Un ragazzo cresciuto in Sudamerica che, una volta arrivato in Italia, si afferma praticando il gioco del pallone con successo. Diventerà un autentico idolo a Napoli, tra i primi divi dentro e fuori dal campo durante il ventennio fascista: ecco storia di Attila Sallustro.
Ha appena 12 anni il piccolo Attila Sallustro, quando la sua famiglia decide di tornare in Italia direttamente dal Paraguay. Proprio lì, nella capitale Asunción, è nato il 15 dicembre 1908 da mamma Anna e papà Gaetano. Da piccolo – fa notare Fabio Ornano – è di salute cagionevole, così il medico consiglia alla famiglia di indirizzarlo verso lo sport. Attila scopre il pallone a 8 anni e non se ne libera più. Quando salpa a Napoli è il 1920, debutta con l’Internaples – che in precedenza portava il nome di Internazionale Napoli – giocando come centravanti ancora minorenne e con grande profitto. Tanto che nel 1926, alla nascita del Napoli, ne diventa subito titolare. Un’annata fallimentare, sia a livello personale che di squadra. Ma i campani vengono ripescati per motivi geografici dopo la retrocessione, replicata immediatamente ed evitata stavolta solo per l’allargamento degli organici. Un Napoli fortunato, trascinato da Sallustro che in breve tempo diventa bomber e stella della squadra.
La compagine partenopea è tra le società partecipanti al primo campionato di Serie A a girone unico, quello 1929-‘30. Sallustro viene affiancato in attacco dai nuovi innesti Mihalich e Vojak, per la gioia dei tifosi napoletani che cominciano in breve a spellarsi le mani grazie a questo formidabile trio. Per non deludere il padre, il quale non tollerava l’idea che il figlio diventasse professionista tirando calci ad un pallone, Sallustro spesso riceveva come compenso non denaro ma sontuosi regali dal presidente Ascarelli.
Tra questi una bellissima automobile, la Balilla 521. Il Napoli si spinge fino al terzo posto in campionato, che resterà il miglior risultato del club fino al 1975. L’oriundo paraguaiano realizza tante reti nell’arco di undici stagioni: alla fine saranno 106 in 258 partite di campionato, per il cannoniere soprannominato “Veltro” a sottolinearne lo scatto.
Dopo la stagione 1932-‘33, per Sallustro iniziò la parabola discendente. Secondo i maligni, il suo declino coincise con la storia d’amore che intrecciò con l’attrice teatrale e cinematografica Lucy D’Albert, sposata nel 1934. Un rendimento sempre più anonimo lo condusse all’addio al Napoli nel 1937, prima di passare alla Salernitana con cui chiuse la carriera due anni più tardi. Difficile il rapporto con la Nazionale: il commissario Vittorio Pozzo gli preferì praticamente tutti gli altri – formidabili – attaccanti italiani del periodo, concedendogli la miseria di 2 presenze (con una rete al Portogallo nel debutto datato 1° dicembre 1929 a Milano). Appese le scarpette al chiodo, divenne allenatore per un brevissimo periodo durante l’ultima avventura sul campo con la Salernitana (9 partite nel 1939) e poi per appena 2 gare con il Napoli in A nel 1961, concluse con altrettante sconfitte.
Fu dal 1960 al 1981 direttore dello stadio San Paolo, impianto che avrebbero voluto intitolargli negli anni da giocatore: colpito da un male incurabile, si trasferì a Roma per stare più vicino all’unico figlio negli ultimi mesi di vita. Morì il 28 maggio 1983.