Ci chiediamo spesso se questo o quell’evento possa cambiare la nostra vita. Poi ti rendi conto che sei tu che puoi cambiarla da solo. E con la stessa potenza, cambiarla agli altri. Anche a qualcuno che neanche conosci. Il 4 giugno 1972 , è un Monza – Palermo, terzultima di campionato. In tribuna ci sono più tifosi palermitani che monzesi. Lui con un colpo di testa imperioso, raccoglie un cross di Dehò e batte Girardi: il Monza agguanta il pareggio che vuol dire salvezza. E il Palermo si appunta il nome di quel numero 11: Arturo Ballabio . Lo prende per fare la serie A. Una trattativa tormentata perché si era inserita anche la Lazio di Maestrelli. E Arturo Ballabio sbarca a Punta Raisi l’11 novembre.
I tifosi lo aspettano come il salvatore della patria. E’ lui che deve dare una scossa a un reparto offensivo in crisi: due gol in sei partite. Ma appena Arturo scende dalla scaletta dell’aereo con la sua aria timida, si parla di tutt’altro: del suo naso, perchè ce l’ha talmente pestato che non sembra nemmeno un naso. Tanto che si fa a fatica a individuarlo. Come se si fosse rannicchiato.
Arturo è alto, struttura massiccia. E un tifoso a bassa voce non riesce a trattenersi: “Ma chi è quello ? L’avversario di Monzon?”. Arturo capisce. Sembra infastidito: “Vi chiedete perché sono conciato così . Presto detto: sono un centravanti che ha il grosso pregio di non aver paura in area di rigore . L’ultimo diretto al viso l’ho ricevuto quindici giorni fa . Non su un ring, ma durante una partita di campionato della mia ex-squadra: il Monza. Sono saltato su un pallone alto per far gol , ma mi sono visto in faccia quel maledetto pugno del portiere. Sono finito così ko. Subito in ospedale, barellato. La diagnosi : frattura delle ossa nasali. Quindi in sala operatoria per l’intervento chirurgico. Anche da ragazzo, mentre giocavo a pallone all’oratorio, mi sono rotto il setto nasale. Ecco spiegato il mistero. Penso di aver fatto una relazione esauriente, anche se vorrei che a Palermo la gente si interessasse a me come centravanti piuttosto che per quello che porto sopra i baffi “. La prima domanda che fa ai dirigenti è sull’università , perché Arturo è iscritto al terzo anno di Scienze Politiche a Milano. E studia dappertutto. Perfino alla compagnia atleti di Bologna, perché è anche militare di leva. Ed è riuscito ad arrivare a Palermo solo grazie a una licenza di convalescenza delle autorità militari.
L’impatto in allenamento è buono. Di giorno feriale i palermitani sono incredibilmente in tremila: fuga di cinquanta metri e botta all’incrocio . Girardi battuto. Tutti in estasi. “Teme di non trovare posto in squadra con Troja e Vallongo?” “Non temo nulla, non ho paura di nessuno. Non è nel mio carattere. Non mi arrendo alle avversità. La vita è una continua lotta e lo so per esperienza. Sul campo e fuori dal campo per raggiungere un solo obiettivo: il posto in squadra. E quando riesco a conquistarmelo, potrà togliermelo soltanto chi riuscirà a segnare più gol di me”. Nell’esordio alla Favorita bastano dieci minuti. Il terreno è insidioso, ha piovuto. Arcoleo allarga per Pace, che centra da sinistra. Lui è stretto da Bruscolotti e Zurlini, ma in quella mezza mattonella riesce a girarsi : palla sotto la pancia di Carmignani. Perché non è veloce , tutt’altro. Ma difende il pallone come nessuno e là davanti è freddo.
Il Napoli soffre. Deve cambiargli la marcatura: da Bruscolotti a Vavassori. Fischia tre volte l’arbitro Gussoni, è finita: il Palermo è tornato alla vittoria dopo quasi due mesi. Arturo se ne va . E si porta anche il pallone. Lo tiene in braccio, avvolto in un sacchetto di cellophane per non sporcare il pullover: “Stanotte lo metterò al posto del cuscino e sognerò un luminoso avvenire . Ho ventidue anni e su questo gol conto di costruire la mia carriera”. Sorride, ha gli occhi lucidi. I compagni intorno: “Giocare la prima volta davanti ai propri tifosi fa un certo effetto. Ma il primo gol in serie A è stato un punto di partenza, non di arrivo. Non perdo la testa ai primi successi”. Qualcuno cerca di strappargli il pallone dalle mani, ma lui lo fulmina con lo sguardo: ”Penso che una delle mie doti migliori sia il coraggio. Sono figlio di operai. Ma come la maggior parte dei calciatori”. Poi gli tocca ripetere la storia del suo naso.
