Centodue anni fa si inaugurava a Novi Ligure il primo stadio costruito appositamente per il football. Fu un’opera epocale, per costi, progettazione e risultato finale se è vero che nelle intenzioni dei committenti doveva permettere alla neonata Novese di disporre di un impianto dotato di un drenaggio del fondo all’avanguardia, in grado di permetterle di giocare anche in condizioni climatiche avverse. Per Novi il 1920 fu anno cruciale perché in meno di 6 mesi la città vide progettare e costruire uno «Stadium» moderno. L’idea fu deliberata a dicembre dalla dirigenza biancoceleste con tanto di raccolta fondi – oggi si chiamerebbe crowfounding – sotto l’ala del Comune che spediva inviti per i veglioni di carnevale segnalando che l’incasso era devoluto alla Novese per la realizzazione dell’impianto.
Il nascituro stadio – di proprietà privata con supporto pubblico – aveva trovato collocazione sulle ceneri del campo da calcio della piazza d’Armi cittadina, area collocata oggi nel quadrilatero che dall’attuale viale Rimembranza andava in direzione Borgo Crimea dove oggi sorgono palazzi e un muro ultimo retaggio di quella cinta eretta nel 1920: lo ricordano i libri e una targa apposta nel 1983 dal circolo culturale InNovitate sulle mura del convento di Sant’Antonio, per i novesi la chiesa dei Frati dove iniziava la recinzione del campo. Lo Stadium ebbe progettisti illustri, come l’ingegner Sovico, socio della Forza & Virtù, anche se non furono tutte rose e fiori: già nel 1920 un’opera di quella portata suscitò l’opposizione di parte della popolazione preoccupata di vedersi sottrarre un punto di passaggio da Borgo Crimea al centro città. I costi furono notevoli: dalle 30 mila lire originarie si arrivò a quasi 90 mila lire, di cui 37 mila lire per la cinta di ben 425 metri di perimetro e altre 50 mila lire per gli spogliatoi perché quello Stadium aveva i crismi di impianto moderno: spogliatoi, tribune coperte da 600 posti su un lato, posti in piedi sui rimanenti tre, area dedicata alle altre pratiche sportive e rettangolo di gioco di 110×60 metri.
Non si costruì la pista del velodromo perché Costante Girardengo, già un Campionissimo e fra i fondatori della Novese, sconsigliò quel progetto per i suoi alti costi. I lavori iniziarono a fine inverno e videro coinvolti per il livellamento del campo 8 soldati del Genio Sterratori di Alessandria comandati dal colonnello Innocenti che supportarono i 200 soci della Novese. Fu una faticaccia ma il 6 giugno 1920 alle 17,30 a Novi si inaugurò quell’impianto avveniristico per l’epoca con un match fra Novese e Riserve del Casale: vittoria dei locali 4-0 con doppietta di Rebuffo e reti di Neri e Bagnasco davanti a 1500 spettatori ma con una struttura incompleta perché le tribune saranno finite in estate mentre per gli spogliatoi si scelse una soluzione a basso costo acquistando alcune lamiere delle baracche del campo militare inglese di Arquata in via di smobilitazione. Per Novi e la Novese quello sarà per sempre il campo dello Scudetto ottenuto due anni dopo in campo neutro nello spareggio con la Sampierdarenese. Ma in quello stadio i biancocelesti conobbero anche l’onta di una maxi squalifica.
Era il 14 marzo 1927 quando al 31’ della ripresa di Novese-Spezia, il direttore di gara Brugola assegnò il gol del vantaggio ai liguri fra le proteste dei locali: i tifosi fecero peggio, entrando in campo e picchiando la giacchetta nera. La punizione segnò di fatto la fine dell’epopea della Novese: 32 giornate di squalifica del campo con patron Mario Ferretti che ritirò la squadra per protesta ma senza trovare il supporto dei vertici federali nonostante fosse il numero due della Figc. Qualche anno ancora e la Novese non giocò più allo Stadium perché negli anni ’30 i biancocelesti si trasferirono al campo dell’Ilva (esiste ancora oggi anche se ridotto e in sintetico) fino al 1966 quando si inaugurò il Girardengo allora Comunale. Ma lo stadio dello Scudetto sopravvisse ancora fino agli anni ’50 prima di lasciare spazio allo sviluppo urbanistico della città. Quell’impianto vanta anche il record di avere ospitato una delle prime partite di calcio femminile pubbliche in Italia: era il 1947 e per raccogliere fondi per la famiglia del ciclista Pietro Fossati morto in un bombardamento nel 1944 si sfidarono Torino e Genoa.
Maurizio Iappini
Articolo pubblicato su “La Stampa” edizione di Alessandria