Elvio Banchero, classe 1904, nacque ad Alessandria da una famiglia agiata, suo padre aveva un’avviata attività di commercio di frutta esotica. Aveva due fratelli, Ettore,che ebbe una lusinghiera carriera tra A e B, e Fausto il primogenito,il quale venne a mancare nel 1918 a causa della“spagnola”.
Questo tragico evento condizionò, sia pure parzialmente, il suo approccio al calcio, a causa del padre che non vedeva di buon occhio un figlio calciatore. Dovette ricredersi, perché a 18 anni non ancora compiuti esordì in prima divisione con la maglia grigia dell’Alessandria. Avvenne contro il Torino (2-0) e già in questo debutto andò in gol sfruttando un assist di Baloncieri.
Se si esclude la stagione 1924-‘25, giocata con la Spal in quanto militare a Ferrara, visse i gloriosi anni Venti con la maglia grigia alessandrina, vincendo la coppa CONI nel 1927.
Durante la sua carriera si alternò nei ruoli di centravanti e di interno, mantenendo un’elevata media realizzativa. Nonostante avesse tra le sue caratteristiche l’irruenza e la caparbietà, il suo gioco non sconfinò mai oltre i limiti della lealtà e della correttezza: aveva buona tecnica di base, calciava con entrambi i piedi, e in area di rigore si faceva rispettare.
A proposito di questo ricordava un episodio: “Nel 1927 in Coppa CONI al campo degli Orti contro il Casale, Caligaris aveva già perso la pazienza per non essere riuscito ad ostacolarmi. Esasperato, mi tranciò ma evitai l’impatto aprendo le gambe a compasso. Lo scampato pericolo provocò la mia reazione e la manica della sua nera maglia rimase nelle mie mani.È un ricordo del grande Umberto”.
Nel 1928 fu convocato da Rangone per le Olimpiadi di Amsterdam: esordì in nazionale nella prima partita contro la Francia, e ancora una volta andò in gol nel debutto,contribuendo alla rocambolesca vittoria per 4-3. Venne escluso nelle partite successive, per poi tornare titolare nella finale per il bronzo contro l’Egitto. Siglò una tripletta, gli Azzurri vinsero con un largo 11-3 conquistando comunque una prestigiosa medaglia.
In seguito a questo risultato la Federazione fece dono agli atleti di un ricordo particolare: un orologio con, sopra, il singolo nome; questo cimelio, insieme alla medaglia di bronzo, al giaccone della nazionale ed altri ricordi fanno bella mostra nei locali del Museo del calcio a Coverciano.
Nell’estate del 1929 , insieme al compagno di squadra Giovanni Ferrari, partecipò con la maglia del Bologna alla celebre tournée in Sudamerica: Banchero si distinse particolarmente nella vittoria di Montevideo contro i campioni olimpici dell’Uruguay. Al ritorno in Italia il Genoa non ebbe indugi sul suo acquisto: in maglia rossoblù rimase tre anni, le prime due furono ricche di soddisfazioni e gol (34).
Certamente, rimase il rammarico per quel rigore sbagliato il 15 giugno 1930 in occasione di Ambrosiana- Genoa, l’incontro decisivo per il primo campionato a girone unico. Fu una partita giocata in condizioni particolari, era crollata una tribuna, il pubblico era assiepato ai bordi del campo.
Il rigore che poteva cambiare la storia toccava a Levratto, che però declinò l’incombenza: Banchero, uomo con gli attributi, si assunse la responsabilità e sbagliò. Questo episodio non influì sul suo rendimento: l’anno seguente segnò nuovamente 17 gol tanto da guadagnarsi, dopo tre anni, la convocazione in nazionale.
Siamo al 22 febbraio 1931, Vittorio Pozzo pensò ad Elvio Banchero per sconfiggere finalmente la formidabile Austria, che proprio in quel periodo iniziava a costruirsi la fama di Wunderteam.
Si giocò a Milano, San Siro, una nevicata aveva reso il campo fangoso e ai limiti della praticabilità: gli Azzurri riuscirono nell’impresa grazie alle prodezze di Meazza e Orsi.
Banchero si distinse per le sue proverbiali doti incentrate sull’agonismo e allo spirito di sacrificio. Da quel giorno diventò “l’uomo del fango”, un appellativo che portò sempre con orgoglio: rendeva bene l’idea del faticatore e di colui che riesce sempre a districarsi con disinvoltura dove gli altri arrancano.
L’ultimo anno nel Genoa (1931-‘32)fu condizionato da qualche infortunio di troppo che ne limitò il rendimento: per questo ebbe qualche problema con la tifoseria genoana, salvo poi la stessa inviargli una lettera di scuse. Dopo due stagioni in chiaroscuro alla Roma, passò in serie cadetta al Bari (‘34-‘35),che grazie anche alle sue 9 reti ritornò in serie A.
Dopo un breve ritorno all’Alessandria, chiuse la carriera in serie C al Parma e al Savoia Marchetti nel ‘38-‘39.
Scoppiò la guerra, furono tempi duri per tutti. Il 30 aprile del 1944 Alessandria fu bombardata, in modo particolare la stazione nei cui pressi Banchero abitava con la sua famiglia.Tutto avvenne intorno a mezzogiorno, a quell’ora Elvio si trovava fuori casa: al suo ritorno ritrovò la casa distrutta. Invano provò a scavare tra le macerie con le sue mani per salvare la sua famiglia, ma fu tutto inutile. Perirono la moglie Ernestina di 38 anni e la figlia Luciana di 18 anni. L’altro figlio Enrico di 21 anni in quel momento era prigioniero di guerra in Africa.
Fu un dolore che si portò dietro per tutta la vita, al quale si aggiunse il fatto che la guerra e l’inflazione gli fecero perdere il suo status di agiato borghese. Eppure ebbe la forza di risollevarsi, si risposò nel 1947 e dal nuovo matrimonio nacquero Loredana ed Elisabetta. Con tanta umiltà lavorava di notte allo zuccherificio di Spinetta, sua moglie collaborava cucendo vestiti e insieme ripartirono. Successivamente diventò rappresentante esclusivo di argenterie, e questo nuovo lavoro gli restituì la sicurezza economica di un tempo.
La passione per il calcio rimase immutata, continuò a seguire soprattutto la sua squadra del cuore, l’Alessandria, che però, con tanta ingratitudine e dimenticanza gli chiedeva il biglietto d’ingresso al Moccagatta.
Lo stesso modus operandi si registrò il 21 gennaio 1982, giorno del suo funerale, quando solo un intervento di un suo amico riuscì ad ottenere il labaro dell’Alessandria. Una folla imponente e di qualsiasi ceto sociale diede l’ultimo saluto al campione del fango.
Antonio Priore