I compagni lo chiamano, ma lui deve andare. A rivedere il gol in tv . Poi a telefonare a casa, a Figino Serenza. Ci sono venti persone attorno a un apparecchio, perché la sua è una famiglia numerosa. Suo padre faceva il ciabattino prima di finire in fabbrica. Mandò Arturo in collegio a quindici anni . E non per lo studio. Perché lì, almeno, gli davano da mangiare. Arturo avrebbe fatto di tutto per essere presente in campo col Palermo. Perché è fatto così. Quell’innocenza sottende una morale estrema. Ma per legge, un permesso per convalescenza decade nel momento in cui il soldato gioca una partita di campionato. E quando Arturo si ripresenta in caserma, trova un solerte colonnello che lo accompagna in prigione. Per una settimana. Il Palermo le tenta tutte. Qualcuno chiama un ministro. Ma Arturo rimane dietro le sbarre. Al rientro sembra lento, assente. Tocca due o tre palloni. E’ uno 0-0. Ma a un quarto d’ora dalla fine, lui è lì e forza la trincea della Fiorentina .
Esce dal campo a pezzi per il trattamento che gli ha riservato Orlandini . E mister Pinardi si preoccupa: ”A quello lì non voglio rinunciare. Non è che sia un fenomeno, ma ha una bella mole e l’istinto del gol. Fa proprio al nostro caso. E infatti mi ha messo a segno due ciliegie. Con lui perfettamente a punto, possiamo batterci contro qualsiasi avversario”. In un mese Arturo Ballabio è diventato l’uomo salvezza del Palermo: “Io faccio i gol , ma se vinciamo il merito è della squadra, di tutti i miei compagni . E’ meraviglioso far gol. Sono felice che mi vien quasi da piangere”. Poi la solita domanda sul suo naso e gli tocca raccontare tutta la storia. Stavolta partendo da una caduta dal girello. Con la borsa di ghiaccio sulla gamba, sale sull’aereo e torna a Bologna. In caserma. E senza di lui il Palermo non segna più. Il recupero è lento. Rimane un mese prudenzialmente a riposo. Riprende e avverte ancora fastidio. Decide di giocare ugualmente una partitella con la Nazionale Militare a Frosinone: ci sono Furino, Graziani, Bordon in porta. Lui salta tre avversari in fila e segna . Quando rientra a Palermo, va subito da Pinardi . Non lo saluta nemmeno . Poi tenta un atto di contrizione : “Mister , temo di avere qualcosa alla caviglia”. Pinardi lo blocca subito. Adesso è troppo: “Avevo impartito delle disposizioni e le hai trasgredite. Dovevi startene a riposo. Per il bene tuo e del Palermo. Cosa ti è saltato in mente? Forse non sai che vai contro i tuoi interessi. E la società può anche comprare un altro attaccante. In fondo la vita è fatta così. Il calcio continua e non può fermarsi perché Ballabio non ha voglia di guarire”. Nella trasferta di Torino viene aggregato, ma a sue spese.
Torna col Cagliari. Si batte, ma non è al meglio . Sbaglia due palle gol. S’imbocca la strada della retrocessione.Lui viene riconfermato . Il foglio di via è per Pinardi. E’ l’ impatto col nuovo allenatore Viciani che può cambiargli la vita . Viene catechizzato a un nuovo calcio. E il 6 agosto 1973, nel ritiro di Cortona, accade l’irreparabile: Arturo viene rimproverato dal mister durante un esercizio col pallone. Gli risponde mandandolo a quel paese. Viciani lo caccia via. Arturo rimane in un angolo. Testa bassa, è disperato. E poi nell’organico adesso ci sono altri attaccanti, molto più titolati di lui. Come in un estremo recupero della sua dignità, interviene proprio Viciani : “A me non piacciono questi atteggiamenti. Ma stai tranquillo. Per me è tutto finito quando ti ho detto di uscire. Adesso con te non ho più nulla”.
