“Quando mi hanno parlato di Foggia l’ho cercata sulla carta geografica: non avevo idea di dove si trovasse. È una città piccola, diversa da Mosca, ma io sono qui per lavorare e non per fare il turista”. Così disse al Corriere della Sera Igor Shalimov quando lasciò lo Spartak, dove era esploso, per andare in Italia.
La leggenda narra che alla richiesta di un miliardo e 400 milioni avanzata dal club russo il patron dei pugliesi Paquale Casillo rispolverò l’antico baratto e inviò a Mosca un camion di grano come pagamento.
Figlio dell’operaio Mikhail e della casalinga Ludmila, Igorino Shalimov divenne lo zar con i satanelli: 9 gol in 33 partite, le big che se lo studiano, la fama di tuttocampista di qualità abbinata alla bella vita (alcol, fumo e donne) ed ecco il grande salto.
Lo compra l’Inter, nella stagione 1992-‘93 segna ancora 9 reti (tra cui quelle nel derby d’Italia contro la Juventus e la doppietta contro il Foggia come ex), l’anno successivo però non riesce a confermarsi e viene ceduto al Duisburg, anche per i suoi vizi extracalcistici. Lo si notava più nei locali di Milano che in campo. Lui, amante dei film di Kim Basinger e di Schwarzenegger s’era ritagliato l’etichetta di dongiovanni poco incline ai sacrifici. Va al Lugano, torna a livelli buoni col Bologna quindi Udinese e ancora una grande chance.
Al Napoli, ma non è più il vero Shalimov ed è in azzurro che si interrompe la sua carriera dopo una squalifica di due anni per uso di nandrolone: la giustificazione è quella di uno shampoo con sostanze proibite ma nessuno gli crede.
Lui grida al complotto e a calciomercato.com dirà: “Mi hanno rovinato, mi hanno rovinato perchè dietro non c’era una grande squadra come la Juventus ad esempio. Non ho nulla contro Davids o gli altri giocatori squalificati per nandrolone. Però sono stati usati due pesi e due misure. Ho un brutto ricordo di quel periodo, ero in scadenza con il Napoli e nessuna squadra voleva più sentire il mio nome”.
A soli 30 anni lascia il calcio ma inizia la carriera di allenatore. Nel frattempo si sposa con la bella scrittrice russa Oksana Robski nel 2008, un’unione che dura solo sei mesi. Da tecnico accetta una sfida coraggiosa, diventa ct della nazionale femminile russa ma l’avventura finisce male. Viene chiamato come coordinatore delle giovanili della Russia e quando la sua vita sembra ormai segnata nel 2016 arrivò la svolta.
Il Krasnodar gli affida la panchina in seguito all’esonero di Oleg Kononov e lui si dimostra più bravo quasi da allenatore che da giocatore, al punto che il club gli fa firmare un triennale.
Chiude il primo anno al quarto posto in campionato con accesso all’Europa League, porta il club russo fine agli ottavi di finale della Coppa di Russia e dell’Europa League.