Astana, in kazako, significa banalmente “Capitale”. Ma è una di quelle parole che hanno un doppio senso involontario: oltre al significato letterale, ce n’è un altro che potremmo definire emotivo, per cui Astana significa “qualcosa che non c’è”. Ad esempio, una città che non c’è, perché qua fino al 1824 non ci avreste trovato nulla, poi è stata fondata una fortezza, che è diventata uno snodo ferroviario circondato da gulag, e solo dal 1961 è iniziata a diventare veramente una città (che comunque ha cambiato nome quattro volte nella sua breve storia).
Oppure, una squadra di calcio che non c’è; o per lo meno non c’è stata fino al 2009. Fino a non molti anni fa – come racconta Valerio Moggia su “Pallonate in faccia” – il Kazakhstan era noto principalmente per due cose: per essere la terra d’origine del protagonista di un discusso film satirico statunitense, e per essere il luogo dov’era stato prigioniero Aleksandr Solženicyn. Un pezzo dell’Europa sovietica conficcato in mezzo alle steppe dell’Asia Centrale, una di quelle repubbliche improbabili col sottosuolo pieno di idrocarburi, gas e metalli. Vale a dire uno di quei luoghi che, dopo la caduta del Muro, hanno riproposto su scala più piccola la tradizione politica sovietica (depurata da quella faccenda del socialismo, se mai c’era stata) costruendosi in pochi anni la storia che non avevano mai avuto. Nel 1997, si decise che la capitale doveva diventare l’immagine di una nazione ricca, bella e progredita. Così è nata Astana, che ha presto iniziato a riempirsi di palazzi, torri e monumenti all’avanguardia, in quel gusto per noi incomprensibile che nasce dal mescolarsi di tradizione nomade, estremo orientale, musulmana e russa, infarcita di abbastanza soldi da permettersi il lusso del kitsch. Nel 2009, è sembrato giusto che per ricordare al mondo – cioè, all’Europa – della sua esistenza, il Kazakhstan si dotasse anche di una squadra di calcio competitiva. Due club minori della vecchia capitale Almaty, il Megasport e l’Alma-Ata, entrambi con meno di dieci anni di vita, vennero fusi e trasferiti nella loro nuova sfavillante sede, prendendo il nome di Lokomotiv Astana.
Che sottintende, in piena tradizione russa, che la squadra è di proprietà della compagnia ferroviaria statale, la Kazakhstan Temir Zholy, ma nel giro di qualche anno le cose sono cambiate. Il club è stato trasferito sotto il controllo dell’Astana Presidential Sports Club, una polisportiva controllata da Samruk-Kazyna, il fondo sovrano del Kazakhstan. Quel “Presidential” nel nome è abbastanza significativo: tutto, in Kazakhstan, è in realtà legato al presidente Nursultan Nazarbaev. Fin dai primi anni Ottanta si è imposto come uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista, ne è diventato segretario nel 1989 e, dopo la caduta del Muro, è divenuto presidente della nuova repubblica, senza opposizione e con quei metodi che, come del resto la sua storia, ricalcano pedissequamente il profilo tipico del leader politico delle ex-repubbliche sovietiche. Nel 2019, dopo aver trasformato la steppa in una potenza economica, ha deciso di ritirarsi dalla vita politica. Subito dopo, il suo successore ha deciso di rinominare la capitale col suo nome, Nur-Sultan, che in arabo significa “la Luce del Sultano”. Semplicemente perfetto.
L’Astana FK lo abbiamo scoperto, con un misto di fascinazione esotica e fastidio geopolitico, nell’autunno del 2015. Eliminò gli sloveni del Maribor, i finlandesi del HJK e i ciprioti dell’APOEL dai preliminari di Champions League: per la prima volta nella storia, un club kazako arrivava alla fase a gironi del massimo torneo di calcio europeo. Sfiorò il terzo posto, ottenendo due sconfitte ma anche quattro pareggi: due con il Galatasaray, uno col Benfica e uno con l’Atletico Madrid. Appena nato, l’Astana FK aveva iniziato a mettere le cose in chiaro con due acquisti che il resto del calcio kazako non avrebbe mai potuto sostenere, senza gli appoggi politici del nuovo club della capitale: Andrej Tichonov dal Kryl’ja Sovetov, e Yegor Titov dal Khimki, uno dei più geniali e noti – e purtroppo discontinui – calciatori russi del post-URSS. Poco dopo, alla rosa si aggiunse anche l’uzbeko Maksim Shatskix, arrivato dalla Dinamo Kiev.
Ma i successi più grossi sono stati costruiti senza di loro, a partire dal 2014: in quella data, in panchina arrivò il bulgaro Stanimir Stoilov, ex-tecnico del Botev Plovdiv che l’anno precedente aveva nettamente sconfitto l’Astana nei preliminari di Europa League. Con lui, il club ha conquistato il suo primo scudetto, aprendo un ciclo di cinque titoli consecutivi. In campo, giocatori promettenti come Patrick Twumasi, Foxi Kethewoama, Nemanja Maksimovic e anche una star del calcio est-europeo come Renan Bressan, il brasiliano che si è costruito una carriera in Bielorussia, divenendo la stella del Bate Borisov e della sua nuova nazionale.
Il resto della rosa, fu costruito grossomodo saccheggiando il meglio delle rivali nazionali: l’obiettivo era chiaramente quello di trasformare l’Astana nel simbolo internazionale del Kazakhstan, un po’ come i vicini dell’Azerbaijan, dall’altro lato del Mar Caspio, stavano contemporaneamente facendo con il Qarabağ. Insomma, l’Astana è un’entità che ha a che fare più con la propaganda (politica e commerciale) che con lo sport. Sostenuta in prima persona dallo Stato, con un nome scelto tramite accurate ricerche di marketing, ha praticamente cancellato la competizione nel campionato locale, soppiantando colossi storici come Shakhter Karagandy e Kairat Almaty (la squadra dove, negli anni Sessanta, giocava Sergey Kvočkin, il più grande calciatore kazako di sempre).
