Troppo piccoli per essere veri, scalzando le varie San Marino, Andorra, Liechtenstein e compagnia bella. A destare sorpresa è anche il fatto che l’ultima arrivata rappresenta un’entità lontanissima dall’essere uno Stato indipendente, tanto che la prima stupita domanda che viene spontanea è “ma questi che c’entrano?”. Stiamo parlando di Gibilterra, un lembo di terra che ha in realtà una storia millenaria, che molti grandi e potenti Stati-nazione si sognano.
DALLA LEGGENDA ALLA STORIA
Nota fin dalla profonda antichità classica come una delle leggendarie Colonne d’Ercole, che delimitavano il mondo conosciuto dai nostri antenati europei e al di là delle quali si estendeva minaccioso l’ignoto, prenderà l’attuale nome con l’invasione araba dell’ottavo secolo dopo Cristo. Come ci racconta Matthias Moretti, terra contesa e più volte passata di mano, nel 1501 torna a far parte del Regno di Castiglia, ma dopo un paio di secoli di relativa tranquillità, durante la guerra di successione spagnola del 1704 viene assediata e cannoneggiata dalla flotta anglo-olandese: i britannici occupano la rocca, e respingono nei mesi successivi il tentativo di riconquista spagnolo. Il Trattato di Utrecht del 1713 concede alla Gran Bretagna la piena proprietà (attenzione, non sovranità) di Gibilterra, ma nonostante questo durante il ‘700 gli spagnoli tenteranno invano altre due volte di riconquistarla, per poi rinunciare definitivamente all’idea. La sua posizione strategica di “porta girevole” tra Mar Mediterraneo e Oceano Atlantico le costerà nella Seconda guerra mondiale i bombardamenti e i sabotaggi da parte dei tedeschi, dei francesi di Vichy, degli spagnoli e degli italiani (la famigerata X Mas), ma gli inglesi, consci della sua vitale importanza, ne rafforzeranno ulteriormente le difese e la terranno saldamente in mano. Nell’estate ’42 Gibilterra diventa il quartier generale degli Alleati, guidati da Eisenhower, per le operazioni belliche in Nordafrica che condurranno alla disfatta delle truppe nazifasciste. Nel 1967 e nel 2002 due referendum hanno sancito la netta volontà degli abitanti di restare sotto il dominio britannico.
ECONOMIA, POLITICA E… SPORT
Gibilterra è dunque ufficialmente un Territorio d’Oltremare del Regno Unito, il Capo di Stato è la Regina e la difesa è assicurata dall’Esercito Britannico. La politica estera, compresi i rapporti con l’Unione Europea, è gestita totalmente dalla Gran Bretagna, mentre per tutto il resto la legislazione è indipendente. Sappiamo bene come nel mondo contemporaneo uno dei principali riconoscimenti politici per Stati e aspiranti tali è l’ammissione della propria Federazione calcistica od olimpionica alle competizioni ufficiali internazionali: la differenza di importanza che corre tra l’ammissione all’Assemblea dell’ONU e alle qualificazioni ai Mondiali di calcio è davvero minima, anzi non c’è dubbio che per buona parte delle popolazioni sia decisamente più importante la seconda. Ora, Gibilterra è come detto lontanissima dal poter essere considerata uno Stato indipendente, tuttavia ad assicurarle un vantaggio decisivo è proprio il suo status di Territorio britannico: basta riflettere sul fatto che Scozia, Galles, Irlanda del Nord e Inghilterra, pur facendo parte politicamente del Regno Unito, gareggiano per gli Europei e i Mondiali ognuna per conto suo, mentre ad esempio alle Olimpiadi i loro atleti gareggiano tutti uniti sotto la Union Jack.
