L’Urss era il vero Brasile
Giu 16, 2022

L’avvocato Luis Uruñuela Fernández stava ultimando il suo mandato come sindaco del partito andaluso-socialista, il primo eletto nella Spagna democratica. Aveva presentato da tre mesi la candidatura della città di Siviglia all’Expo del ’92 mandando avanti i lavori del metrò e la conversione del quartiere Este. Tutta la Spagna del post franchismo si stava regalando una prospettiva. Due anni ancora e Barcellona si sarebbe iscritta alla corsa per ospitare le Olimpiadi del ’92 e cambiare radicalmente la propria immagine dinanzi al mondo.

Rinat Dasaev

Il 1982 era stato un buon anno per il calcio di Siviglia, con tutt’e due le squadre qualificate per la Coppa Uefa. Il Betis aveva già festeggiato il ritorno alla democrazia vincendo la Coppa di Spagna cinque anni prima, e a quarantadue di distanza dall’unico titolo in campionato (1935), vantandosi così di essere l’unico club spagnolo a non aver mai ricevuto un premio dalle mani del Caudillo o da uno dei suoi uomini.

L’articolo che scrisse Gianni Mura

La sera del 14 giugno lo stadio Ramón Sánchez Pizjuán di Siviglia e in televisione il mondo intero conobbero la squadra più bella e il portiere più forte. Solo che non stavano dalla stessa parte. Il portiere si chiamava Rinat Dasaev, 25 anni compiuti il giorno prima, e aveva sul petto le lettere CCCP. Brera scriveva Dassaiev, come il Corriere della Sera, Gianni Mura all’inizio con due esse ma senza la i. Giocava con dei guanti bianchi e viola. Alto, magro, bello. Il giornale femminile Cambio 16 scrisse: il più bello di tutti.

Éder, rispetto a un destro, un campione mancino

I più belli di tutti col pallone fra i piedi erano invece i brasiliani, una generazione fiorita magicamente e baciata dagli dèi come poche altre volte poi nel calcio. Un’orchestra di accarezzatori, al punto da costringere il ct Tele Santana a spostare un violinista come Junior nel ruolo di terzino, come dire a battere la grancassa, perché a centrocampo c’erano già Falcão, Cerezo, Socrates, Zico, volendo pure Dirceu. In difesa giocava Luisinho, appassionato di teatro classico. Solo in due, si diceva, non fossero all’altezza.

Una punizione di Éder,


Il centravanti Serginho e il portiere Valdir Peres. Serginho permetteva in realtà a quello stuolo di mezzepunte e mezzeali di inserirsi quando volevano, e si faceva perdonare. Valdir Peres non era così male come si raccontava. Si era solo fatto una cattiva fama quella sera a Siviglia, quando polso e mano si erano piegati sotto il peso di un tiro da fuori area di Bal. A dire il vero non era male nemmeno quell’Unione sovietica. Gianni Mura su Repubblica scrisse: “I russi, una bellezza, facevano correre pallone e uomini nelle zone libere, specie sulla sinistra”.

Fu lungo la via della rimonta, compiuta a pochi minuti dalla fine, che il Brasile incocciò su Dasaev, non per niente detto la Cortina. Giancarlo Liviano D’Arcangelo, nel libro Gloria agli eroi del mondo di sogno, scrive che “Dasaev era l’incarnazione della freddezza. Della calma luccicante e d’acciaio. Fu grazie a Dasaev se mi convinsi senza mai alcun ripensamento che per ottenere qualcosa nella vita era necessario essere imperturbabile, dissimulare la rabbia o gli scatti d’ira […] e nel suo viso ricolmo di ombreggiature mongole e malinconia mi sembrava di scorgere la stoffa del predestinato, scelto per custodire l’orgoglio e la storia di un popolo intero”.
L’orgoglio si piegò a Siviglia davanti al sinistro di Éder, proprietario del tiro più potente dell’epoca, così almeno si diceva visto che lo chiamavano “il cannone” oppure “torpedo”, sebbene fumasse una trentina di sigarette al giorno. Un ricamo era stato il velo con cui Falcão, facendosi passare il pallone fra le gambe, gli aveva consentito di preparare il tiro, caricare il piede e farla finita lì.

Una fase di gioco di Brasile-Urss, 1982

Dasaev rivide Siviglia sei anni dopo quel gol subito. Si fermò lì per tre campionati. Ma la luce era finita.

Angelo Carotenuto

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