Inutile raccontarci che la carta stampata conserva realmente ancora la storia, anche la più piccola o la più lontana nel tempo.
Per questo faccio una considerazione personale: se a causa del mondo fluido mediatico proiettato in internet la “carta canta” andasse a sparire, andrebbero cancellati anche moltissimi files dalla nostra labile memoria collettiva.
È per questo che dall’annuario “Schio numero unico”del 1989 traggo una sintesi di un bellissimo articolo vergato dalla penna di Sergio Marigo e dedicato a uno dei già dimenticati giocatori scledensi che le nuove generazioni sportive, avvezze al clic dell’iPhone nemmeno conoscono. Parliamo di Elio Grolli, classe 1913, scomparso nel 2001. È stato un calciatore vicentino nel ruolo di attaccante. Giocò quattro stagioni in Serie A con Bari, Fiorentina e Liguria, oltre che altri numerosi campionati in categorie inferiori con Verona,Vigevanesi e Schio. E tutto ciò avvenne tra il 1931 e 1945.
“Il più grande”
“Dalla galleria dei più validi e fantasiosi campioni che lo Schio ha avuto nella sua storia ne abbiamo scelto uno: Elio Grolli. (…)
Grolli portava, in ogni squadra dove ha giocato il tocco e la fantasia, portava il contributo dei suoi shoots che solo un grande giocatore porta nel suo bagaglio.
Era un giocatore che amava chiedere la palla, che voleva giocare il maggior numero di palloni possibili e li giocava quasi tutti di prima intenzione con tocchi rapidi e smarcanti, dipingendo geometrie con il suo famoso piede sinistro. Era un autentico playmaker offensivo. Non amava i tackles sull’avversario, non amava conquistare palloni, amava invece giocarli con grande altruismo e con eccezionale contributo di fantasia.
Uno dei giocatori, assai rari anche allora, attorno ai quali poteva ‘girare’ tutta la squadra perchè il suo correre sul campo, il suo gusto per lo smarcamento erano sempre in atto. Distribuzione del gioco, continuità nell’azione, passi svelti e felpati, un tiro che era come un colpo di fionda: queste le caratteristiche tecniche di Elio Grolli.
E la testa? La usava certamente più per ragionare che per toccare la palla.
Era un giocatore dal grande temperamento e, sopratutto, orgoglioso. Rappresentava, infatti, la figura del giocatore-artista; era ed ha continuato ad essere per anni un elegantissimo Ulisse del pallone in mezzo ai troppi Aiace dell’italica pedata.
Andare allo stadio per ammirare Grolli costituiva ristoro. Il calcio di gala si riassumeva nel suo pedatorio profitto.
Sto esagerando? E allora? Si contano forse a decide gli interpreti e i custodi della fantasia tradotta in azioni di attacco e di contrattacco?
Vorrei chiedere a Elio a quale fonte attingesse per caricarsi di così insoliti estri, a quali esempi si ispirasse (…)
Di sicuro attingeva da sé stesso e si ispirava, non è escluso, all’immagine di sé medesimo che le offriva lo specchio.
Elio Grolli forse aveva più classe che fantasia, ma soprattutto aveva la giusta frustata del gol. Apparentemente introverso egli covava dentro un fuoco che si placava solo quando il suo tiro scuoteva la rete avversaria. Sicuramente Grolli è stato uno degli ultimi fantasisti in un calcio che ha poi preso a correre freneticamente ma che ha perso molte delle sue vecchie invenzioni. L’ultimo poeta del calcio di allora? Piuttosto un altro campione della lunga galleria di artisti; quei giocatori cioè che più delle classifiche e delle statistiche esaltarono il calcio e lo affidano al ricordo che non muore di una favola bella”
Giuseppe (Joe) Bonato