Non basta. Arturo non si dà pace. E il mister glielo ripete: “Fai finta che oggi non sia accaduto nulla”. Lo manda subito in campo. Arturo non esce più. Alla prima in B casalinga, è passato solo un quarto d’ora quando un mirabile ordito Pasetti-Viganò-Pasetti-Barbana si conclude con un cross nell’area piccola . Lui stacca netto, in anticipo su Cattaneo. Non si era mai sentito così leggero: il Palermo batte il Como. Qualcuno alla fine si avvicina con un microfono: “Oggi hai perso qualche palla … “ “Se nessuno perdesse mai palla, si segnerebbero duecento gol a partita”. E’ una delle poche battute sue nel dopopartita. Perché prova a eclissarsi tutte le volte che può. Ha pochissimi amici. Quel carattere mite forse non basta a spiegarlo. E qualcuno pensa anche al peggio . A una ferita interiore, da tenere rigorosamente segreta. Comunque a un problema. Anche in settimana concede solo monosillabi. E quando non è in campo, si rinchiude in camera. Non gli sembra vero riuscire a sottrarsi a quel rituale di frasi mandate a memoria. Parole reiterate che gli sembrano ormai vuote, formule che qualcuno mette su come se volesse accedere a una verità rivelata.
Il Giornale di Sicilia sguinzaglia Salvatore Taormina, quello che di solito staziona nello spogliatoio . Salvatore aspetta il momento propizio. Poi ci prova. Dopo mesi, la pulsione oscura di Arturo viene finalmente fuori: “Mi piace tutto ciò che è classico: la storia antica, l’arte classica e la musica. Amo Mozart . So tutto di lui. E’ stupendo , la dimostrazione di uno spirito giovanile”.
Arturo sembra un’altra persona. Come se , non parlando di calcio, l’avessero liberato da un peso. Si scatena: “E adoro Beethoven. Me li sto gustando adesso che gioco a calcio, perché ho l’impianto stereofonico. Ormai passo le mie giornate con loro. Le opere più belle di Mozart? Il Flauto magico, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, Il ratto del serraglio, la sonata numero 15 in do maggiore K 545….” . Vorrebbe continuare. Salvatore lo ferma con un cenno della mano. Ma cambia idea e Arturo riprende: “Di Beethoven la nona sinfonia … e chi non la conosce ? E Chiaro di Luna, Kreutzer, Primavera ?”. Poi Arturo gli chiede: “E che ne pensi del Concerto numero 5 per pianoforte e orchestra , l’ Imperatore ? “. Ma Salvatore è già crollato. L’esecuzione corale del Palermo corto è irresistibile soprattutto in Coppa Italia. Il 12 dicembre 1973 si trova davanti la Juventus e quindi Zoff, Marchetti, Longobucco, Gentile, Spinosi, Mastropasqua, Altafini, Cuccureddu, Anastasi, Viola, Musiello. In campo in realtà c’è una sola squadra : Bellavia, Zanin, Viganò, Arcoleo, Pighin, Cerantola, Pepe, Barlassina, Ballabio, Vanello, La Rosa. Sembra una delle giornate in cui può cambiare la vita: dopo soli venti minuti, Arturo Ballabio la gira nell’angolino . E Dino Zoff, il portiere dei campioni d’Italia, resta a guardare. Poi Barbana mette il sigillo. I trentamila della Favorita si stropicciano gli occhi. Nemmeno immagina Arturo cosa sta per accadergli ancora. Quattro giorni dopo, a Reggio Calabria, Viciani gli cambia ruolo: lo prova dietro le punte. Poi lo dirotta a metà campo. D’incanto l’attaccante d’area si è tramutato in un affidabile passista. E dallo strabiliante senso tattico: “All’inizio ci sono rimasto male. Ma adesso quasi mi diverto. E poi non ho un uomo addosso tutto il tempo”. Infatti quel ruolo gli si addice di più. Diventa lo specchio della sua generosità e della sua testardaggine. E poi segnando meno, può evitare i giornalisti.
Gioca anche col numero 6. Rastrella decine di palloni . Trascina la squadra che travolge il Cesena: duetto con Magistrelli e palla a Vanello. Assist ancora per Magistrelli, che appoggia dentro. La Favorita è una polveriera. Arturo non si ferma. Nemmeno il giorno del battesimo del figlio. Perché nel frattempo ha messo su famiglia con Massimiliana. E questo cambia la vita certamente. Più di una finale di Coppa Italia. Qualcuno gli chiede dove passerà le vacanze estive. E lui risponde : nella Val Formazza. A far cosa non si sa. Arturo accenna a un’operazione, ma non ne parla volentieri. Quando diventa capitano , gli tocca stare più tempo coi giornalisti. E Benvenuto Caminiti de L’Ora, gli strappa nientemeno che un invito a cena. Ma a una condizione: non si parlerà di calcio. Quella sera a tavola c’è anche il portiere Bellavia. Arturo prende in mano la conversazione passando in scioltezza dalla politica alla storia. Fino al diritto costituzionale. Sembra poi particolarmente attratto dalle questioni umanitarie e dalla fame nel mondo. Caminiti e Bellavia reggono per una decina di minuti. Poi sbadigliano : “Ma come , dovevamo parlare di cose serie e appena cominciato, siete già stanchi ? ”.
