Totò e quel calcio che ci piaceva tanto
Mar 23, 2024

Quella fra il calcio e gli italiani è una grande storia d’amore. Il calcio italiano ha una lunga e orgogliosa tradizione e un’immensa importanza nella cultura popolare del Belpaese. È la grande passione degli italiani che da sempre fanno scuola in questo sport che ha un largo seguito a livello mondiale. Una figura importante del calcio italiano e internazionale è quella di Salvatore Totò Vullo, un buon calciatore che ha contribuito a farci apprezzare e amare quel calcio che purtroppo oggi non c’è più. Salvatore Vullo è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, nel ruolo di difensore. Ha giocato sette stagioni in Serie A, con le maglie del Torino, Bologna, Sampdoria, Avellino.

Da allenatore, ha ottenuto una promozione in Serie B con l’Avellino. Giuseppe Maurizio Piscopo ha pubblicato su “Siciliaonpress” una bella intervista a Vullo. Loro due sono nati nello stesso paese e nello stesso anno il 1953, ma hanno seguito sogni differenti.

Salvatore Vullo nel Palermo

Quando inizia la tua avventura nel mondo del calcio?

“La mia avventura calcistica inizia presto, sin dalla scuola elementare. Allora frequentavo l’Oratorio di Don Prisco nei primi anni ‘60 e la passione del pallone mi prese vedendo giocare nel campetto i calciatori della Chiaramontana allora prima squadra di Favara, lì giocavano i grandi Chirminisi Priolo, Valenti, Veneziano…”

Quali ricordi conservi delle grandi partite?

“La vita da professionista cominciò a Palermo, ero arrivato dal Ribera, dove avevo finito gli studi, la mia vita cambiò radicalmente e il calcio mi prese completamente. I ricordi sono scolpiti nella mia testa: dai compagni agli avversari, al presidente, il grande Renzo Barbera, la finale di Coppa Italia contro il Bologna di Savoldi e Bulgarella persa ai rigori”.

Poi Torino con il grande salto di categoria.

“Le emozioni si moltiplicarono, grandi squadre e grandi giocatori, avversari che sembravano inarrivabili, improvvisamente erano lì, Milan Inter, Juventus, Roma, Lazio, Fiorentina, Napoli…”

Rivera, Mazzola, Tardelli, Conti, Antognoni…

“I grandi stranieri, Zico, Maradona, Platini, le partite internazionali, la Coppa Uefa. Tutto stupendo e indimenticabile”.

Quante partite hai giocato?

“Da dilettante tantissime, da professionista oltre 350”.

Un difensore ed un allenatore hanno due ruoli completamente diversi?

“È chiaro che i ruoli sono completamente diversi: da giocatore devi fare prestazione, devi farti accettare dai compagni, devi integrarti e seguire le direttive; sei più libero e hai meno responsabilità, da allenatore devi interpretare le caratteristiche tecniche dei giocatori, ma anche caratteriali e fare in modo che questo intreccio diventi funzionale agli obbiettivi”.

In granata con Giuliano Terraneo e Roberto Salvadori

Rispetto agli anni in cui sei stato difensore, qualcuno ha scritto che il mondo del calcio non è più lo stesso. In che senso è cambiato?

“Rispetto agli anni in cui sono stato protagonista nel calcio anni ‘70-‘80, devo dire che in qualcosa è cambiato, ad esempio la velocità delle azioni, la forza espressa dagli atleti, ma la sua essenza è sempre la stessa, il calcio rimane sempre un gioco bellissimo”.

Quelli dell’ Avellino hanno detto e scritto, che sei rimasto nel loro cuore e ti hanno definito il giocatore “indimenticato”…

“Ad Avellino ho partecipato a scrivere la storia, tre anni da giocatore e tre salvezze esaltanti (era l’obbiettivo). Da allenatore ho vinto un campionato facendo divertire il pubblico. Era l’anno 2002-‘03, dalla serie C alla serie B, la seconda volta nel 2011 sono arrivato in corsa e sono riuscito a raggiungere i playoff vincendo tre partite su quattro, la quarta è stata persa a Trapani, ma siamo stati promossi lo stesso. Credo, che il mio comportamento nei confronti dei tifosi e della città sia stato sempre impeccabile”.

Quando deve smettere di giocare un giocatore professionista?

“La durata della vita sportiva di un calciatore professionista dipende molto dalla vita privata che conduce, ma anche dalle qualità fisiche che la natura gli ha donato, quindi è molto difficile rispondere con i numeri”.

Che rapporto hai avuto con Favara negli anni d’oro del calcio?

“La mia vita privata è sempre rimasta e vissuta a Favara con la famiglia e con i Favaresi dai quali non mi sono mai staccato”.

Quali sono le difficoltà da superare per sfondare in una squadra?

“Le difficoltà da affrontare sono tante: prima di tutto devi misurarti con te stesso, fisicamente ed emotivamente e capire se sei predisposto ai sacrifici che la disciplina comporta, poi ci sono le dolenti note: invidie, concorrenza che spesso non è leale come lo sport vorrebbe, devi misurarti sempre e non mollare mai”.

Riavvolgendo il nastro della tua vita, rifaresti ancora il calciatore o sceglieresti un’altra professione?

“La mia vita da sportivo professionista è stata bellissima e vissuta in toto, quindi non posso negare che la rifarei, ma sono passati molti anni e il contesto è completamente diverso, quindi qualche dubbio è naturale che venga. Volevo insegnare Educazione fisica, era il mio primo obiettivo”.

Cosa succederà nel calcio dopo il Coronavirus?

“Dopo il Coronavirus? Non lo so, non lo sanno neanche gli scienziati, si va per tentativi, ma come nella vita ci vuole tempo e tutto ritornerà come prima” .

Quali consigli ti senti di dare ad un giovane che vuole fare il calciatore?

“Pensateci bene, ma se volete insistere, sappiate che è dura, quindi siate pronti alle rinunce, a fare sacrifici, amore assoluto per quello che si è scelto di fare”.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

“In questo contesto storico è molto difficile pensare al futuro, ma c è sempre uno spiraglio, quindi insegnare ai giovani calciatori e ai giovani allenatori le tecniche e le tattiche calcistiche, che vanno non solo insegnate ma principalmente interpretate”.

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