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O capitano! Mio capitano!
(Walt Whitman)
Sputare sangue per la maglia non è retorica. Se sei di Bari Vecchia e sul cuore c’è il galletto non puoi sbagliare nulla. Non ti puoi distrarre un secondo, che poi è un attimo e Van Basten ti frega. Grinta e tenacia sono le armi del difensore, perdipiù se è capitano, e diventano un arsenale atomico in mano a chi ben le sa usare. Anche se deve incrociare il suo sguardo duro e orgoglioso con quello spiritato di Maradona, con le treccine rutilanti di Ruud Gullit, con la classe cristallina di Platini, con la potenza di Karl Heinz Rummenigge.
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Giovanni Loseto ha giocato più di trecento partite con indosso la maglia biancorossa. La sua, quella con il numero due stampato dietro, l’hanno ritirata. Non per caso. È di famiglia di antica fede e stretta osservanza barese: altri due fratelli, e un nipote, hanno difeso i colori del Bari. Fiorito nella nidiata catuzziana del Bari dei Baresi, più che una squadra un’accolita di guerrieri, un mito identitario. Tra il 1982 e il 1993, vissuti di slancio tra soddisfazioni, gioie, dolori e tante promesse, qualcuna — forse la più grande — mancata.
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Ma non certo per colpa del Capitano, di Govanni Loseto. Stopper arcigno, tutto cuore e carisma.
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Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. La curva lo sapeva e perciò gli dedicò il coro: “Giuan, dang’ ‘nu tuzzo”, praticamente “Giovanni, picchiali”. Lo imparò il più grande, Diego, El Pibe de Oro a cui in Coppa Italia non lasciò toccare palla.
Lo impararono, a loro spese, gli arcirivali del Lecce. In casa loro, al Via del Mare, all’87esimo del derby disputato in A il 22 ottobre del 1989. I giallorossi vincevano, gol di Virdis.
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Nello spogliatoio i baresi del Bari ricordano ai compagni a modo loro che non si può mollare. Così, quando Pietro Maiellaro scodella in area un cross invitante, è il testone caparbio e orgoglioso di Capitan Loseto che svetta più in alto di tutti e buca Terraneo, strappando un pari insperato.
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Il suo gol più bello, anche più bello del primo, rifilato al gigante interista Walter Zenga e atteso per ben novantuno partite, sarebbe ancora un altro. Tanto tempo è passato ma dentro di lui, sa che la gioia più grande sarebbe quella di invertirne il corso e tornare a presidiare l’area di rigore barese, al San Nicola, magari gremito.
Un calciatore vero, che ha sempre dato tutto per la maglia, non smette mai di sognare il campo. E se ti capita di incontrarlo per strada, magari al Castello Svevo a Bari e di chiamarlo Capitano, vedrai accendersi nei suoi occhi scuri, burberi e sinceri, una scintilla che niente e nessuno potrà spegnere mai.
Giovanni Vasso