Éder Aleixo de Assis, detto Éder o Éder Aleixo. Soprannominato il piede sinistro di Dio per la potenza che possedeva nel tirare in porta e per le sue immani qualità tecniche, è stato un protagonista assoluto del calcio brasiliano e mondiale degli anni settanta e ottanta, fino al suo ritiro avvenuto nel 1997. Nato nel 1957 , ha indossato le casacche di molte squadre del calcio brasiliano, tra cui le più prestigiose sono il Gremio, l’Atlético Mineiro, il Palmeiras, il Santos, il Botafogo e il Cruzeiro solo per ricordarne qualcuna. Le uniche esperienze estere, una durata poco più di sei mesi è stata nel Fenerbahçe in Turchia nel 1989, e in Paraguay nell’Athletico Paranaense, solo nove partite. in Nazionale di cui è stato un punto fermo e una stella assoluta dal 1979 al 1986 , ha vinto però solo un argento e un bronzo, nella competizione della Coppa America. Mancino geniale e sregolato era dotato di una grande intelligenza tattico – tecnica e colpiva la palla con la parte bassa dell’esterno del collo del piede sinistro. Senza dubbio il portabandiera della razza mancina in materia calcistica, non può che essere anche lui, insieme al Pibe de Oro, il più grande calciatore della storia insieme a Pelé.
E l’ombra gigantesca di Maradona non ha potuto fare a meno di oscurare un campione brasiliano dotato di un piede sinistro quasi sovrumano, Éder Aleixo de Assis, detto semplicemente Éder. Un’ala sinistra che riusciva a lanciare il pallone a più di 170 chilometri l’ora, mentre col goffissimo destro non arrivava quasi mai oltre i quindici metri di distanza, neanche sotto il massimo dello sforzo. A lui quel sinistro, magico e regale, bastava e avanzava per andare orgoglioso di sé stesso e per venire osannato dai propri tifosi. Era l’esatto opposto di un atleta professionalmente metodico. Del resto non era nato per caso in Brasile, che nei luoghi comuni è la patria del genio e della sregolatezza, e per la precisione a Vespasiano, un’anonima cittadina nei pressi di Belo Horizonte, la capitale dello stato di Minas Gerais. Proprio nella sua Vespasiano cominciò a tirare le prime pedate alla fine degli anni sessanta, sempre rigorosamente di sinistro, in una squadretta dal nome profondamente educativo: Escola de Moral Crista. Carattere esuberante ed estroso , non ha mai amato le regole e la disciplina ed un aneddoto molto simpatico a dimostrazione di ciò, avvenne con Telê Santana, famoso allenatore brasiliano degli anni 80 , quando in un derby dove Éder indossava la maglia del Gremio di Porto Alegre, in una delle sue prime partite nella massima divisione carioca, si fece espellere per avere tirato un pugno in un occhio al suo avversario Batista. Ma soprattutto mise in difficoltà il suo mentore, appunto Telê Santana, rifiutandosi più volte di andare agli allenamenti in polemica con la sua linea tattica.
Addirittura corse la voce, a dire il vero estremamente fondata, che una volta la discussione tra di loro degenerò. Santana lo rimproverò molto duramente, ed Éder si vendicò alla sua maniera. Al termine dell’allenamento, gli fece ritrovare le sue scarpe da passeggio riempite di ricordini biologici. Questa sua bravata non fu molto apprezzata dal suo mister che non lo convocò per parecchie gare e inoltre sempre in quel periodo di inizi carriera, fu protagonista di un altro episodio molto grave. Una notte del maggio 1978 – come racconta Alessandro Ottaviani nel suo articolo – in una discoteca di Porto Alegre venne coinvolto in una discussione animata per avere corteggiato troppo disinvoltamente una ragazza già accompagnata. Purtroppo l’animazione salì al punto che l’accompagnatore geloso tirò fuori la pistola e sparò due colpì ad altezza d’uomo. Éder venne colpito al braccio destro, e dopo essere stato trasportato all’ospedale cittadino, venne operato d’urgenza. Anche se dovette dire addio al mondiale in Argentina, non subì comunque danni permanenti, tranne una vistosa cicatrice, che restò impressa come un tatuaggio indelebile a memoria di quella notte brava. Telê Santana, che credeva nelle sue capacità di calciatore e non voleva vedere gettare al vento tanto talento, fece il proprio intervento a scopo educativo. E con paterna pazienza riuscì a fare in modo che il giovane Éder abbandonasse le compagnie pericolose che frequentava, e smettesse anche di fumare. Il suo carattere ribelle anche se parzialmente domato, gli permise di conquistare la convocazione per i mondiali di Spagna appunto del 1982, mentre in patria, grazie alle sue giocate di sinistro, era riuscito ad accendere la passione e l’immaginazione dei suoi tifosi.
