’ultimo incontro che vede l’Algeria opposta al debole Cile, la situazione di classifica è la seguente: Austria in testa a punteggio pieno, algerini e tedeschi con due punti, cileni a zero. A parità di punti si calcola la differenza reti. I giochi sono ancor aperti, ma c’è in programma un particolare non trascurabile: gli incontri dell’ultimo turno non saranno in contemporanea, e questo vale per tutti i gironi. Evidentemente Argentina – Perù del Mondiale ’78 non ha insegnato granché. Le teste di serie, ovvero le squadre più forti, giocheranno per ultime, e quindi l’Algeria scende in campo il giorno prima rispetto tedeschi e austriaci. Gli africani dovrebbero imporsi almeno per tre a zero al fine di essere abbastanza sicuri (sebbene non certi) di passare il turno. In tal caso, infatti, gli algerini sarebbero fuori soltanto nella remota ipotesi che la Germania Ovest riesca a vincere quattro a tre o cinque a quattro. L’Algeria parte alla grande, si impone sui cileni e chiude il primo tempo proprio sul tre a zero. Nella ripresa, però, incassa due gol. Algeria – Cile finisce tre a due. La squadra nordafricana termina il suo ottimo girone di qualificazione con due vittorie e una sconfitta, e soprattutto con l’obiettivo del passaggio del turno che pare a un passo. Ma attenzione. Come detto, tedeschi occidentali e austriaci godono del vantaggio di scendere in campo conoscendo già il risultato dell’avversaria. E facendo due rapidi calcoli si capisce che la vittoria dei tedeschi per uno o due a zero garantirebbe il passaggio del turno a entrambe le formazioni europee. Inoltre, l’Austria eviterebbe di incrociare nella fase successiva l’Inghilterra, che sin lì ha ben impressionato. Il 25 giugno, sempre a Gijon, Germania Ovest e Austria chiudono il girone. I tedeschi partono all’attacco e schiacciano gli austriaci. C’è un’occasione per Breitner; poi, al decimo Hrubesch segna l’uno a zero. A questo punto la Germania smette di forzare, mentre l’Austria, nonostante lo svantaggio, aspetta gli avversari. Il ritmo cala, l’atteggiamento difensivista e attendista accomuna le squadre, ma qualche iniziativa ancora si vede. Dremmler si presenta a tu per tu con il portiere avversario, che però intercetta il tiro. Breitner è invece protagonista di una pericolosa azione personale conclusa fuori. Ma nel secondo tempo la situazione peggiora. Nessuno ha la minima voglia di provare a segnare e ad un quarto d’ora dal termine le due squadre letteralmente si fermano. L’uno a zero per i tedeschi, punteggio con il quale si conclude l’incontro, va bene a tutti. Tranne ovviamente ai poveri algerini.
Questa partita è diventata famosa – sarebbe meglio dire famigerata – e viene ricordata da allora come il patto di non belligeranza o la vergogna di Gijon. Il pubblico sugli spalti rumoreggia, fischia e agita banconote in segno di scherno. Alcuni algerini tentano l’invasione di campo. Anche i tifosi tedeschi e austriaci protestano. Il commentatore della televisione austriaca, a metà della ripresa, invita i suoi connazionali a spegnare il televisore e rimane in silenzio per il resto dell’incontro. Quello tedesco descrive la partita come una disgrazia che non ha nulla a che fare con il calcio. Un giornale spagnolo inserirà la cronaca dell’incontro nelle pagine di nera. Germania Ovest e Austria si accomodano quindi con poca gloria alla fase successiva del torneo iridato. L’indignazione che segue è parecchio forte. Scandalizza l’aperto atteggiamento anti-sportivo mostrato in campo. Più di tutto, colpisce come degli europei, e tra di loro fieri avversari calcistici, si siano coalizzati per eliminare una squadra africana. È pur vero che l’occasione fa l’uomo ladro, ma quanto accaduto ricorda troppo da vicino il colonialismo e l’imperialismo, applicati al mondo del pallone. L’atteggiamento di tedeschi e austriaci è facilmente interpretato come un tacito accordo dei potenti del calcio per estromettere i nuovi arrivati, brillanti e sorprendenti quanto fastidiosi e inopportuni. L’Algeria presenta ricorso, ma viene respinto. Mekhloufi e i suoi uomini tornano a casa, colmi di sconforto e convinti come il resto del mondo, o almeno quello che non parla tedesco, di aver subito un’enorme ingiustizia. Da parte sua, dirà Jupp Derwall: “Volevamo andare avanti nel torneo, non giocare a calcio”. Amen.
Dalla vergogna di Gijon in avanti le partite finali della fase a gironi del Mondiale si giocheranno sempre in contemporanea. È una scelta che aiuta, che può diminuire favori e il rischio di atteggiamenti anti-sportivi, ma non è di per sé risolutiva. L’eliminazione dell’Italia dagli Europei del 2004 in virtù del palese accordo tra svedesi e danesi sta lì a dimostrarlo. L’unica soluzione è richiedere alle squadre in campo di avere sempre un approccio sportivo, sino all’ultimo – non c’è alternativa, ma non è affatto semplice.
Comunque Spagna ’82 segna definitivamente l’ingresso del calcio africano sulla scena mondiale. Le formazioni africane non sono più delle comprimari, delle simpatiche accozzaglie di dilettanti pronte a raccogliere innumerevoli palloni in fondo alla propria rete. Adesso giocano a calcio. La profezia di Pelé, secondo il quale una nazionale dell’Africa avrebbe vinto il titolo entro la fine del secolo, non pare più così campata in aria come poteva sembrare solo pochi mesi prima. E negli anni a seguire apparirà sempre più prossima ad avverarsi. Ma il progresso del calcio africano, costante in termini di gioco e soprattutto di risultati ancora nelle due successive edizioni della Coppa, troverà una brusca e inaspettata interruzione. Rimarrà lì fermo, almeno sino ad oggi, ancora in attesa del salto di qualità decisivo.
Andrea Tavano