Bergkamp-Jonk come Gullit-Van Basten. Questa era l’idea di Ernesto Pellegrini. Finita l’ ”era teutonica”, in casa nerazzurra si cercò di prendere esempio dal fortunato “modello orange” milanista. Dennis Bergkamp era la stella del momento e su di lui erano andate forte molte big.
Con la Juventus ad un passo dal suo acquisto. Wim Jonk, un po’ l’oggetto sconosciuto invece, quasi un pacco annesso nella operazione, come spesso capita. Tutto sembrava promettere bene e invece tutto andò clamorosamente storto. Per Bergkamp, soprattutto, che campione lo era veramente, senza però dimostrarlo quasi mai a Milano.
Un difficile ambientamento in Italia ed un carattere introverso non lo aiutarono di certo, ma i veri problemi erano in campo, con un gioco assai diverso da quello che lo aveva reso celebre nell’Ajax e con problemi di comunicazione soprattutto con Ruben Sosa (come poi l’olandese confessò), uno molto restio a lasciargli la scena, idolo com’era della tifoseria. Bergkamp i colpi li dimostrava eccome e dal dischetto faceva la sua parte, ma soffriva molto la durezza delle retroguardie avversarie, divenendo sovente il loro principale bersaglio.
C’è da dire, però, che era un’Inter molto diversa e piena di contraddizioni. In campo e fuori. E questo, inevitabilmente, dovette avere il suo peso. Tant’è che, in Coppa Uefa, il tulipano olandese, invece, diede spettacolo, con prestazioni all’altezza della sua fama, goal da cineteca (memorabile uno in rovesciata al Rapid Bucarest) e il titolo di capocannoniere del torneo con 8 reti in undici presenze. Forse anche per via delle difese avversarie più larghe, chissà.
Il resto è storia nota. Massimo Moratti sembra volesse tenerlo ancora una stagione, ma ormai l’avventura dell’elegante numero dieci nerazzurro era volta al termine. Se lo aggiudicò l’Arsenal di Arsene Wenger, dove, in coppia con Thierry Henry (un altro reduce da una opaca esperienza in Italia, con la maglia della Juventus), divenne quell’autentica icona che già si era rivelato nell’Ajax e nella nazionale olandese. Bergkamp secondo alcuni era inadatto al nostro calcio, ma secondo tanti altri era il nostro calcio che non si era adeguato alla sua classe. La verità probabilmente non si saprà mai. Diverso il discorso per Wim Jonk.
Non un campione, ma un centrocampista di buona qualità, con una non disprezzabile capacità di inserimento e un certo fiuto del goal. Quel fiuto del goal che gli consentì di segnare in finale di Coppa Uefa nel 1994 contro il Salisburgo e lasciare così un memorabile ricordo nei cuori nerazzurri. Forse superiore a quello dello stesso Bergkamp.
Christian Montanaro