Parma e il mondo dello sport piangono la scomparsa di Alberto Michelotti. L’ex arbitro, ricoverato da alcuni giorni all’Ospedale Maggiore di Parma, se ne è andato all’età di 91 anni dopo una vita nel segno del calcio e della parmigianità.
Cresciuto in una famiglia numerosa in Oltretorrente, è arrivato a dirigere finali internazionali fra gli anni Settanta e Ottanta. Una carriera da romanzo raccontata nel libro Dirige Michelotti da Parma di Claudio Rinaldi. Figlio di padre “ignoto” e di Elsa, venditrice di frutta e verdura al mercato della città, la popolarissima Ghiaia. Nasce di sei chili, e “se quando vieni al mondo pesi sei chili, forse sei un predestinato”, scrive Gianni Mura nella prefazione. In effetti, arriva in serie A nel 1969, a un’età troppo in là per far carriera. Ma, a dispetto del ritardo, nel 1973 è già arbitro internazionale. La famiglia Michelotti era sempre in fuga e sempre in trincea: erano gli “Arditi del Popolo” e quando Alberto mentre faceva la spola con gli zii partigiani nascosti a Varano, fu arrestato e portato nella caserma fascista al Petitot, la madre Elsa sputò in faccia al terribile Brenno Monardi detto Bragò, e si fece riconsegnare il figlio: questa è la dimostrazione che la famiglia di Alberto era sempre in fuga e sempre in trincea.
Dopo una breve esperienza da calciatore in realtà della provincia, fu convinto da dirigenti del calibro di Ferruccio Bellè e Valdo Franceschi a indossare la giacchetta nera di direttore di gara. Non l’ha più smessa, anzi l’ha portata in giro per il mondo, con quel suo orgoglio mai celato di essere parmigiano.
Debuttò in A e concluse la carriera al San Paolo di Napoli: esordì infatti il 14 aprile 1968 in Napoli-Varese (5-0), per arbitrare l’ultima volta in Napoli-Juventus (0-1) del 17 maggio 1981. Ha diretto 145 incontri nel massimo campionato.
Nel 1973 venne promosso al rango di arbitro internazionale (unitamente ai colleghi Riccardo Lattanzi e Luciano Giunti), riuscendo poi a levarsi parecchie soddisfazioni in questo ambito. Infatti, nel luglio 1976 fu selezionato per le Olimpiadi di Montreal: arbitrò allo “Stade Olympique” Messico-Israele (2-2) e successivamente il quarto di finale ad Ottawa tra Germania Est e Francia terminato 4-0 (un paio di curiosità: in queste due partite concesse tre calci di rigore ed espulse un totale di ben cinque giocatori!); nel 1979 gli toccò la finale di ritorno di Coppa UEFA, giocata a Düsseldorf tra Borussia Mönchengladbach e Stella Rossa e vinta per 1 a 0 dalla squadra tedesca e nel 1980 coronò la carriera con la partecipazione agli Europei di calcio in Italia, dove si segnalò per la direzione dell’incontro inaugurale del Torneo, l’11 giugno a Roma, Cecoslovacchia-Germania Ovest, con successo della nazionale tedesca, poi vincitrice del Campionato Europeo, per 1-0. Non ha mai avuto la possibilità di partecipare ad una Coppa del Mondo: il suo anno “buono” avrebbe dovuto essere il 1978 ma gli venne preferito Sergio Gonella: si dovette “accontentare” di dirigere tre partite di qualificazione. Il 13 ottobre 1976, quindi poco dopo la sua esperienza canadese per i Giochi Olimpici, gli toccò a Praga Cecoslovacchia-Scozia (2-0). Quasi un anno dopo, il 15 luglio 1977 (giorno del suo compleanno) “emigrò” nella zona Africana per Egitto-Zambia, vinta dai padroni di casa per due a zero ed infine, il 16 novembre, a Smirne vide la vittoria della Germania Est sui padroni di casa turchi per 2-1.
A livello nazionale, fu protagonista di ben 3 finali di Coppa Italia: Fiorentina-Milan (28 giugno 1975), Roma-Torino (17 maggio 1980) e ancora Torino-Roma (17 giugno 1981). Al termine del campionato 1973-‘74, ricevette il “Premio Giovanni Mauro” come l’arbitro meglio distintosi durante la stagione.
La lirica, altra grande passione, lo ha visto parte del mitico Club verdiano dei 27. Nel 1993 aveva ricevuto la medaglia d’oro della città di Parma, per la “lunga carriera di arbitro internazionale di calcio che l’ha portato ai massimi livelli come direttore di gara, apprezzato – oltre che per l’indiscussa competenza – per le doti di professionalità ed equilibrio”.
L’anno scorso aveva perso la moglie Laura, da cui aveva avuto le figlie Sonia e Vania. Nel 2020 era stato inserito nella Hall of fame del calcio italiano. Nel luglio 2021 è nominato dirigente benemerito dal comitato nazionale Aia (Associazione italiana arbitri).
Una vita con il fischietto, dunque, quella di Michelotti. In campo è un duro: grazie alla stazza da vichingo, alla grinta, “frutto – diceva lui – delle privazioni e delle umiliazioni subite negli anni dell’adolescenza”. Dalle testimonianze di grandi campioni del passato – Rivera e Mazzola, Corso e Zoff, Boninsegna, Riva, Paolo Rossi – e di colleghi arbitri – Campanati e Gussoni, Agnolin e Prati, i suoi guardalinee storici Sozzi e Battilocchi – il ritratto di un fuoriclasse del fischietto, ma anche di un uomo determinato e coerente.
Quella di Michelotti è sempre stata avvincente della vita di un uomo autentico, che ha sempre e con orgoglio sventolato un’unica bandiera: quella della libertà di pensiero e di azione.