Il ritorno in A sfuma: “E’ tempo di cambiare aria. E a ventotto anni è giusto che un uomo pensi al futuro. Non ho niente contro il Palermo e i palermitani, ma è finito un ciclo”. Chiude al Seregno. Ha già deciso cosa fare dopo il calcio. E lo chiamano per allenare.
E’ una notizia che ci si aspetta. Forse l’opportunità della vita. Esce anche un trafiletto da qualche parte. La sua squadra è composta dai ragazzi dell’ex-carcere Beccaria di Milano. E Arturo dimostra di saperci fare. E’ un inizio. Lo schema può apparire incomprensibile, ma in realtà è semplice. E vincente. Tanto che gli arriva la chiamata dall’estero: “Con la mia famiglia mi sono trasferito a Simiatug, nel nordest dell’ Ecuador. L’anno prima era morto lì un mio carissimo amico, che svolgeva un’opera umanitaria. La moglie mi chiese di restare, in pratica di sostituirlo. Ne parlai a mia moglie e in pochi giorni ci siamo trasferiti. Per mesi abbiamo girato il Sudamerica in lungo e in largo, cercando risorse per costruire un ospedale a Chacas nel Perù . E’ a 3.500 metri d’altezza nella Cordillera Blanca. Un paese poverissimo, sperduto nei monti. Ma alla fine l’ospedale è stato inaugurato , grazie a tanti amici che hanno partecipato con offerte e contributi volontari”.
E’ contento. Ha aperto comunità sulle Ande , in India , Sri Lanka e in Italia . Finalmente ascolta un linguaggio universale. Come la musica : “Le offerte continuiamo a raccoglierle per costruire nuove strutture sanitarie in Sudamerica. In quei paesi solo le grandi capitali sono industrializzate: La Paz, Quito, Caracas . Il resto è soltanto povertà e problemi. Non ci sono strade, né servizi e per di più i paesi di montagna si possono raggiungere in due o tre giorni. Abbiamo inviato camion colmi di generi di prima necessità per sfamare quei bambini poveri”. In Africa c’è già stato: con quella Nazionale militare ed è anche diventato campione del mondo. Un giorno, col permesso di Massimiliana, se ne va un’altra volta. Può sembrare il posto peggiore per vivere. Per Arturo è l’ ideale per perdersi. Si chiama Operazione Mato Grosso , costruire una casa per i piranitas , i ragazzi di strada di Chimbote. Base di partenza è stata la Val Formazza, tanti anni fa : “Una scuola di vita impressionante per noi che ci siamo abituati alle nostre case sempre chiuse , dove ci illudiamo di vivere come in un rifugio (o una prigione?), ben protetti dalla confusione della vita occidentale. La porta sempre aperta è un atteggiamento della mente faticoso, ma alla fine della giornata ti lascia con un grande senso di serenità. Quello che Don Bosco raccomandava ai suoi ragazzi : la tranquillità di aver fatto fino in fondo il proprio dovere . Se è vero, come diceva il vecchio catechismo, che Dio è in ogni luogo, è ancor più vero che Dio è nei poveri , in chi ha bisogno di aiuto. Così il gesto di aprire la porta della nostra casa permette a Dio di entrare e di cambiare la nostra vita”.
Arturo è un missionario, ma non ha preso i voti: “Oggi vivo ad Arese, vicino Milano, dove dirigo un istituto di salesiani per ragazzi sbandati e con gravi problemi in famiglia. Li abbiamo accolti, praticamente viviamo con loro. E c’è un ragazzo di Termini Imerese, si chiama Franco. Sta recuperando. Pian piano si è reinserito. Per noi questa è una vittoria”. “Certo non ero innamorato del mio mestiere e vendevo male la mia immagine. Non mi piaceva stare sempre sotto i riflettori e davanti ai taccuini. Diventare personaggio m’interessava poco. A proposito, non conosco nemmeno la formazione del Palermo, né la posizione in classifica, ma spero possa tornare in serie A”.
Ernesto Consolo