Correva l’anno 2008 e per noi tifosi del Livorno era la prima stagione post Lucarelli. Era una di quelle annate storte, in cui sembra non andare bene nulla e quel 19 aprile eravamo relegati inesorabilmente in fondo alla classifica in attesa dell’inevitabile condanna della matematica a sancire la retrocessione. In panchina c’era Camolese, chiamato dopo sette giornate a sostituire Orsi. Purtroppo, dopo un buon filotto di risultati tra l’ autunno e l’inverno, nel girone di ritorno avevamo totalizzato solo 7 punti che di fatto erano una condanna.
Ai piani alti invece la lotta per lo scudetto vedeva lo scontro tra la fortissima Inter di Mancini e la Roma al massimo splendore dell’epoca spallettiana. I giallorossi erano una squadra semplicemente stupenda: una difesa solida con i vari Juan, Mexes e Panucci, De Rossi all’apice della carriera, lo straordinario Pizarro a dettare i tempi e in avanti Totti, Vucinic, Taddei e Mancini.
Ci presentiamo all’Olimpico senza ambizioni di sorta, malgrado all’andata avessimo portato a casa un buon pareggio con l’unico, bellissimo, gol in quel campionato del bidone Tristan. Colui che avrebbe dovuto essere il degno sostituto di Lucarelli si era presentato in condizioni fisiche imbarazzanti, malgrado pochi anni prima fosse uno dei migliori attaccanti europei. Forse alcol, forse depressione per una figlia persa, di sicuro tanta sfortuna visto che quando aveva ritrovato una forma fisica decente aveva collezionato una serie di pali e traverse. Ma questa, come direbbe Carlo Lucarelli in una puntata di Blu notte, è un’ altra storia e infatti il 19 aprile Tristan siede giustamente in panchina.
Camolese opta per un prudentissimo 3-5-1-1 per la serie prima di tutto non prenderle. Se vogliamo analizzare quel Livorno non era poi malaccio: c’era ancora il campione del mondo Amelia, insieme all’onesto Knezevic che l’anno seguente sarebbe passato alla Juve. Avevamo Galante e Balleri agli ultimi fuochi, il mestierante Bogdani e la stella Tavano in cerca di riscatto dopo le fugaci esperienze a Valencia e a Roma.
L’inizio sembra essere incoraggiante con lo stesso Tavano che va vicino al gol ma è un triste fuoco di paglia. La Roma ci mette poco a tessere la sua tela e a farsi pericolosa, soprattutto con Totti. Il capitano però è malconcio, sembra essere sul punto di uscire dopo un quarto d’ora ma resiste strenuamente. Al 34’ dopo aver creato un serio pericolo ad Amelia si infortuna definitivamente ed è costretto a lasciare il campo. La diagnosi è impietosa: prognosi di svariati mesi, stagione finita e la Roma che non può contare sul suo capitano nella rincorsa scudetto. La vittoria sembra però scontata: il Livorno si arrangia come può e miracolosamente va negli spogliatoi sullo 0-0. Al rientro in campo è una sinfonia romana, con il Livorno con nove giocatori dietro la linea di metà campo a sfidare il cronometro con l’utopia dello 0-0. Ovviamente dopo una serie di pericoli scampati lo pseudo fortino livornese inevitabilmente cade: Pizarro inventa un lancio dal nulla per la testa di Vucinic che con un beffardo pallonetto scavalca Amelia e sigla l’1-0. Ora, di partite simili è pieno il mondo: la squadra più debole che come può cerca il pareggio sbilanciandosi e i più forti che in colpiscono in contropiede. E’ un attimo e la partita finisce due, tre o quattro a zero. Camolese fa la mossa più logica a metà ripresa: toglie l’inconsistente Bergvold per dare spazio a Diamanti, una delle poche note liete della stagione livornese. Alessandro Diamanti è alla sua prima stagione in serie A e considerato che sta per compiere 25 anni non era propriamente un enfant prodige. Prima dell’approdo in amaranto la sua carriera era costellata da giocate sublimi e futili polemiche nelle serie minori e molti sostenevano che fosse stato acquistato soprattutto perché era il compagno di serate di Galante in discoteca. In realtà si era calato perfettamente in quella squadra e aveva segnato il gol partita con una punizione contro il Catania nell’ultima vittoria livornese di quella stagione.
