“Caro Spinosi, sei tornato alla corte del Barone Liedholm eh?, ma mi hai riconosciuto?”. “Sì la famosa pelata, sei Pascutti, l’ex attaccante del Bologna…”. È il botta e risposta tra Lino Banfi e Luciano Spinosi ne “L’allenatore nel pallone”, uno dei due “cameo” cinematografici (l’altro è “Don Camillo” con Terence Hill sempre negli anni 80) di Spinosi che però la sua fama se l’è creata col calcio. Battendo anche la sfortuna, visto che a dieci anni, è investito da una macchina, che gli causa la frattura di una gamba (“Da mancino diventai destro”, amava ricordare).
Ha giocato e vinto con grandi club: dopo essersi affermato nella Roma, raggiunge la Juventus e in bianconero si ferma otto anni. Negli otto anni torinesi gioca complessivamente 241 partite (138 in campionato, 54 in Coppa Italia e 49 nelle Coppe europee), realizza 4 gol. (1 in campionato e 3 in Coppa Italia) e contribuisce agli scudetti 1972, 1973, 1975, 1977 e 1978 ed alla Coppa Uefa 1977. Nell’estate del 1978 rientra a Roma dove torna a vestire la maglia giallorossa (con la quale lega il suo nome alla Coppa Italia nel 1980 e nel 1981), nel 1982 approda al Verona, nel 1983 al Milan e nel 1984 al Cesena.
A Il pallone racconta ricorda: “Sono sempre passato per un picchiatore, ma non era così. Certo, le mie entrate le facevo, ma non ho mai fatto male a nessuno e, soprattutto, non sono mai stato espulso per un fallaccio”. Singolare il racconto di come scoprì di essere un giocatore bianconero: “Ricordo che girava voce che dovessi andare alla Juve, ma dalla società non trapelava niente. Una delle ultime partite di campionato la giocammo proprio a Torino contro i bianconeri. Mentre facevo riscaldamento, si avvicinò Boniperti. Ci salutammo e lui mi fece notare che avevo i capelli troppo lunghi e che li avrei dovuto tagliare. Lì ho capito che sarei andato alla Juve! Mi sono ambientato senza problemi, perché stavo facendo il militare a Roma e, praticamente, ero a Torino solamente pochi giorni. In questo modo, non ho sentito la nostalgia di casa e mi sono abituato alla città piemontese per gradi. Poi sono stati anni fantastici, basti pensare che qui mi sono sposato e qui sono nati i miei figli”.
Spinosi ricorda: “Era un calcio diverso, io dovevo seguire il mio avversario in ogni zona del campo. Mi ricordo un episodio curioso: giocavamo al Comunale, era inverno e faceva un freddo cane. Il campo era metà al sole e metà all’ombra. A un certo punto il mio avversario (non ricordo chi era) mi dice. ‘Senti Luciano, io vado a giocare al sole che qui all’ombra fa freddo. Tu mi segui?’ Io gli risposi: ‘Certo’. “Bene, allora andiamo’, disse lui. E così facemmo”. Era un altro calcio, come si evince da un altro ricordo affidato al Guerin Sportivo: “Boniperti non era ancora il presidente, ma la società la dirigeva lui. Grande carisma, l’essere stato calciatore gli serviva per capire le situazioni. Arrivai in sede e lui, sorridendo: ‘Ciao romano’: Ed io, ‘Ma veramente avrei anche un nome, sono Luciano’. ‘Poche storie, firma qui’. Era il primo contratto, siglato in bianco”. Il rammarico più grande è non avere più l’amicizia con Fabio Capello. “Litigammo di brutto dopo un derby, e da lì non ci parliamo più. Vorrei poterci mettere una pietra sopra. Per me Fabio è stato come un fratello, è stato anche il mio testimone di nozze”.
Dopo aver smesso di giocare Spinosi ha intrapreso la carriera di allenatore. Iniziò nella stagione 1984-‘85, subentrando a Santarini alla guida della formazione Primavera della Roma ed è stato sulla panchina della squadra giovanile giallorossa per dieci anni, allenando anche un giovane Totti.
Durante la stagione 1988-‘89 sostituì Liedholm in prima squadra per quattro gare, in cui ottenne 2 pareggi e 2 sconfitte. Nel 1994 passò al Lecce in Serie B, poi alla Ternana in C2. Nella stagione 1996-‘97 affianca Eriksson alla Samp. L’annata successiva andò alla Lazio dove fu dapprima vice con Eriksson, diventando poi collaboratore tecnico. Da marzo a ottobre 2007 fu infine vice di Orsi al Livorno lasciando poi la squadra in seguito all’esonero di Orsi.