14 agosto 2001. Mentre milioni di persone si preparano a festeggiare la notte di Ferragosto, a Madrid si gioca il Trofeo Santiago Bernabeu. A 5’ dalla fine Bobo Vieri esce dal campo per fare spazio a un giovane brasiliano arrivato all’Inter dal Flamengo pochi giorni prima. Quel ragazzo con il numero 14 sulle spalle è Adriano Leite Ribeiro. A Pipoca, come veniva soprannominato dagli amici da bambino per via della madre che un giorno interruppe una partita per comunicargli che i pop corn erano pronti, bastano appena 8 minuti per scrivere la prima pagina di un lungo romanzo che lo porterà a diventare uno dei centravanti più forti degli anni a venire. Allo scadere – coma racconta il “Guerin Sportivo” – c’è una punizione dal limite e sul punto di battuta ci sono già Seedorf e Materazzi. Adriano si avvicina e inizia a discutere con l’olandese. Scelta fatta, tira il ragazzino. Quello che succede pochi secondi dopo è storia: sinistro micidiale, Hierro, ultimo in barriera, si scansa per non essere decapitato, Casillas allunga il braccio ma non ci arriva, la palla scheggia la parte bassa della traversa e finisce sotto il sette. Adriano corre in panchina per raccogliere l’abbraccio dei compagni, increduli per quanto accaduto e testimoni di un gol storico. I tifosi interisti si stropicciano gli occhi e nell’attesa di vedere all’opera la coppia Ronaldo-Vieri, con il brasiliano alle prese con alcuni guai fisici, si godono questo ragazzino arrivato quasi dalla fine del mondo.
Per essere certi che quella non sia stata solo una magia da notte di mezza estate, l’Inter deve attendere poco più di un mese, il 16 settembre. Mentre il mondo è ancora scosso dall’attentato alle Torri Gemelle, Adriano si ripete al Meazza e decide, ancora una volta nel finale, la sfida contro il Venezia: colpo di testa su corner di Seedorf e fendente da posizione defilata dopo la corta respinta di Generoso Rossi. È il gol del 2-1 che manda San Siro in delirio. Una rete che, però, non gli garantisce il posto da titolare. Gioca solo spezzoni di partite, pertanto a gennaio viene mandato in prestito alla Fiorentina per trovare continuità.
Sei gol in 15 presenze non bastano per evitare la retrocessione dei Viola, in piena procedura fallimentare e già privi di Toldo, Rui Costa e Batistuta. Nell’estate del 2002, mentre i nerazzurri si leccano le ferite per lo scudetto perso all’ultima giornata e accolgono Hernán Crespo, Adriano passa in comproprietà al Parma per 12,8 milioni di euro. Ai ducali instaura subito un ottimo rapporto con mister Prandelli e con Mutu forma la coppia più prolifica del campionato.
Quel ragazzo è diventato un uomo e un calciatore formidabile, così l’Inter nel gennaio 2004 lo richiama a casa e sborsa 15 milioni di euro per l’altra metà del suo cartellino. Dinamite, il suo nuovo nomignolo, riprende da dove aveva lasciato: doppietta a Generoso Rossi, il portiere di quell’Inter-Venezia, nel poker dei nerazzurri sul Siena. Pochi giorni dopo altri due gol alla Juve in Coppa Italia. È un momento magico per lui. Regala i preliminari di Champions League alla Beneamata con un finale di campionato super e vince la Coppa America trascinando il Brasile di Parreira che, nonostante il necessario ricambio dopo il successo iridato del 2002, trionfa grazie a un Adriano che si trasforma così da Dinamite a Imperatore.
Sembra andare tutto alla grande, ma mentre con l’Inter si dirige verso Bari per il Trofeo Birra Moretti arriva una chiamata dal Brasile: papà Almir è morto. È l’inizio della fine. Il giocatore riesce a suonare gli ultimi colpi e con tre gol tra andata e ritorno contro il Basilea porta i nerazzurri in Champions.
Tripletta al Porto negli ottavi di ritorno, ma il sogno europeo della formazione di Roberto Mancini si infrange contro il Milan ai quarti. In campionato, intanto, colpisce una traversa record contro il Palermo, con il pallone che viaggia a 140 km/h, segna una doppietta da urlo contro l’Udinese e chiude con 16 reti in 30 presenze.
Ma sono solo gli ultimi bagliori di luce nella notte che avanza, estemporanee di felicità durante una lunga depressione. Adriano appare intrappolato nel proprio corpo, sembra un’auto potentissima ma fuori controllo. La morte del padre lo ha cambiato da dentro, non è più lo stesso uomo, non è più lo stesso calciatore. Arrivano i primi trofei nerazzurri, ma la pazienza di Mancini è finita, così il brasiliano a gennaio 2008 passa al San Paolo. Si rilancia e chiude l’esperienza con 17 reti in 28 presenze. In estate rientra a Milano e con lo sbarco di Mourinho alla Pinetina cresce la speranza di ritrovare il vero Adriano. Lo Special One punta su di lui e l’Imperatore risponde presente, o almeno ci prova. Il gol in Champions League contro il Panathinaikos gli permette di superare Sandro Mazzola e diventare il miglior realizzatore interista nella manifestazione continentale con 18 centri. Adriano sta meglio e viene convocato dal Ct del Brasile Dunga per le qualificazioni al Mondiale 2010. Contro Ecuador e Perù non gioca per infortunio e quando l’aereo con Julio Cesar e i milanisti rientra nel capoluogo lombardo Adriano non c’è. Neppure il suo agente, Gilmar Rinaldi, sa dove si trovi. È lo stesso Imperatore a farsi vivo qualche giorno dopo per annunciare di voler ripartire dal Brasile, dal Flamengo.
Tra alti e bassi, tra un allenamento saltato e una magia in campo, chiude la stagione con 19 reti e vince, stavolta da protagonista, il titolo nel Brasileirao con i rossoneri. Sembra un nuovo inizio ma, come insegna la sua carriera, il passaggio dall’euforia alla depressione è brevissimo. Per rilanciarsi in Italia sceglie la Roma e promette di essere un uomo e un calciatore nuovo.
I giallorossi lo presentano al Flaminio con tanto di sciarpa “Mo’ te gonfio”. Ha qualche chilo di troppo, ma cosa sarà mai? Pochi allenamenti e andrà via. Invece non sarà così: con i capitolini mette assieme appena otto presenze e non riesce mai a timbrare il cartellino. Stavolta è davvero finita.
Dal Corinthians torna al Flamengo, poi passa all’Atletico Paranaense dopo essere stato rifiutato da Palmeiras e Internacional, prima di chiude la carriera da calciatore nel giugno 2016 con il Miami United, all’età di 34 anni. Oggi Adriano, come dichiarato in una recente intervista a Tuttosport, ha un sogno nel cassetto: vedere suo figlio Adriano Carvalho Ribeiro, attualmente al Gremio, con la maglia dell’Inter. Quella società che lo accolse a braccia aperte e con la quale quel 14 agosto 2001 iniziò una lunga storia d’amore.