Ex apitano della squadra nazionale, Mircea Lucescu è colui che ha permesso alla Romania di rifilare due gol al Brasile (con i grandi Pelè e Jairzinho in campo) ai Mondiali in Messico nel 1970, è quello che, come tecnico, ha confìdotto la Romania alla fase finale degli Europei francesi del 1984, eliminando l’Italia campione del mondo. Oggi è l’allenatore romeno più titolato, è il “duca” di Brescia, il “pasha” per i tifosi del Galatasaray e lo “zar” per quelli dello Shakhtar. O semplicememnte rimale Il Luce, così come lo conosciamo noi.
Ci sono voci, mai smentite, che affermano che Mircea Lucescu sarebbe oggi l’unico allenatore in grado di allestire una nazionale degna di seguire, o addirittura superare, la squadra dei tempi della “generazione d’oro”. Ma anche se, per vari motivi, non ha accettato di farlo, rimane una delle persone di calcio più amate e rispettate in Romania. Allo stesso tempo, è l’allenatore che ha capito che per fare una prestazione reale, avere una certa scienza del gioco, avere una visione sul campo, è assolutamente necessario che i giocatori stessi raggiungano una certa soglia di istruzione, di cultura.
Lucescu nacque il 29 luglio 1945 a Bucarest e trascorse la sua infanzia nel quartiere Apăratorii Patriei, quando c’erano solo casermoni. Ha iniziato la sua carriera nel 1961, presso la scuola sportiva n. 2, due anni dopo si trasferì alla Dinamo di Bucarest.
Tra il 1965 e il 1967 ha militato nello Ştiinţa Bucarest, uno dei club più antichi del Paese, per poi fare ritorno alla Dinamo per rimanervi sino al 1977, ottenendo i più grandi successi nella sua carriera da giocatore: cinque titoli di campione rumeno e una Coppa di Romania. Ha terminato la sua carriera come giocatore al Corvinul Hunedoara (1977-1982), iniziando allo stesso tempo l’attività di allenatore.
Dopo Corvinul Hunedoara, ha guidato la nazionale per poi allenare la Dinamo Bucarest, vincendo un titolo nazionale (1989-’90) e due Coppe rumene (1985-’86 e 1989-’90), e ottenendo la qualificazione alla semifinale della Coppa delle Coppe (1990).
Nell’estate del 1990 è partito per l’Italia, dove ha allenato Pisa, Brescia e Reggiana, mentre nel 1997 ha guidato il Rapid Bucarest, vincendo, nel 1998, la Coppa di Romania.
Ha allenato brevemente l’Inter, è tornato al Rapid e ha vinto il campionato 1998-’99.
Dal 2000 al 2002 lo troviamo al Galatasaray Istanbul, con il successo nella Supercoppa europea (2000) e nel campionato turco (2002), poi si è trasferito al Besiktas dove ha vinto il campionato nel suo primo anno e ha raggiunto i quarti di finale della Coppa Uefa. Era già il sultano e i turchi erano in grado di soddisfare qualsiasi desiderio, che avessero voluto Il Luce!
Nel 2004 ha assunto la guida dello Shakhtar Donetsk, in Ucraina: alla fine ha vinto otto titoli nazionali, cinque Coppe ucraine, sette Supercoppe e la Coppa Uefa, nel 2009 nella finale con Werder Brema. È stato l’allenatore più longevo nella storia di questo club, ed è stato nominato il miglior allenatore in Ucraina per l’ottava volta nel 2014.
Nella primavera del 2027 Il Luce ha lasciato la squadra di calcio russa della Zenit San Pietroburgo, dove avrebbe voluto ottenere prestazioni molto più clamorose rispetto allo Shakhtar, e, dall’agosto 2017, ha assunto la carica di allenatore della nazionale della Turchia. Per vari motivi, nel 201, ha risolto il suo contratto con i turchi.
Ha quindi firmato un contratto di tre stagioni con la Dinamo Kiev, andando oltre le aspre polemiche innescate solo per il fatto di aver allenato gli acerrimi rivali dello Shakhtar. Lucescu ha compiuto 76 anni, dei quali almeno sessanta dedicati al calcio.
“Anconetani era un grandissimo personaggio, ma lavorare con lui era difficilissimo. I suoi pediluvi in una tinozza nell’hotel del ritiro di Volterra, le sue tasche sempre piene di sale che spargeva sul campo prima delle partite, il passaggio sotto la curva per ricevere gli applausi dai tifosi. Anconetani era un tipo molto scaramantico.