In quel momento è l’uomo più in forma della squadra e non si capisce il perché Camolese non l’abbia fatto giocare dal primo minuto. Fatto sta.. Diamanti entra con la voglia di spaccare il mondo e poco dopo il suo ingresso si libera di due uomini e calcia a lato. E’ l’unico pericolo creato dal Livorno in più di mezz’ora di gioco. La Roma nel frattempo ha creato un serie di occasioni da gol sventate da Amelia e Galante, più un rigore nitido non dato. E’ il minuto 82’ e il punteggio recita 1-0: Diamanti parte in progressione, subisce fallo e si guadagna una punizione da circa 25 metri. Calcia lui ovviamente. Ora, si tratta per me di un episodio idealizzato quindi ricordo una punizione fortissima che finisce esattamente sotto l’incrocio dei pali, imparabile anche per il miglior Zamora. Rivedendola su youtube anni dopo l’aurea mitica si attenua. Diamanti calcia benissimo ma la palla non finisce proprio sotto l’incrocio e Doni, il portiere della Roma, non è immune da colpe perché si butta in ritardo.
Diamanti in nazionale
Quel che conta è che la palla gonfia la rete e il Livorno pareggia. Diamanti esulta beffardo come un bambino felice, viene sommerso dagli abbracci dei compagni, indica la propria curva. Ha fatto quel che gli riesce meglio, un gol su punizione e poco importa se ha rovinato un sogno. E’ l’emblema della spensieratezza, di colui che non ha niente da perdere e ha vinto tutto. La partita scorre via, tra gli assalti della Roma alla disperata ricerca del gol vittoria. De Rossi sfiora la rete per due volte di fila ma Amelia è in giornata di grazia e chiude la serranda. Triplice fischio. 1-1. Inutile dire che la Roma non vincerà lo scudetto vedendo smorzata la propria rincorsa. E che il Livorno ovviamente non si salverà. La domenica dopo arriva il Milan all’Armando Picchi e finisce 1-4 sotto i colpi di Inzaghi (ricordo ancora l’incornata di Knezevic per il gol della bandiera sullo 0-4). Camolese viene sollevato dall’incarico, torna Orsi, 0-1 in casa con il Torino e retrocessione matematica.
Per Diamanti invece quel gol è la definitiva rampa di lancio. Rimane in serie B l’anno successivo in cui contribuisce a suon di gol e assist all’immediata promozione del Livorno. Il presidente Spinelli promette un mirabolante tridente con Tavano e Lucarelli per la serie A… Salvo poi vendere Diamanti al West Ham all’ultimo giorno di mercato. Si fa apprezzare anche oltremanica, per poi tornare da protagonista a Brescia e Bologna, essere convocato in nazionale, segnare il rigore decisivo ai quarti di finale di Euro 2012 contro l’Inghilterra. E da lì, iniziare un peregrinare spezzettato e schizofrenico che lo porta ad accettare le offerte faraoniche cinesi, tornare in prestito alla Fiorentina e all’Atalanta e ritornare da panchinaro in Inghilterra al Watford. Poi Perugia e il ritorno a Livorno, trentacinquenne, per pochi soldi e tanta gloria. Una memorabile stagione da figliol prodigo in cui con gol e assist deliziosi conduce una squadra mediocre alla salvezza in Serie B. Ma uno come Diamanti non può avere gloria eterna, vuoi per il carattere, vuoi per il suo essere così contraddittorio e fuori dagli schemi. Nell’estate 2019 Spinelli e Breda gli danno il benservito alla luce di mirabolanti progetti di gioventù e disciplina e lui va a svernare in Australia. Il risultato è che Diamanti è ancora protagonista mentre il Livorno è purtroppo malinconicamente ultimo in serie B.
Se vogliamo un’altra beffa, per un giocatore che forse avrebbe potuto fare molto di più ma alla fine è contento di quello che è ed è stato. E quella punizione di dodici anni fa… forse non è così memorabile da essere ricordata ancora oggi e di sicuro non è servita a nulla.. però ha il sapore dolce di ciò che poteva essere e non è stato. La telecronaca in inglese su youtube, “Ghiamanti… beautiful!!”. La sua faccia da vecchio adolescente felice e quell’orgoglio di chi ci crede ancora. Forse basta poco, ma quando mi voglio risollevare il morale digito Roma-Livorno 1-1 Diamanti..e mi scappa sempre un sorriso.
Valerio Zoppellaro