Per comprendere i perché dell’ammissione è d’aiuto anche un brevissimo sguardo all’economia della “rocca delle scimmie”. Essa si alimenta, oltre che di turismo, di finanza offshore: a Gibilterra ci sono più società registrate che abitanti, è quindi una sorta di paradiso fiscale nel bel mezzo dell’Europa, allettante meta di capitali esentasse e merci di contrabbando. Da sempre un ricco porto commerciale, è a tutt’oggi molto più ricca di tutti i territori circostanti, comprese le enclavi spagnole in terra nordafricana di Ceuta e Melilla (l’altra “Colonna d’Ercole”), tragicamente note anche per i sanguinosi respingimenti dei migranti che tentano di entrare nella Fortezza Europa. Insomma, Gibilterra non presenta al giorno d’oggi gravi controversie geopolitiche ed è un luogo benvoluto a livello politico ed economico da tutto l’establishment occidentale e capitalista (Spagna esclusa, per ovvi motivi), che tiene saldamente in mano anche le Federazioni internazionali sportive e calcistiche. Gibilterra è iscritta alla UEFA e alla FIFA, quindi può gareggiare nelle competizioni calcistiche europee e mondiali, sia con la nazionale che con i club. L’iter è durato alcuni anni, da quando nel 2007 il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, dando ragione alla richiesta della Federazione di Gibilterra, ne ordinava l’ammissione all’UEFA. Il Congresso della UEFA però, seguendo la decisione di quello della FIFA, respine l’ammissione per mancanza dei requisiti. Ma nell’agosto 2011 la Camera Arbitrale Sportiva impose all’UEFA di ammettere Gibilterra come membro provvisorio, cosa che avvenne nell’ottobre 2012. Dal 24 maggio 2013 Gibilterra è membro dell’UEFA a tutti gli effetti. Il 2 maggio 2016 il TAS intimò alla FIFA di dare il via a tutte le azioni necessarie per ammettere Gibilterra come membro con pieno diritto. Il 13 maggio 2016 la Gibraltar Football Association ottenne così l’affiliazione alla FIFA con 172 voti a favore e 12 contrari, diventando la 211ª federazione affiliata.
IL CALCIO NEL SANGUE
Nonostante con i suoi circa 30000 abitanti sia la nazione più piccola tra quelle iscritte all’UEFA, la Federazione calcistica di Gibilterra e il relativo campionato nascono nel 1895. Il calcio è lo sport nazionale per eccellenza, tanto che la Federazione può contare su 600 giocatori. La Premier Division è stata giocata tra il 1905 e il 2019, quando è stata istituita la National League. Nel vecchio campionato a vicere più titoli, 23, è stato il Lincoln Red Imps, davanti a Prince of Wales, 19, e Glacis United, 17. La prima edizione della National League è stata annullata per la pandemia di COVID-19.
Dopo l’ammissione all’UEFA avviene finalmente l’esordio della nazionale nel calcio “riconosciuto” e registrato negli annali, con l’amichevole del 19 novembre 2013 giocata in casa (cioè a Faro, in Portogallo, per l’allora inagiibilità del Victoria Stadium) contro la Slovacchia e finita in un trionfale 0-0. Il primo gol, segnato da capitan Roy Chipolina, arriva nell’amichevole successiva persa 1-4 contro le Far Oer; seguono una sconfitta e un pareggio entrambi contro l’Estonia, per poi arrivare al grande giorno della prima vittoria biancorossa: 1-0 contro Malta, gol di bomber Kyle Casciaro, nella vita agente navale. Insomma, per un paese con la popolazione di una nostra piccola città di provincia, una storia calcistica di tutto rispetto.
Ma con l’inizio delle qualificazioni agli Europei le cose hanno iniziato a complicarsi: nella prima partita ne prendono 7 in casa dalla Polonia, solo 1-0 nel primo tempo, poi il crollo con 4 gol di Lewandowski. Immediata fotocopia nel secondo match in Irlanda, altri 7 e a casa. Dopo di che mister Bula registra un po’ meglio la difesa, ed arrivano uno 0-3 casalingo con la Georgia e un più che dignitoso 4-0 in casa della Germania campione del mondo, evidentemente non troppo in vena di accanirsi.
Ma il mese di marzo 2015 segna un’ennesima svolta per la giovanissima nazionale biancorossa: il 2 marzo il Ct Bula viene esonerato e sostituito dallo scozzese Wilson, che guida la squadra al primo storico gol nelle competizioni ufficiali proprio contro la “sua” Scozia, il giorno 29 all’Hampden Park di Glasgow. È il 19′ del primo tempo e la Scozia è in vantaggio per 1-0: bella palla in profondità di Payas, difesa scozzese molto distratta, ne approfitta l’esterno sinistro Lee Casciaro, durante la settimana poliziotto, che entra in area e trova l’angolino basso con un preciso destro in diagonale che lo lancia di diritto nella storia del suo minuscolo paese. Il fatto che la partita si concluda 6-1 per la Scozia a questo punto è quasi secondario.