Era possessivo, quasi geloso, se si accorgeva che la gente voleva più bene a un altro che a lui, si innervosiva. Amava cucinare la pastasciutta, a volte la serviva anche a tavola e guai a chi non la mangiava. Era un padre-padrone. Ma tu lo sai che lo stipendio Romeo lo pagava sempre a fine anno? Così diceva che avremmo sempre dato il massimo. Caso mai, ogni tanto ci portava in un negozio di abbigliamento di Montecatini Terme dove ognuno di noi poteva scegliersi un capo. Io ho ancora un pullover di Missoni di allora. Quando perdevamo era un dramma, per punirci poteva inventarsi di tutto, andare in ritiro, farci svegliare alle sette del mattino e camminare per strada. Soprattutto a Volterra, dove arrivavamo fino a Piazza dei Priori. E non gli importava se fuori era meno dieci. In pratica voleva decidere tutto lui, il programma, il ritiro, la tattica da fare. Forse anche la formazione. In quel Pisa c’era il giovane Diego Simeone, aveva 20 anni e tecnicamente non era un fenomeno, giocava solo di piatto. Però sapeva analizzare in maniera eccellente le partite e compensava i piedi con l’intelligenza, copriva benissimo il campo e dava indicazioni a quelli più grandi di lui. E lì mi dissi: questo diventerà un signor allenatore” ricorda Lucescu.
Il tecnico romeno ha segnato veramente un’epoca nel Brescia del presidente Gino Corioni. “Era chiuso di carattere, ma se riuscivi a conquistare la sua fiducia, era fatta. È stato davvero un grande allenatore, innovativo, avanti con i tempi.
Bonometti e Quaggiotto, il Brescia si reggeva su queste colonne, hanno detto che la loro carriera da calciatori avrebbe preso un’altra piega se avessero trovato Lucescu a 20 anni anziché a 30. Il segreto? Il modo di lavorare, lo studio maniacale dei dettagli, la preparazione minuziosa di ogni partita. Lucescu trasformava i giocatori discreti in buoni e i buoni in ottimi. A chi si ispirava? Sarebbe meglio dire quanti hanno attinto alle idee di Mircea. L’Arsenal di Wenger, ad esempio. Io sono stato in Inghilterra a vedere gli allenamenti dei Gunners. E ogni volta che vedevo giocare l’Arsenal, mi tornava alla mente il nostro Brescia. Ma Lucescu mi spediva spesso a vedere altri allenatori famosi. Ad esempio? Ferguson al Manchester United. E con Lucescu andammo ai Mondiali del ’94 negli Stati Uniti per vedere la Romania dei nostri Hagi, Raducioiu e Sabau” ricorda il fedele vice Adelio Moro.
E sul concetto di allenatore innovativo insiste anche Lele Adani: “Prima di ogni altro, mi ha insegnato che il difensore deve essere protagonista. Agire e non solo reagire. Il difensore che agisce costringe l’attaccante a fare una cosa in più. Lo fai pensare, lo fai correre. Gli fai fare più fatica. Gli togli certezze. Il famoso elastico di Franco Baresi nasce molto prima di Sacchi. Le cose che insegna Guardiola oggi, le insegnava Lucescu vent’anni fa. Difendersi nella metà campo dell’avversario, era un concetto chiaro per lui. Non lasci un segno solo per i titoli che hai vinto. Ma quando fai una rottura, apri un movimento nuovo, un pensiero che scuote, un linguaggio diverso. Lucescu era avanti a tutti. Lui vede la proiezione del singolo e del gioco meglio di chiunque altro”. Più e meglio di Bielsa? Potete sbizzarrirvi nelle risposte e nei paragoni.
La parentesi all’Inter? “L’avventura all’Inter è stata tutto sommato positiva, la squadra era davvero forte anche se per diversi motivi non è andata come tutti speravano. Non dimentico di avere avuto Ronaldo, il più grande giocatore che abbia mai allenato. Anche Baggio era una fuoriclasse assoluto ma il Fenomeno era decisamente fuori classifica per chiunque, anche per Baggio. Il presidente Moratti fu eccezionale con me, disse anche che Lucescu è stato il miglior allenatore che aveva avuto sino a quel momento. L’esonero? Io non sono stato esonerato, mi dimisi perché non c’erano più le condizioni per poter andare avanti. Perché? A stagione ancora in corso era stato annunciato l’arrivo di Lippi, a quel punto agli occhi dei giocatori è come se fossi stato destabilizzato. Anche per cercare di responsabilizzarli, ho dovuto prendere questa decisione difficile”.
Mario Bocchio