Lucidissimo in campo, tormentato nella vita: Gerd Müller (morto ieri, domenica 15 agosto a 75 anni) non sbagliava mai il colpo letale, il gol della felicità per sé, per il Bayern Monaco, la squadra di sempre, e per la Germania Ovest. Assestava con semplicità il colpo della sconfitta a chi aveva la sventura di affrontarlo: lui era il bomber. Müller aveva il tocco tipico del fuoriclasse che al momento opportuno, in quei finali dove la stanchezza, la fatica, il nervosismo annebbiano muscoli e cervelli e rendono difficili le decisioni, dava la sentenza: il giudice supremo era lui. Non dava scampo. Capiva la debolezza del difensore, sapeva che prima o poi avrebbe fatto un errore: alla minima distrazione te la faceva pagare.
Il suo Bayern Monaco – come ha ricordato Daniele Dallero sul “Corsera” – ha vinto tutto in Germania e in Europa. La nazionale tedesca campione d’Europa e del mondo, 1972 e 1974. Non era alto ma con quella testa scapigliata, ribelle arrivava ovunque, saltava più degli altri, alle spalle del difensore c’era lui scegliendo il tempo giusto: quanti dispiaceri ha regalato ai suoi avversari. Paolo Rossi, abilissimo nello smarcarsi, nel trovare spazi e tempi giusti, raccontò che certi movimenti li imparò da Gerd Müller, un maestro nel dettare il passaggio ai compagni.
Non è un caso che con 365 gol segnati detenga ancora adesso il record di gol nel campionato tedesco, la Bundesliga. Müller ha dato tanto al Bayern Monaco, gol e scudetti, ma lo squadrone bavarese gli ha voluto bene coccolando, seguendo e aiutando il suo campione, una forza della natura in campo, debole e fragile nella vita.
Affondato dall’Alzheimer nell’ultimo ventennio: un giorno si perse per le vie di Trento, lo trovarono dopo ore e ore di ansia. Prima dell’Alzheimer ci pensò la depressione a complicare e a rendere buie le sue giornate. Ma il Bayern con il cuore e con le sue strutture mediche gli è sempre stato vicino. Ora lo piange. Con il Bayern è triste il calcio mondiale.