“L’Astana è la torre splendente dello sviluppo del Kazakhstan, il nostro paese dovrà essere noto come una nazione di vincenti” diceva in un’intervista del 2013 Nazarbayev. Lo sport, nella steppa asiatica, è diventata un’arma geopolitica: prima del calcio, però, l’Astana si è fatto conoscere nel ciclismo, mettendo insieme un dream team alla fine degli anni Duemila, costruito attorno alla personalità di Aleksandr Vinokurov, probabilmente il più grande sportivo kazako di tutti i tempi. Ma il progetto di nation building a mezzo sportivo ha avuto risultati ben più ampi: alle Olimpiadi del 2000, il Kazakhstan raccolse appena 7 medaglie, ma dopo sedici anni di crescita costante, a Rio de Janeiro è arrivato a 17 e a Tokyo a 16. E lo sviluppo dello sport va di pari passo con la passione munumentale di Nazarbayev e del suo regime. L’Astana Arena, lo stadio da 30.000 posti inaugurato nel 2009 (match d’eccezione, che ha visto la partecipazione di Pierluigi Collina, Andriy Shevchenko, Kakha Kaladze, Hakan Şükür e Hasan Şaş) è costato 185 milioni di dollari, ed è pensato per rivaleggiare in magnificenza con la torre Bayterek o il palazzo Ak Orda. “È lo stadio più bello d’Europa” lo descrisse all’epoca il presidente della UEFA Michel Platini.
Come spesso succede in questi casi (pensiamo all’Istanbul Başakşehir), ci è voluto del tempo perché il pubblico iniziasse a riempire gli spalti, ma coi primi titoli le resistenze dei tifosi più tradizionalisti sono state vinte. Nella stagione 2016-‘17, l’Astana ha disputato i gironi di Europa League e, un anno dopo, è addirittura riuscito a chiudere al secondo posto del proprio gruppo, ottenendo la prima qualificazione alla fase a eliminazione diretta, dov’è uscito contro lo Sporting Lisbona. In questo periodo, i risultati del club sono stati di primaria importanza per l’immagine del paese, che con la contrazione del prezzo del petrolio era entrato in un’improvvisa crisi: il Kazakhstan si è rivelato economicamente molto più fragile di quanto credesse, e ciò ha spinto il governo all’avvio di un nuovo piano di riforme economiche, di cui ancora si attendono i risultati. Anche perché pure sul fronte calcistico le cose non sono andate esattamente come ci sia aspettava.
Dopo il periodo d’oro di Stoilov, conclusosi nel 2018 con il passaggio del bulgaro sulla panchina della nazionale kazaka, l’Astana si è fortemente ridimensionato: da allora, tre tecnici si sono avvicendati in panchina (da ottobre 2020, l’allenatore è l’ex-centrocampista Andrej Tichonov), e nel tentativo di sistemare la confusa situazione societaria è stato assunto come direttore esecutivo l’inglese Paul Ashworth. Nel 2020, dopo sei anni di dominio incontrastato, l’Astana ha perso il campionato in favore del Kairat Almaty. Nel 2015, si stimava che il giro d’affari attorno a Samruk-Kazyna, il fondo che controlla il club, fosse di oltre 66 miliardi di dollari; più del doppio, per intenderci, di quello del Real Madrid. Questo semplice confronto basta per dare l’idea di come i risultati del club kazako siano infinitamente lontani dalle aspettative: paese freddo e con poco appeal, campionato scarsamente competitivo e una reputazione ancora molto lontana da quella che vorrebbe avere, l’Astana non è mai riuscito a diventare una meta ideale per i calciatori e gli allenatori stranieri anche solo di medio profilo.
Oggi, le “stelle” a disposizione di Tichonov sono vecchie glorie (nemmeno tanto glorie, in effetti) come l’ex-Borussia Dortmund Antonio Rukavina, o degli scarti del calcio europeo come Dorin Rotariu, che non è riuscito a lasciare il segno al Club Brugge. I migliori giocatori del periodo d’oro hanno presto cambiato aria, trasferendosi all’Ovest: Kethevoama e Anicic sono andati in Turchia, Twumasi all’Alavés e oggi gioca all’Hannover 96, mentre Maksimovic ha avuto la carriera migliore, spostandosi in Spagna prima col Valencia e poi col Getafe. Probabilmente è troppo presto per dire che il progetto Astana sia fallito, ma è senza dubbio in una fase di stallo, come un po’ tutto il Kazakhstan.
Nel frattempo, la pandemia del coronavirus ha dato l’occasione al regime, oggi retto da Qasym-Jormat Toqaev, per inasprire le sue politiche repressive nei confronti delle libertà politiche e individuali, limitando ulteriormente le manifestazioni di dissenso. Il deludente terzo posto dell’Astana, nel campionato concluso, dopo due sospensioni per motivi sanitari, solo a fine novembre, si lega a una nuova situazione d’incertezza del calcio kazako, che ha visto il suo apice nella bancarotta dell’Ertis FK, una delle squadre più competitive a livello locale negli ultimi vent’anni. E anche la Nazionale, che il 21 marzo 2019 esordiva nelle qualificazioni europee rifilando un clamoroso 3-0 alla Scozia, alla fine è rientrata nella sua mediocrità, finendo quinta nel girone (davanti solo a San Marino) e chiudendo ultima nel suo gruppo di Nations League.