Nel febbraio del 2016 un episodio poco edificante caratterizzò la cronaca calcistica nazionale: una performance che non ha niente a che vedere con lo sport portatore di sani valori. Si trattò di un penoso battibecco, con tanto di villanie gridate a squarciagola nello stadio pieno di gente e ripreso dalla tv, tra due allenatori professionisti. Ebbene, la cosa sgradevole si è ripetuta a porte chiuse proprio in periodo di Coronavirus, tra altri due allenatori di Serie A. Qualche tempo fa ci fu addirittura un episodio in cui un allenatore diede un calcio nel fondo schiena al trainer della panchina avversaria, ripreso da media con tanto di polemiche. Ebbene, non ricordo che ai miei tempi gli allenatori professionisti si oltraggiassero in questa maniera, anzi tra i colleghi c’era un reciproco rispetto.
Ma ciò che succede negli stadi è forse lo specchio dell’odierna società come ci raccontano i sociologi. Tempi dove sempre meno persone vanno a vedere le partite dal vivo, non solo per causa Covid, mentre aumenta il pubblico che segue lo sport sdraiato sul divano. Ma quali insegnamenti traggono gli adolescenti vedendo certi esempi di uomini maturi che si scherniscono senza il minimo pudore? Allora la nostalgia torna al passato, quando i nostri campi da gioco, fin da quelli parrocchiali, erano frequentati da altri Maestri.
“Uomini del calcio” direbbe un mio ex compagno di squadra, oggi dotto psicologo: “Persone che avevano in mente prima di tutto il bene di noi ragazzini, dei giovani e anche degli uomini fatti. Si servivano del calcio perché quello conoscevano come strumento per fare del bene, agli altri, e anche a se stessi”.
Ed è per questo che oggi colgo l’occasione per ricordare, tra i molti allenatori dilettanti e dirigenti conosciuti in epoca remota, Toni Bortoli, mancato a soli quarantanove anni, scopritore di talenti tra i quali quello di Massimo Briaschi, attaccante del Lanerossi, Genoa e Juve.
Un allenatore vecchio stampo che ha vissuto la sua missione tra i quartieri Conca e Ca’Pajella di Thiene; una figura carismatica non solo per i ragazzi della Robur e dell’Audace-Marte, ma anche per tutte le squadre del circondario. Il suo negozio di barbiere in via Trieste, di fianco all’entrata dello “Stallo Maccà” vicino alla locanda “Sole Vecio”, fu per lunghi anni il luogo di ritrovo di giocatori, allenatori, dirigenti o semplici appassionati: un “santuario” del mondo sportivo locale, direbbe Gianni Brera.
Anch’io, sebbene fossi un giocatore di una squadra avversaria, avevo di lui totale stima. Grande conoscitore dei giovani, Toni Bortoli, con quel suo fare burbero, sapeva infondere nei ragazzi fiducia in se stessi così da trarne il meglio sia in campo sia nella vita di ogni giorno. Quando si trasferì in Ca’Pajella per seguire l’Audace-Marte, io avevo appena subito un grave infortunio di gioco con la Prima squadra della Robur. Vedendomi tutto afflitto, Toni mi propose, spronandomi all’ottimismo, d’allenare i giovanissimi durante il periodo di convalescenza.
Capii che la stima tra noi due era reciproca; non voleva che mi deprimessi per poi attaccare le scarpe al chiodo. Alla cena di fine stagione, di fronte alla squadra dei ragazzini in festa, mi fece dono di una bella targa di riconoscimento che conservo ancora con piacere tra i miei ricordi. Ecco perché, quando vedo qualche foto sui giornali o in tv dell’allenatore di Trieste, Nereo Rocco, il mio pensiero corre in via Trieste nella bottega di barbiere e alla figura di Toni Bortoli seduto in panchina con un cappello simile calcato sulla testa. Ed è così, con deferenza, che oggi riconosco in lui, alla pari del “Paròn” del Milan di Rivera, uno degli “Uomini del calcio” di Serie A della nostra meglio gioventù.
Giuseppe (Joe) Bonato