Lo soprannominarono in più modi: O Canhão (Il Cannone), O bomba de Vespasiano, Exocet, Dinamite, Torpedo. Dalle sue punizioni e anche dai suoi calci d’angolo, che, a seconda della posizione, tirava sia d’interno che d’esterno, ma mai di destro, spesso e volentieri scaturivano delle reti spettacolari. Anche il grande Pelé lo notò, e trovò parole di elogio per descrivere le sue caratteristiche balistiche: “La sua arma è costituita da una padronanza tecnica che gli consente di curvare la palla nei due sensi; di lanciarla stupendamente in profondità, di farla galleggiare, di catapultarla bassa e, in generale, di spingerla di tanto in tanto in molte direzioni e a velocità varianti“.
Al mondiale, ma soprattutto durante la fase di qualificazione, questo autentico funambolo monolaterale entusiasmò anche gli appassionati di calcio del resto del mondo. Segnò la rete della vittoria contro l’URSS, trafiggendo e lasciando a bocca aperta un portiere come Rinat Dasaev proprio con una delle sue tipiche staffilate da fuori area che si abbassavano improvvisamente a pochi metri dalla porta. Ma, nonostante le strepitose premesse, a quel mondiale la corsa del Brasile, che sembrava procedere inarrestabile, si schiantò contro la nostra Nazionale azzurra, ed Éder tornò mestamente in patria. Nonostante tanti interessamenti di club europei ed anche italiani, non si mosse dal suo Atlético Mineiro per il periodo migliore della propria carriera. La sua carriera andò avanti molto gloriosamente e 4 anni più tardi, ormai in pianta stabile nella nazionale verdeoro allenata dal suo padre calcistico e tutor personale Santana, era tutto pronto per partecipare anche all’evento del mondiale messicano del 1986. Ma a due mesi esatti prima della competizione il 1 aprile 1986, nel corso di una comodissima amichevole casalinga contro il Perù, Éder si diede da solo il colpo di grazie ai propri sogni di gloria internazionali. Al quindicesimo minuto di gioco, dopo avere subito un fallo dal terzino destro peruviano Castro, reagì colpendolo con un pugno plateale in piena faccia, e stendendolo al tappeto. Ma il calcio non è il pugilato; e per l’allenatore Santana, convinto sostenitore del fair play e che troppe altre volte lo aveva perdonato, questa era la goccia che aveva fatto definitivamente traboccare il vaso, e non lo convocò più. L’avventura di Éder con la maglia numero undici della nazionale verdeoro era arrivata alla conclusione. La sua carriera proseguì girovagando di anno in anno per le squadre del campionato brasiliano, con la comparsata oltre oceano nel 1989, quando si trasferì appunto in Turchia, senza ottenere troppo successo, fino a tornare nel suo Atlético Mineiro nel 1995, appena poco prima di appendere per sempre le scarpe al muro.
Dopo aver terminato la carriera ed essere passato ad indossare i panni di dirigente sportivo, nei primi anni duemila prestò servizio sempre per l’ Atlético Mineiro. Fino al ritorno, nel 2007 alla sua Vespasiano, la città da dove era partito, questa volta però nei panni di presidente. E, secondo un articolo tratto dal sito internet della rete televisiva brasiliana Rede Globo, l’indisciplinatissimo Éder “amministra la propria squadra con pugno di ferro”.