Vi sembrerà strano ma questa storia inizia con Ben Johnson che probabilmente molti di voi si ricorderanno con il fisico scolpito in ogni linea, la catenina al collo e la casacca rossa del Canada che vince la medaglia d’oro nei 100 metri piani ai Giochi Olimpici di Seul nel 1988. Record mondiale stracciato con 9″79 sul cronometro. Tre giorni dopo un test antidoping lo rivela positivo e viene squalificato, con annesso annullamento di vittoria e record. Cinque anni dopo, nel 1993, dopo un difficile periodo di riavvicinamento all’atletica, corre i 50 metri piani a Grenoble, in Francia, in 5″65. La distanza dal record del mondo è di 0,004 secondi. Subito dopo la gara viene sottoposto nuovamente a un test di controllo ed è di nuovo positivo per eccesso di testosterone. Questa volta viene squalificato a vita.
Quattro anni dopo – come racconta Valerio Coletta su “Esquire” – Maradona lo vorrà come personal trainer in una delle numerose fasi delicate della sua vita. Ma per quale motivo scegliere proprio un atleta decaduto? Nella sua biografia Maradona disse che era “L’uomo più veloce della terra, qualunque cosa si dica”. Difficile fargli cambiare idea.
“Un giorno sono andato all’allenamento e Maradona stava cercando di installare un tapis roulant nello spogliatoio del Boca”, ha ricordato Hector Vieira, che all’epoca allenava la squadra di Buenos Aires. “Aveva Ben Johnson, aveva massaggiatori austriaci e un istruttore di fitness belga. Non sono riusciti a portare il tapis roulant nel camerino, hanno dovuto sfondare una porta”.
Quei due dovevano essere una coppia incredibile, Diego e Ben. Se il primo già lo conosciamo come genio e ribelle, artista visionario, una sorta di apparizione magica che ha incantato il mondo per decenni, be’ anche il secondo non doveva essere proprio uno noioso. Nel suo libro scritto con Bryan Farnum affermò di essere la reincarnazione di un faraone e che poteva comunicare con gli spiriti. Disse anche che qualcuno gli aveva versato degli steroidi nella birra prima di quel famoso controllo nel 1988. Maradona lo pagava circa un milione e settecentomila lire al giorno.
In quel momento El pibe de oro veniva da una squalifica di 18 mesi per essere stato trovato positivo all’efedrina poco prima dell’inizio dei Mondiali di Usa ’94. In quel periodo di fermo allenò il Textil Mandiyú e il Racing Club senza troppa fortuna e poi una volta scaduto l’allontanamento dal campo tornò al suo Boca Juniors. Il suo stato di forma non era quello di un professionista e il suo rapporto con la cocaina lo stritolava. Ma in questa fase è rimasto sempre molto diretto e le sue dichiarazioni restituivano una guerra interiore. Parlando per un ente di beneficenza sulla droga nel 1996 disse una frase ancora oggi pesante come un macigno: “Le droghe sono ovunque e non voglio che i bambini le assumano. Ho due figlie e ho pensato che fosse giusto dire questo, un obbligo come padre… ero, sono e sarò sempre un tossicodipendente ”.
La carriera di Maradona era al termine e lui decise che doveva finire con la partita più importante di tutte, il Superclásico contro il River Plate, il 25 ottobre del 1997. La vigilia della partita è più infuocata che mai, da ogni punto di vista. Secondo un’indagine pubblicata all’epoca su Clarín, sia il presidente Menem che il governatore di Buenos Aires Eduardo Duhalde avevano fortemente sostenuto il giocatore, che non superò il test delle urine ma giocò ugualmente. Un agente vicino al Boca ebbe a dire “Un intero paese ruota attorno a Diego. Porta la televisione, riempie uno stadio, solleva le persone”. Era troppo importante, un paese intero voleva vederlo muoversi ancora sul rettangolo verde.
Difficile raccontare l’ultima partita di Maradona. Entra con il 10, alza i pugni al cielo e si fa il segno della croce, intorno lo stadio esplode, i fotografi sono praticamente sulla linea del fallo laterale tutto intorno. Gioca una partita ordinata, passa tanto la palla, si muove poco, dà la mano agli avversari quando cadono. Aveva 37 anni. Alla fine del primo tempo viene sostituito, la vulgata vuole che al suo posto sia entrato quello che molti vedevano come suo erede, il diciannovenne Juan Román Riquelme. In realtà il referto diceva Caniggia.
Il Boca vinse per 2 a 1. Alla fine della partita Maradona disse: “Il Boca ha giocato come il Boca e il River era il River. Hanno giocato un grande primo tempo ma poi gli sono calate le mutande”.
Maradona ha dato al calcio e al mondo esattamente quello che ha dato Borges o García Márquez, ha dato una grande e immensa storia, ha dato una lingua, parlata sul campo, ha dato a suo modo una tragedia e ha dato anche gioie indescrivibili, ha cambiato il mondo.
Nel 2001, quattro anni dopo quell’ultima partita, giocò finalmente il suo addio ufficiale in un’amichevole. Lì pronunciò una delle sue dichiarazioni più famose, una frase schietta che lo rappresenta e rappresenta il suo spirito inesauribile: “Il calcio è lo sport più sano e più importante del mondo. Ho sbagliato e ho pagato, ma la palla non si macchia”.