Ci sono derby e derby. Alcuni fondano il loro odio solo su rivalità calcistiche, azzerando il tutto la domenica mattina quando ci si ritrova fianco a fianco in fabbrica a condividere lo stesso turno di lavoro. Altri sottolineano una differenza sociale più marcata, trasferendo nel calcio quella sorta di rivincita. Altri rappresentano semplicemente due stili di vita opposti, e vedono perdersi il loro odio in buie notti di quasi un millennio fa.
Livorno e Pisa neanche si ricordano più il giorno esatto in cui hanno incominciato ad odiarsi, anche se simbolicamente viene presa come data il 6 agosto del 1284. Battaglia della Meloria. Come viene ricordato nel seervizio su “Dio è del Boca”, davanti alle coste di un piccolissimo villaggio di pescatori sotto il dominio pisano, di nome Livorna, la flotta della Repubblica di Genova sconfisse quella di Pisa, decretandone praticamente la fine. Da quel giorno pian piano Livorno acquisterà sempre più indipendenza, diventando uno dei principali porti del Tirreno, grazie sopratutto alle famose Leggi Livornine (1591-1593), con cui si invitavano commercianti, perseguitati politici, discriminati religiosi, ma anche galeotti, avanzi di galera e trafficanti a cui sarebbe stata annullata la pena, ad approdare in quel villaggio, per fare di Livorno una nuova città e un porto fiorente.
Da quel giorno, niente sarebbe stato più come prima. Mai come qua, quella ventina di chilometri scarsi che separano le due città, sembrano in realtà una vita intera. Livorno e Pisa sono divise non solo fisicamente, ma ad un occhio attento sembrano proprio due mondi paralleli che non si incontreranno mai. Due stili di affrontare la vita così diversi.
Quel campanilismo così tipicamente toscano che tra queste sue città lo è ancora di più, se è possibile. “I discorsi li porta via il vento. Le biciclette i livornesi” dicono i pisani. “Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”, rispondono poco più in là.
Pisa è stata culla culturale dal 1100, quando si iniziò a costruire la famosa torre, fino e ben oltre il Rinascimento, passando per Galileo e migliaia di menti eccelse transitate dalle sue università. Livorno è sempre stata maledetta, con i suoi poeti di strada e artisti sconsacrati. Modigliani, Mascagni, Piero Ciampi. I pisani sbeffeggiano Livorno dicendo che lá c’è solo il mare, affermando che per laurearsi, i livornesi, devono sconfinare in territorio nemico. All’ombra dei Quattro Mori gonfiano il petto, vantandosi di essere toscani atipici, mai servi di guelfi e ghibellini. Una razza a parte, provieni da quel cacciucco di etnie che è stata la città nei secoli precedenti.
Un livornese non cambierebbe mai un bicchiere di spuma bionda “ghiaccio stecchito” con un 5&5, schiacciata con la torta di ceci, chiamato così perché costava 5 lire di pane e 5 di farinata, mangiato sulle spallette dei “fossi”, i canali che attraversano la città, nel quartiere Venezia. Ai pisani non toccare gli aperitivi in riva all’Arno e la zuppa contadina. De contro Gao, Ghiozzi contro Gosti, pirati contro nobili. Ovosodo contro La Normale. In pochi metri cambia persino l’intercalare, diventando improvvisamente due modi di parlare toscano ampiamente differenti.
E questa rivalità ha trovato sfogo molte volte anche e sopratutto sul campo di gioco. Un derby del 1914 dove un tifoso livornese, accerchiato estrasse una pistola e sugli spalti finì in rissa. Negli anni ‘40 dopo un 1-3 amaranto in terra pisana, i dirigenti livornesi furono costretti a scappare in barca ripercorrendo a ritrovo l’Arno, rincorsi dai cugini inferociti. Gli idranti fatti partire volontariamente nel 1959 per allagare il campo da gioco del Pisa e sospendere un derby che non si stava mettendo bene.
Le 11 bare apparse sulle gradinate dell’Ardenza nel ‘78. Nel 1999 Borgo Stretto, nota via del centro pisano, “si è allargata”, come amano dire i livornesi per via della marea amaranto che invase la città. E poi il derby sospeso del 2001 all’Arena Garibaldi. Seggiolini in campo e botte da orbi. I gol di Protti all’Armando Picchi. Coreografie spettacoli della Curva dell’Anconetani. Sfottò. Galline con la sciarpa del Pisa mandate in campo all’Ardenza. L’uno vive per prendere in giro l’altro.
Entrambi, senza il loro rivale, non esisterebbero. Conigli con la maglia nerazzurra. Il Vernacoliere a fare battute. I pisani a ribadire il loro elevato livello storico e culturale. Scritte ingiuriose impresse in giro per il mondo, a ricordare che Livorno non amerà mai Pisa e viceversa.
Ma anche tanta solidarietà durante l’alluvione subita da Livorno a settembre del 2017 con i pisani ad aiutare i cugini spalando fango e aiutando in ogni modo possibile, come giusto che sia. Pura rivalità campanilistica. Una specie di amore odio tra gente così simile ma così distante per tradizione. Necessità. Scherzo. Intolleranza culturale. Quasi una rivalità sudamericana. Venti chilometri di distanza. Un secolo di rivalitá. Un modo per impiegare il tempo, sapendo che a pochi metri c’è qualcuno che vive per sbeffeggiarti, e viceversa. Rivalità amica e nemica. Tipico di quella terra meravigliosa che è la Toscana, dove per contratto ci si disprezza tra città, quartieri, palazzi. Persino pianerottoli. Figuriamoci tra due stili di vita così diversi che si sono dichiarati guerra eterna, qualunque cosa accada, e che sanno che, l’uniche tre cose certe nella vita sono la morte, le tasse e che Livorno e Pisa non si ameranno mai.
Per la cronaca statistica sinora, tra tutte le competizioni e le competizioni, Pisa e Livorno – o come volete Livorno e Pisa – si sono incontrate 85 volte: 34 sono i successi degli amaranto e 21 quelli dei nerazzurri.