Il 15 maggio del 1921, nasceva sulle sponde del Moldava Čestmír Vycpálek. Centrocampista dotato di ottima tecnica oltre che di un estro fuori dal comune, legò indissolubilmente il suo nome al Palermo, dove militò prima da calciatore e poi da allenatore. Papà Premysl lo fa avvicinare già da piccolissimo al mondo del calcio: ogni domenica, nonostante le proteste di mamma Jarmila, dopo pranzo non ci sono scuse, gioca lo Slavia e lo si va vedere allo stadio “Spartan”. Čestmír è un ragazzo promettente, suo padre ne intuisce le enormi potenzialità e media con la madre, inflessibile sostenittrice della scuola, che vorrebbe vederlo chino sui libri notte e dì.
L’accordo – come racconta Alessio Abbruzzese sul “Guerin Sportivo” – è presto fatto, il giovane si dedicherà all’Accademia Commerciale e poi potrà concentrarsi sul calcio. Oltre che un promettente atleta, Čestmír eccelle anche negli studi, supera il ginnasio, l’Accademia e inizia a giocare per lo Slavia Praga. Gli orrori della Seconda guerra mondiale spazzano via la spensieratezza e la normalità di centinaia di migliaia di giovani europei e inevitabilmente anche la sua. Cestmir nel 1944 finisce a Dachau. Ci resterà otto mesi che lo segneranno per tutta la vita: “Ero uno scheletro vivente con una casacca a righe. Una buccia di patata, ogni due giorni, mi pareva un tesoro inestimabile. Solo chi è passato attraverso queste esperienze può capire che valore ha la vita e non impressionarsi più di nulla”. Finita la guerra Čestmír torna a deliziare i tifosi dello Slavia. Come capita stesso nella storia, e di conseguenza anche in quella del pallone, è il caso a determinare e a indirizzare gli eventi verso accadimenti straordinari. Proprio il caso vuole che Artino, allora segretario generale della Juventus, abbia un amico che esporta vini piemontesi e gestisce un night club a Praga, il signor Foresto. Il rampante imprenditore avverte l’amico: lo Slavia in mezzo al campo ha due ragazzi fuori dal comune, Vycpálek e Korostelev. Artino non se lo fa ripetere due volte e li ingaggia entrambi, formeranno sulla sponda bianconera del Po una squadra invidiabile al fianco di Piola, Parola, Muccinelli e Candiani, tenendo il passo e insidiando la prima posizione del Grande Torino.
Cesto, come cominciano a chiamarlo in Italia, rimane alla corte di Renato Cesarini soltanto quella stagione e poi, per un altro capriccio del caso, finisce a Palermo. L’avvocato Agnelli è infatti legato da una profonda amicizia con il principe Lanza, patròn rosanero, e gli cede l’asso cecoslovacco. In pochissimo tempo diventa l’idolo della Favorita. Giocatore dalla spiccata intelligenza calcistica, abbina una tecnica fuori dal comune ad una visione di gioco al limite dell’avanguardismo per il calcio degli anni ’40 e ’50.
Schierato spesso come mezz’ala, incide con una certa continuità anche in fase realizzativa essendo dotato di un ottimo tiro. A Palermo rimane per cinque stagioni diventando il primo straniero ad indossarne la fascia di capitano in massima serie. Nel’52 si trasferisce al Parma dove passa sei stagioni prima di ritirarsi dal calcio giocato.
Per un giocatore che sa leggere il gioco come lui, il passaggio dal campo alla panchina sembra quasi scontato. Vycpalek torna subito a Palermo dove diventa allenatore e fa trasferire in fretta e furia la famiglia, minacciata a Praga dai carri armati sovietici. Nell’anno dell’esordio alla guida del Palermo ottiene subito la promozione in Serie A. Per tutti gli anni ’60 allena in Sicilia, tra Mazara e Siracusa, prima che il caso non lo faccia incrociare di nuovo col suo destino.
Nel dicembre del 1970 incontra casualmente a Bagheria il suo ex compagno di squadra Boniperti, nel frattempo diventato presidente, che gli propone di salire a Torino ad allenare le giovanili. Cesto non se lo fa ripetere due volte, torna in Piemonte dove l’anno successivo, complice la prematura ed inaspettata dipartita di Armando Picchi, diventa allenatore della prima squadra. Sulla panchina bianconera vincerà due scudetti consecutivi nel ’72 e nel ’73, prima di ritirarsi l’anno successivo, rimanendo comunque all’interno della società juventina in qualità di osservatore. Ad ereditare la sua passione per la panchina ci penserà il nipote, il figlio di sua sorella, Zdeněk Zeman. Un ultimo scherzo ha in serbo per lui il caso: se ne andrà alla soglia degli 81 anni, nella mattinata del 5 maggio 2002, giornata della vittoria del 26esimo scudetto da parte della sua Juve.
La foto sotto il titolo è tratta da ilpalermo.net